Barone 2003 Falerno del Massico doc


REGINA VIARUM

Uva: primitivo
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Se c’è un vino che riflette esattamente il tema dei Popular Premium, ossia, traducendo in termini giornalistici, dunque esemplificativi, dei vini di fascia media a buon prezzo, questo è il Falerno. A cominciare dalla tipicità e dalla perfetta aderenza allo stile del terroir molto variegato perché passiamo dalla piana di Mondragone e Carinola ai 200 metri alle falde del Massico sino i 400 dell’area di Sessa Aurunca dove si trovano le due aziende più ad alta quota, Masseria Felica e Perrotta-Amore. Non è dunque un caso se non possiamo parlare di uniformità ai due stili avviati dalla aziende preesistenti, il grande frutto caldo e potente dei rossi di Moio e quello più austero e più morbido di Villa Matilde. Le famiglie Maddalena e Angelino da tempo sono dedite alla viticoltura, nella piccola proprietà ci sono vigne molto vecchie a bassa resa, e dal 2003 hanno iniziato a etichettare piccole quantità di rosso seguiti da Pietro Razzino, da sempre ben insediato nell’Alto Casertano. Venerdì scorso sul Mattino ho scritto del loro 2004, Pasquale entusiasta mi ha voluto far provare anche il 2003 che ricordavo vagamente e la prova di passito, così ho colto la palla al balzo inserendo questa degustazione nella corsia preferenziale per non perdere l’humus e soprattutto profittando del fatto che ieri finalmente sono riuscito a trascorrere una domenica a casa con i miei familari al completo, evento purtroppo raro. Ritengo che, fatta salvo la efficacia delle tecniche di degustazioni dell’Ais, uno dei parametri migliori nel valutare il vino sia sempre studiare il suo comportamento con il cibo e, soprattuttto, l’accoglienza in gruppi di persone dove ci sono alcuni che amano il vino ma che lo provano in modo non professionale. Non è pauperismo teorico o stucchevole appello alla semplicità, ma una valutazione molto pratica, perchè misura la capacità di penetrazione di un vino e dunque la reale propensione al suo acquisto. In questo caso funzionano alcune regole molto semplici, evitare di dare notizie tecniche, lasciare parlare il bicchiere e chiedere un parere fra un frizzo e un lazzo, vedere se il bicchiere si vuota. Sono prove che hanno però un rischio molto alto perché dovete sapere che meno la gente è abituata al bere, minore è la sua memoria olfattiva, tanto più apprezza quei vini legnosi e gommosi in stile Nuovo Mondo a cui molti hanno adeguato la loro produzione. Non sempre dunque la democrazia dei grandi numeri è Vangelo, anche questa va tarata e dunque analizzata. Un vino, a mio giudizio, è destinato ad essere ricordato per qualcosa quando riesce ad incrociare i gusti degli esperti e al tempo stesso essere gradito dal pubblico di fascia medio-alta, come un buon sceneggiato televisivo: in poche parole, anche nel vino si nota quello scollamento su cui tanto scrisse Gramsci in merito alla separazione tutta italiana fra intellettuali e massa, dovuta al fatto che la loro formazione non ha le radici nella scuola e nelle università pubbliche, bensì presso le corti dei signorotti locali o nei seminari ecclesiali. Basta osservare il linguaggio, sempre comunicativo nella tradizione anglosassone e francese, criptico ed esoterico in Italia dove il sapere segna il distacco più che il coinvolgimento dell’interlocutore. Oggi siamo in un’atmosfera restaurativa e di conservazione, ma il ’68, oltre alla capacità di sognare, l’utopia, aveva al suo interno proprio la grande spinta positiva di voler socializzare il sapere, porre la questione della conoscenza diffusa e di massa come una delle reali possibilità di riscatto di un popolo e di una classe sociale. In sostanza, non ha importanza quanto sei dotto e sapiente se non hai la possibilità di cambiare quel che non va, se non decidi di metterti in gioco, uscire dalla torre e verificare cosa pulsa nelle vene alla gente. Il sapere del vino ha una forte dicotomia fra il grande consumo di Tavernello e di sfuso e al tempo stesso la nascita di cenacoli un po’ ovunque in Italia molto ristretti che, come ai tempi delle invasioni barbariche, preferiscono stare chiusi in se stessi senza confrontarsi con il mondo. Eppure in questa dicotomia, questo il dato nuovo, c’è una fascia sempre più ampia di pubblico consapevole, quello che punta deciso ai Popular Premium, i cui numeri sono in grado non solo di cambiare gli orientamenti produttivi delle aziende, ma anche di imporre un certo tipo di comunicazione pubblicitaria a chi invece deve fare i grandi numeri. Queste fasce più consapevoli di pubblico sono trattate con disprezzo da chi ritiene di avere il codice  Dna del <vero vino> e non sono ovviamente considerate da chi fa brick: eppure sono loro che affollano le grandi serate di degustazioni, vanno in enoteca e spendono il giusto e non il meno, acquistano guide, diffondono la consapevolezza del nuovo bere. Rispetto al clima degli anni ’70 c’è però una sostanziale differenza, l’atteggiamento di chiusura all’epoca era riprovevole, giudicato nozionismo, onanismo, di questi tempi in cui l’individuo è solo, è invece una forte giustifica restauratrice: fermate il mondo, voglio scendere tanto nulla si può veramente cambiare. Ma è così? Vogliamo ricordare cosa era il vitigno meridionale sino a quindici anni fa, non dieci secoli fa? Cosa si beveva nei ristoranti di un certo tono e che porcherie stavano nelle osterie? Dunque cambiare si può, la passione ha senso solo se coordinata ad un impegno costante e quotidiano. Barone 2003 è fatto per piacere perché ha tipicità minerale molto marcata, un frutto sovrastante ed evoluto, forse un po’ più del dovuto a dimostrazione di un’annata che non ha i fondamentali per andare troppo avanti negli anni, soprattutto se parliamo di Primitivo, che è l’uva base utilizzata dai nostri amici a Falciano. Il nerbo di freschezza resta però ancora integro e salvaguarda la beva, davvero gradevole sui cibi della tradizione. Questa, ragazzi, è la Regina Viarum per chi vuole fare qualcosa di serio nel mondo della produzione.

Sede a Falciano del Massico, via Vellaria Ia traversa. tel e fax 0823.931299. www.reginaviarum.it [email protected]. Ettari: 2 di proprietà. Enologo: Pietro Razzino. Bottiglie  prodotte: 10.000. Vitigni: primitivo.