Arcà, il ritorno nel Vulture


Emigranti e cittadini di prima generazione, la maggior parte dei meridionali negli anni ’60 e ’70 aveva quasi vergogna di rivelare le proprie radici, un complesso di inferiorità la cui costruzione ancestrale è sia nel ruolo dominante avuto dall’area metropolitana di Napoli a partire dal ‘700, sia nella occupazione savoiarda. Queste due condizioni sono all’origine di luoghi comuni quali la superiorità di tutto ciò che la città esprime rispetto alla campagna e comunque del Nord rispetto al Sud. Onore e merito al vino, dunque, che dopo decenni di sudditanza psicologica ha invertito il trend facendo riscoprire l’orgoglio dell’appartenenza culturale ed economica ad un terroir, la voglia di costruire qualcosa, il desiderio di vivere in modo diverso la modernità. Per questo la gastronomia è uno degli indicatori sicuri per scoprire lo strato culturale sul quale un ristoratore costruisce il proprio mestiere: locali che non hanno vini del territorio andrebbero chiusi immediatamente per l’ignoranza e la mancanza di professionalità di chi ci lavora, medici senza laurea. Per fortuna le cose funzionano sempre meglio anche nelle campagne del Sud, negli ultimi anni la storia della viticoltura meridionale è ricca di nostos, ritorni, con tanti protagonisti ansiosi di valorizzare antiche proprietà, capaci di veicolare il territorio sui mercati nazionali e internazionali. Come nel caso di Arcangelo e Michele Giannattasio, padre e figlio, che recuperano l’antica tenuta del nonno che appartiene alla famiglia almeno dal 1872. Inizia così, supportato dalla mamma Carla, il grande lavoro di reimpianto, ben esposto durante tutto il giorno a 600 metri di altezza. Clima e terreno giustificano l’impostazione del vigneto in stile bordolese, con una densità di ceppi per ettaro tra i 7000 e i 9000, percentuale decisamente alta per il Mezzogiorno. La prima vendemmia è la 2003, da poco in commercio. Arcà è il nome dell’Aglianico fatto da Sergio Paternoster, un cru di grande spessore, capace di ricordarci Titolo 2003 di Elena Fucci, Barile 2003 di Franco Allegretti, Basilisco 2001 di Michele Cutolo, tanto per citare tre piccole produzioni a noi care in cui l’Aglianico del Vulture si esprime in modo compiuto, regale. Arcà ha un naso intenso e persistente, con uno spettro aromatico infinito, complesso, ricco di frutta, spezie, liquirizia, tabacco, cacao: in bocca si conferma grande grazie all’equilibrio tra la freschezza del vitigno e l’uso ragionato del legno, con un finale lunghissimo. Lo beviamo sulla spalla di agnello preparata all’Antica Osteria Marconi di Potenza tornata tra la gioia di tutti in grande spolvero.