Angelo Gaja: la mia proposta per riformare il sistema doc e docg in Piemonte


vini piemontesi – foto di Maria Pranzo

di Angelo Gaja

La PROPOSTA intende suggerire il metodo di accorpamento delle D.O. esistenti in Piemonte.

La premessa metodologica recita: “ è il marketing a dover dare l’indirizzo sul sistema delle d.o., nel senso che per il prodotto vino è primaria l’esigenza di venderlo”. Il marketing debbono imparare a farlo individualmente ed a modo loro le cantine, non deve invece diventare il principio ispiratore del nuovo assetto che si vorrebbe dare al sistema Piemonte delle D.O.

Viene esposta una classificazione gerarchica/per gruppi delle attuali denominazioni. Dalla quale si fa derivare l’ammissione oppure l’esclusione all’ottenimento dei contributi previsti per la promozione sui mercati esteri. L’esclusione colpirebbe molte denominazioni compresa quella dell’Arneis che, nonostante produca oltre 5 milioni di bottiglie e possa contare su numerosi produttori già attivi a costruire domanda sui mercati esteri, non avrebbe diritto a beneficiare del sostegno all’export: è sfuggito che unitamente al GAVI, il ROERO ARNEIS sia il vino bianco fermo piemontese maggiormente conosciuto in diversi mercati oltre-confine. E’ tutto molto discutibile.

E’ ridicola la proposta di staccare la denominazione LANGHE, dal consorzio BAROLO e BARBARESCO e dal contesto storico dei produttori che l’avevano fortemente voluta, per farla confluire in un costituendo consorzio che dovrà comprendere le denominazioni PIEMONTE e MONFERRATO. Il “comitato spontaneo” vuole dare prova di saper suggerire non soltanto progetti di accorpamento ma anche di smembramento?

Non è facile scrollarsi la storia di dosso. Con la 164/92, legge Goria, l’Italia del vino introduceva correzioni alla legge quadro 930/63. In quell’occasione il Piemonte commise due errori clamorosi: si decise di rinunciare alla IGT privando così il vino piemontese delle possibilità di crescita che invece si dischiusero per le altre regioni che la adottarono (Toscana docet); venne istituita la prima DOC regionale, PIEMONTE, con la quale si sarebbe voluto beneficiare del marketing di territorio mentre in effetti si contribuì a svilirne l’immagine non riuscendo/volendo contrastare la vendita a prezzi stracciati dei superi e degli scarti di qualità più scadenti della Barbera, proseguita per troppi anni. Così oggi diventa arduo imporre a numerose D.O. piemontesi di rinunciare alla propria denominazione per vestire quella PIEMONTE. La cura dimagrante suggerita ridurrebbe il numero delle D.O. piemontesi dalle attuali 66 alle futuribili 23. Con il rischio di trasformare in un caravanserraglio la nuova DOP PIEMONTE che ne deriverà: con oltre 40 diverse varietà d’uva, diversissimi gli usi, costumi, tradizioni e condizioni pedo-climatiche.  Ma che DOP sarebbe mai?

E se invece, quello dell’accorpamento forzoso delle D.O., fosse un falso problema? La frammentazione delle D.O. piemontesi è frutto di una cultura che ci appartiene e delle nostre ambizioni (talvolta anche mal riposte). Occorre imparare a portare il peso della propria storia. Le denominazioni, se riconosciute ed affermate, costituiscono una ricchezza. Ma possono rimanere anche solo a livello di potenziali opportunità, e sopravvivere in attesa di condizioni più favorevoli, di imprenditori capaci di metterle in luce e valorizzarle. L’Italia ne ha in abbondanza perché sono moltissime le diversità che caratterizzano il nostro Paese. E’ proprio necessario eliminarne più della metà (il 65%) come vorrebbe la proposta avanzata dal “comitato spontaneo”? La Borgogna, nonostante l’uniformità pedo-climatica e varietale (Pinot nero e Chardonnay) non ha mai messo mano all’accorpamento delle oltre 150 Appellation d’Origine che possiede. E sì che molti riconoscono che siano troppe e difficili da fare entrare nella testa dei consumatori. Al loro numero elevato viene attribuita un’utile funzione: la larga maggioranza di esse copre pochi ettari di vigneto e viene rivendicata da un modesto numero di produttori, ma costituisce un eccellente riparo ai “vini di luogo”, ai vini artigiani.

Purtroppo, pensando al Piemonte del vino, io ho solo in mente misure di difficile applicazione:

–          Dare la massima trasparenza a dove va a finire il denaro pubblico. Chi sono le cantine che con incrollabile continuità ne intercettano i flussi? per quale ammontare anno dopo anno ? l’assistenzialismo perpetuo concesso ad alcuni soggetti, acceca la libera concorrenza e frena la crescita.

–          Reintrodurre, per il passaggio alle nuove DOCG, il principio del PARTICOLARE PREGIO, rendendo più stretta e rigorosa la griglia di accesso.

–          Istituire per il nord-ovest una IGP che abbracci Piemonte, Lombardia occidentale (Oltrepò Pavese), Valle d’Aosta, piacentino,… ne trarrebbe vantaggio il Piemonte del vino che verrebbe finalmente dotato dello scalino ora mancante: quello tra i vini a D.O. ed i vini da tavola. Di questo progetto credo di averne già intravisto il disegno nella PROPOSTA.

 

Osservazioni alla PROPOSTA DI UN NUOVO SISTEMA DELLE DOC E DOCG DEI VINI DEL PIEMONTE, elaborato dal “comitato spontaneo” appositamente auto-costituito, pubblicata su BAROLO&C0., 4/2013, alle pagine 17-24.