A Londra distrutte le bottiglie di Bressan, ma questa cosa non ci piace


Jacob Kennedy, proprietario del ristorante Bocca di Lupo

In un ipotetico schieramento sulla questione Bressan credo di essermi posizionato tra quelli che non hanno fatto sconti.
Dal blog di Andrea Petrini assistiamo alla distruzione di alcune bottiglie a scopo dimostrativo.


Beh, questa cosa non ci piace.
Ad ogni azione corrisponde una reazione, a parole stupide fa da contraltare un gesto stupido.
Spero che questa vicenda spinga tutti quanti noi a riflettere, a pesare le parole quando si scrive su un socialnetwork, ma anche quando si sta da soli di fronte allo specchio.
Stupidità genera stupidità.
In questo momento così particolare serve senso di responsabilità, avere l’ambizione di partecipare ai processi e non di rinchiudersi in setta.
Bressan non va boicottato, ma ignorato.
E non è la stessa cosa.

 

17 Commenti

  1. La magia del vino è sempre veicolata (o in questo caso fatta precipitare) da chi lo produce, sicuramente il gesto è un po’ forte, ma credo che l’ignavia sia ben peggio.

  2. …ho come l’impressione (e spero di sbagliarmi) che si sta sfruttando questa brutta storia di razzismo solo per fare pubblicità al proprio locale. Penso che con questo video nei prossimi giorni parecchie persone nel mondo conosceranno l’esistenza di questo ristorante e di questo proprietario.
    La domanda é un’altra… Ma questo ristorante ce li aveva veramente i vini di Bressan sulla carta o ha usato 5 bottiglie comprate in enoteca per poi distruggerle davanti al suo locale?
    Non so voi ma a me sto video mi puzza di marketing in una maniera assurda!
    Soprattutto l’inquadratura finale del nome del locale mi sembra tanto uno spot pubblicitario

  3. Non è diverso dagli altri huligans inglesi che spaccano anche loro le bottiglie di birra, di vino, di whisky in tutte le strade delle città europee dove le loro squadre di calcio vanno a ubriacarsi, sfasciare negozi e scatenare risse. La civiltà, evidentemente, oltre Dover non esiste.

      1. Sarà come dice lei, ma lì le bottiglie di whisky non sono così fessi da spaccarle: se le bevono, che è molto meglio!

        1. Io credo che da quelle parti vadano più a grappa…e, a giudicare dalla faccia del produttore in questione, direi già dal primo mattino…

  4. credo che distruggere le bottiglie sia idiota e intollerante e potenzialmente violento così come il bruciare i libri di chi non la pensa come noi o distruggere opere di quella che i nazisti chiamavano “arte degenerata”. Sono ben lieto che i vini di Bressan, che continuo a pensare che siano buoni, non siano più disponibili in quel ristorante londinese proprietà di un tizio che é riuscito con quel suo gesto scemo a trovare qualche minuto di notorietà e visibilità. Dare i vini di Bressan a tizi del genere mi ricorda la locuzione evangelica margaritas ante porcos, ovvero dare le perle ai porci…

    1. Premesso che non è un gesto impegnato, ma una puttanata promozionale, mi spiace che un grandissimo del vino come lei scriva cose come queste… i vini di Bressan non possono essere buoni per definizione, perché chi li produce è cattivo (e idiota)… al massimo saranno gustosi. Quanto al porco delle margherite (o delle perle), non c’è più porco di chi definisce una persona “scimmia” e “brutta negra di merda”. Meglio bruciare i libri per punirli di non aver insegnato nulla a molta umanità (citazione Carvalhiana), che tollerare o assolvere un cialtrone solo perchè nelle vecchie recensioni si gradivano i suoi vini…

  5. Andrea, hai scritto che “i vini di Bressan non possono essere buoni per definizione, perché chi li produce è cattivo (e idiota)… al massimo saranno gustosi”. Scelta di aggettivo molto Interessante, direttamente riferita alle qualità organolettiche e non al giudizio morale. Terrò presente questa sua acuta osservazione. Ci rifletterò e tornerò sull’argomento. Grazie per averla postata.

    1. Francamente di quello che scrive lei, se non parla di vino, mi importa veramente poco. Io non ho l’ho offesa (scarsamente lucido e farneticante sarà lei, che sembra sempre più un pugile suonato dopo la faccenda dei calci in culo da AIS), ed ho usato le sue ovvietà come pretesto per una riflessione che altri lettori hanno giudicato interessante. Il ciabattino si occupi di scarpe. Il fatto di essere un nome del mondo della comunicazione enologica non le permette di insolentire lettori di cui non sa nulla. Mi stia bene e si rilassi, c’è bressan che parla bene di lei….

      1. Farei osservare che, poiché è sciocco ritenere che le qualità morali possano trasmettersi ad un liquido moderatamente alcoolico, ad accettare la sua precisazione non potrebbe parlarsi di vino ‘buono’, ma lapiù solo ‘gustoso’, neanche se a spremerlo fosse stata Medre Teresa di Calcutta con i suoi piedini.
        Sulla lucidità ha ragione Ziliani.

      2. Penso che il riferimento sia stato soprattutto alle parolacce, che stonano anche negli scritti di un commentatore di vino, nel nostro piccolo, anche se stonano molto di più quelle usate per gli insulti di un produttore di vino ad un ministro. La stessa cosa vale per l’insulto a Ziliani fatto su un blog dal quale mi sono ritirato per sempre proprio per il commento incivile che lei ha ben citato, cioè l’invito a prenderlo a calci in culo (non a calici). Secondo il mio modestissimo parere, nella polemica del vino le litigate sono inutili e a volte deleterie. Si può, si deve, argomentare più civilmente che in altri ambienti. Altrimenti perché la nostra sarebbe una “civiltà del vino”?. Lasciamo le risse ai bevitori di superalcoolici…

        1. Piccola precisazione: al netto di puttanata (vale sciocchezza) non ho usato parolacce nel primo post, tranne come citazione del noto vignaiolo. Ciononostante, chiedo scusa a tutti se alcune espressioni sono sembrate stonate.

  6. Sembra interessante anche a me la considerazione sul vino fatta da Andrea “Pepe Carvalho”: provo a dare un contributo con una riflessione che ho già postato a suo tempo su Slow Wine, nel tentativo modestissimo di spiegare a me stesso ciò che lega un vino al suo produttore.
    “Insultare una persona, una donna, per il colore della sua pelle non è esprimere un’opinione: è un atto violento. E tanto basterebbe. Ma il vino? Che colpa ne ha il vino? Molti lo hanno tirato per la giacchetta, lo hanno chiamato a testimoniare, lo hanno usato, lo hanno salvato in una sorta di zona franca. Il fatto è che sono state usate parole animalesche, istinti primordiali, come di chi non sa governare e capire le proprie emozioni, di chi pensa che amare sia possedere o peggio violentare, che non condividere equivalga a eliminare. L’educazione consente di dare un nome agli istinti e alle emozioni, la cultura permette di comprendere ciò che ci accade e trasformare le emozioni in sentimenti: con curiosità e apertura mentale. La contaminazione è un aspetto della cultura. Vengono in mente le parole sprezzanti di Salvini nei confronti dei nuovi senatori a vita, viene in mente Tremonti per il quale con la cultura non si mangia, viene in mente Bressan per il quale pagare le tasse è una sorta di partita di giro, circoscritta al proprio orto, al proprio mondo, dimentico del senso di comunità e di bene comune, in una sorta di visione museale della tradizione, senza conoscenza, senza diversità. I libri, le persone, la musica, la scienza consentono di tracciare il legame tra emozioni istintive e sentimenti. Anche il vino è cultura, l’abusato termine “territorio-terroir” vorrebbe significare questo aspetto: storie di uomini in un bicchiere, uomini che sanno guardare lontano, che si mettono alla prova, che accettano la contaminazione nei luoghi in cui vivono e operano, facendone tesoro. Forse attraverso la cultura, il vino diventa sentimento, conquista una sua anima. Altrimenti è un vino “morto”. Non c’è franchigia che tenga per i vini di Bressan. Per parafrasare un’altra frase inflazionatissima, la vita è troppo breve per bere vini senza sentimento.

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