Polemiche stagionali: BianchIrpinia è saltata. Perché? Ecco un’analisi marxiana della realtà


Il nostro caro Karl Marx

Sono molti gli appassionati, gli studiosi e i critici che non riescono a risolvere questo ossimoro: come mai l’Irpinia è uno dei territori enologici più interessanti d’Italia ed è al tempo stesso anche tra i più arretrati nel presentarsi all’esterno? Come mai esistono aziende splendide da visitare ma è difficile organizzare un percorso enoturistico se non a costo di molte ore e tanta fatica?
Il Consorzio ha praticamente levato mano (come si dice a Napoli) e l’Anteprima Taurasi si è svolta solo per iniziativa privata a cui il Comune di Taurasi ha fatto pagare il Castello perché la manifestazione gli ha occupato le sale ogni giorno affollate di migliaia visitatori e appassionati che arrivano con i pullman dopo la mitica inaugurazione elettorale tenuta con  Bassolino e Nappi nel dicembre 2009 che costò centomila euro di vecchie lire:-)

C’è stato qualche tentativo di interpretazione, come il gustoso articolo degli amici Alessandro Franceschini e Maurizio Paolillo su Porthos qualche tempo fa che ha avuto il pregio di essere divertente, di aprire senza dubbio il dibattito, ma di non aver centrato sino in fondo la questione inserendo anzi elementi che francamente c’entrano molto poco con  l’Irpinia, tipo la delinquenza organizzata che, come ben sanno coloro che si occupano di queste cose, non è determinante oltre la Valle di Lauro e Baiano.


Nonostante le apparenze, sono molto metodico e sono dunque tornato ai vecchi sistemi di un tempo, quando negli anni ’70 si faceva politica di territorio nelle scuole e nei quartieri, convinto appunto che è l’essere sociale a determinare la coscienza; anche se questo assunto marxiano non deve essere preso sempre alla lettera altrimenti non ci spiegheremmo Che Guevara. Ma questa è una considerazione di maturità postuma.
Resta il dato di fondo, molto vero, che la maggior parte di noi la pensa a seconda di come arriva il piatto a tavola.
La disumana politica della Lega ne è un esempio.
Se per esempio siamo a carico delle famiglie e campiamo sostanzialmente sui redditi dei nostri genitori perché la società non offre più spunti sicuri di lungo periodo, saremo portati al facile ipercriticismo, la tentazione di rovesciare il tavolo sarà molto forte, perché, male che vada, avremo sempre un piatto da mangiare e un letto su cui dormire. E, poi si sa, se si strilla un po’ i genitori finiscono per darti sempre ragione. Allo stesso modo, se il nostro futuro non dipende esclusivamente dalle bottiglie vendute, possiamo concederci molti lussi, come tenere il punto, o magari non fare nulla aspettando che siano altri a muoversi.
Al di là di questo sociologismo da sala di attesa del dentista, purtroppo però molto fuso alla realtà quotidiana, vediamo allora la situazione irpina.


Dunque ho rispolverato le mie guide e incrociato i dati con l’ultima pubblicazione della Camera di Commercio di Avellino vedendo effettivamente, azienda per azienda, come stanno le cose.
Oltre le cifre iscritte alla Camera di commercio, sono 140 circa le aziende effettivamente operanti. Di queste, quattro (Mastroberardino, Terredora, Feudi e Montesole), superano il milione di bottiglie ma solo Feudi va oltre i due mentre quattro (Di Meo, D’Antiche Terre, Struzziero, Vinosia), sono sulle 500.00 bottiglie. Il panorama dei produttori professionisti è completato dalla presenza di tre aziende napoletane (Cantine Astroni, Grotta del Sole, De Falco), una casertana (Villa Matilde), una abruzzese (Vesevo di Farnese), una con radici pugliesi (San Paolo).
In complesso, comprese le aziende che abbiamo citato, sono circa 35 le cantine professionali, cioé che vivono esclusivamente grazie al reddito prodotto in agricoltura.
Tutte le altre sono composte da persone che fanno un altro mestiere (ingegnere, operaio, avvocato, asfaltatore, allevatore, geometra) e che avevano vissuto in precedenza la viticoltura solo come reddito integrativo. Si tratta cioé di figli o nipoti di contadini che hanno studiato, si sono urbanizzati e hanno ricevuto un pezzetto di terra in eredità. In soldoni, vendevano l’uva alla Mastroberardino sino al 1990, quando le aziende imbottigliatrici erano appena dieci. Successivamente anche ai Feudi. Solo un caso nasce come investimento da rimesse di emigrazione, due come articolazione della propria attività di enologi o studioso, tre da imprenditori di altro ramo che hanno o valorizzato o comprato vigneti nel proprio paese di origine organizzando però la cantina come azienda autonoma.


Delle aziende di vera origine contadina di cui tanto favoleggia chi ancora è fermo a Ernesto De Martino, appena due sono aperte dopo il 2004 (Il Cancelliere e Boccella), una ha venduto (Alessandro Caggiano) dopo aver declassato per anni il prodotto per piazzarlo a prezzo più basso. Stop.
Contadini irpini non ne esistono più da almeno trent’anni, almeno quelli che abbiamo visto combattere i piemontesi nei film di Amedeo Nazzari. O sono emigrati o sono stati assunti negli enti pubblici, oppure hanno studiato e hanno abbracciato le professioni liberali. Quelli che non sapevano proprio fare nulla sono diventati amministratori dei loro comuni
Altro che viticoltura della sopravvivenza, questa è agricoltura di risulta professionale e di abbondanza calorica. E se ne parliamo e ci appassioniamo è perché ci sono i grandi e piccoli marchi commerciali affermati grazie alla qualità dei loro prodotti.


In questa prospettiva è sorto il fenomeno dei fornitori di uve che si sono trasformati in produttori. Quelli che hanno fatto questo passo all’inizio degli anni ’90 si sono ritrovati un marchio grazie al positivo fenomeno di riscoperta della viticoltura italiana: Molettieri e Caggiano per l’Aglianico, Benito Ferrara per il Greco, Clelia Romano e Guido Marsella per il Fiano. Tutti sono di prima generazione e alle prese con il ricambio che per fortuna sta riuscendo. Era esigenza delle guide e del giornalismo scoprire nuove cose e il meccanismo ha funzionato bene per tutti. Anche perché si è lavorato bene.
Come si vede, dunque, siamo in presenza di un tessuto produttivo sulla carta numeroso ma di fatto molto esiguo e totalmente privo di auto-coscienza collettiva, oltre il 75% delle aziende iscritte produce meno di centomila bottiglie.
Solo Mastroberardino/Terredora e Struzziero hanno vissuto la crisi della fillossera e la guerra. Solo dieci aziende erano piedi prima del terremoto del 1980. Non 1880!


Cosa comporta questa analisi della base produttiva della viticoltura irpina?
Primo: lo scarso, scarsissimo peso politico e sociale. Qualsiasi persona sana di mente avrebbe puntato sulla viticoltura dopo il sisma. Il ceto politico dell’epoca, dominato dai demitiani e dai comunisti, non vedeva invece nessuna prospettiva nel lavoro dei campi e ha individuato nella costruzione di grandi nuclei industriali l’unica possibilità di riequilibrare il peso delle aree interne rispetto alla costa. Esattamente l’opposto di cui si aveva bisogno. Esattamente però quello che chiedevano gli elettori: non vogliamo più coltivare la terra, meglio fare i portieri in città e poi coltivare un po’ di insalata biologica nel tempo libero per non prendere il cancro.

Secondo, come i bamboccioni che ho citato prima, alla fine almeno l’80% delle persone impegnate a produrre vino in Irpinia potrebbero sopravvivere tranquillamente e senza grandi sacrifici se una legge proibisse improvvisamente la vendita pubblica di alcol.
Qualcuno perderebbe un po’ di soldi, ma alla fine non sarebbe un dramma.
Le grandi aziende, e quelle venute da fuori, sono ben consapevoli di questa situazione di debolezza del resto della filiera. Non sono contrarie alla esistenza delle piccole, ma non le ritengono affidabili, non le prendono sul serio.
In effetti l’immagine che può rappresentare la situazione è un cono rovesciato: per questo le grandi cantine sanno bene che il loro futuro è affidato sostanzialmente alla possibilità di rafforzare il marchio aziendale più che il territorio in astratto.
Enzo Ercolino ha rappresentato questa filosofia senza se e senza ma.

In poche parole, credo che di fatto le aziende che superano le 500.000 bottiglie regalano molti visitatori e molti acquirenti al territorio, ma il sistema nel suo complesso non regala neanche una bottiglia alle grandi. Una che è una, no. E questo i produttori professionisti lo sanno benissimo.
Insomma, per dirla brutalmente, nessuno compra Feudi o Mastroberardino per provare un vino irpino. Ma esattamente il contrario. I milanesi hanno conosciuto la Falanghina grazie a Feudi, non i Feudi grazie alla Falanghina.

Prova provata un giro nei ristoranti italiani del centro nord che chiunque si interessi di queste cose dovrebbe fare abitualmente ogni anno, per capire che in carta ci sono solo i “grandi” e qualche “piccolo” (Marsella, Ferrara, Caggiano, Pietracupa, Molettieri, Vadiaperti, Picariello, Quintodecimo).
Nella maggioranza di ristoranti di fascia medio-alta nella lista dei rossi ci sono solo Taurasi Mastroberardino, Montevetrano, Terra di Lavoro e Vigna Camarato di Villa Matilde.

Una situazione angosciante?
Per nulla. Sarebbe strano se le cose stessero diversamente. Era angosciante per me trovare le bottiglie Santa Margherita nelle pizzerie di Napoli alla fine degli anni ’80. Questo sì che era deprimente.
Io sono abituato sempre a vedere il bicchiere mezzo pieno. Infatti spesso confondo un coglione per una possibilità:-)


Da consumatore so di avere molte possibilità a buon prezzo, buone tipicità, molte sorprese, tanto entusiasmo e tanti giovani impegnati. Alla fine se un ingegnere invece di sputtanarsi i soldi a Capri o a troie valorizza la sua proprietà è un dato positivo per il territorio.  E così è stato, in effetti.
Da giornalista però so che comunque questa situazione di sviluppo è affidata all’autogoverno del mercato: se l’export come pare riprende, ad un certo punto alcune aziende si porranno il problema di come crescere insieme.

Probabilmente si tratterà di prendere finalmente e serenamente atto del fatto che i grandi (anche se questa parola nel mondo globale fa un po’ sorridere) hanno degli interessi precisi comuni mentre le piccole aziende, quelle che vivono di reddito integrativo e non principale, ne hanno altri. E che se queste due esigenze, a mio giudizio (e a quello molto più autorevole del professore Eugenio Pomarici) niente affatto in contrapposizione bensì ad adiuvandum, ogni tanto si incrociano, sarà necessario che chi di dovere ne prenda atto.
Al momento, non esiste un numero di aziende irpine sufficiente a sostenere una manifestazione di promozione autofinanziata in grado di incidere positivamente sul loro fatturato e dare ristoro a chi questo lavoro di comunicazione di qualità vuole farlo. Per le “grandi” diventa una testimonianza di affetto del territorio, così come per le piccole che hanno il marchio consolidato, mentre per le altre non ha poi molta importanza andare oltre il loro giro di distribuzione.

E noi? Continueremo a raccontare e a incoraggiare chi vuole fare seriamente.
Questo è il nostro lavoro. Niente altro, semplicemente raccontare. I vini che ci piacciono, le vigne dei nostri sensi e le persone che amiamo.
E a incoraggiare.
Però vi diciamo anche: Giocagiò non va più in onda.

19 Commenti

  1. Caro Luciano,
    inutile dirti che la tua analisi è come al solito lucida e realistica. Dal mio piccolo osservatorio di distributore estero di alcune delle eccellenze Irpine, non ti nascondo quanto possa essere frustante presentare questi grandi vini ai buyers stranieri per poi sentirsi dire: “vini eccezionali, ma il prezzo non è in linea con quell’altro Greco, Fiano, Taurasi etc…”
    In un panorama di aziende così piccole, ci sarebbe veramente bisogno di un supporto istituzionale che promuova il territorio, nessuno dei vari Molettieri, Caggiano etc. ha la forza dei numeri per imporre il proprio “brand” , solo il lavoro di squadra potrebbe dare visibilità all’Irpinia.
    In tutto ciò non voglio negare l’importanza dei marchi storici, senza di loro non ci sarebbe mai stato il fenomeno vini di qualità in Irpinia, ma la Francia insegna che in un territorio vocato possono coesistere senza problemi realtà diverse con obiettivi di mercato diversi.
    Comunque vada, come te, continuerò con orgoglio a parlare nel mondo dei grandi vini Campani
    Grazie

    Antonio Ciccarelli

    1. Caro Antonio
      E tanto che non ci vediamo. Siccome ho perso i tuoi contatti,
      mi daresti la tua mail? così ti spiego due cosette.
      Lello

  2. right on, luciano…” Continueremo a raccontare e a incoraggiare chi vuole fare seriamente.
    Questo è il nostro lavoro. Niente altro, semplicemente raccontare. I vini che ci piacciono, le vigne dei nostri sensi e le persone che amiamo”

    ma sopratutto “E a incoraggiare.”

  3. Si si Luciano, il tuo ragionamento non fa una grinza…a cominciare dal ruolo pressocchè inesistente del consorzio di tutela ( di cosa?), ma lo vogliamo dire in mano a chi è questo consorzio? E’ in mano, mi dispiace dirlo, con l’avallo dei cosiddetti grandi, a chi sta facendo fallire l’unica iniziativa cooperativistica dell’Irpinia nel settore vino. L’hai ricordato tu, come si fa da parte del comune di Taurasi a farsi pagare la sala del castello per svolgere una manifestazione che porta alla ribalta nazionale il suo stesso territorio? Allora delle due l’una : o significa essere tonti, ma proprio tonti, oppure i beneficiari non coincidono… come dovrebbe essere. Beh, ma anche questo l’hai già detto tu, ” Quelli che non sapevano proprio fare nulla sono diventati amministratori dei loro comuni “…Ma se ho capito bene il problema è di non riuscire a raggiungere un numero minimo di adesioni di aziende che consenta di coprire le spese. E se aderissero meno della metà delle cantine esistenti, diciamo 50, voglio sperare abbiano la disponibilità di 500 euro a testa per promuovere i propri prodotti, perchè di questo si tratta, si arriverebbe a 25000 euro che, tenendo la manifestazione in una location comunale a costo zero, naturalmente comune di Taurasi escluso, dovrebbero essere sufficienti a coprire le spese e ovemai non lo fossero, l’istituzione Provincia potrebbe sempre integrare qualcosa…si elargiscono tanti di quei contributi per associazioni, sportive e non, feste patronali, sagre delle farfalle al salmone ecc ecc. Se così non è, nel senso che non ci sono le 50 cantine disponibili a tale adesione, beh, allora ” leviamo mano ” seguendo le orme del consorzio di tutela ( di chi?)…

    1. Mi accorgo di non aver sviluppato tutta la riflessione, preso dall’analisi.
      Il punto è che la società miriade&partners, in base alle adesioni ricevute avrebbe comunque potuto organizzare qualcosa perché ci sono state circa 25 aziende che avevano aderito (come vedi i conti tornano). Ma gli organizzatori, secondo me molto opportunamente, hanno voluto dare un taglio: o le cose si fanno al massimo livello o meglio non farle. L’era del volontariato è finita.
      Questo taglio di impostazione a me è piaciuto, e l’esito non deve essere visto come una cosa negativa, ma come un momento di riflessione.
      E’ inutile che adesso i politici si accorgono dello scippo dlel’enoteca regionale. Chi doveva sostenere queste manifestazioni, ci doveva animare il territorio se non gli amministratori? Le sigle son ocome la terra: se qualcuno non la coltiva alla fine c’è sempre qualcuno che inizia a farlo e poi farà valere l’uso capione

      1. A proposito dell’ Enoteca Regionale, notizia fresca fresca, data da Irpinia tv : sai chi ha perorato la causa della sua imprescindibile presenza in Irpinia? Addirittura… Ciriaco De Mita :-((

  4. Scusa Del Franco ma puoi cortesemente spiegarle anche a noi comuni mortali le (DUE COSETTE),visto che il dibattito e’ pubblico e parliamo di questioni della nostra cara provincia sempre piu’ in mano a pseudo faccendieri del momento.
    Salutoni Speranzosi da NY

        1. Michele, se conosci un po’ Lello puoi facilmente capire che il suo scherzoso “NO” è un modo per non creare, a mio avviso giustamente, polemiche che non hanno motivo di esistere. Sicuramente non si tirerà indietro se vorrai scambiare due chiacchiere “in privato”. E ovviamente vale anche per me.

          L’analisi di Luciano è condivisibile fino all’ultima riga ed è questa secondo me l’aspetto più interessante su cui discutere. Dal nostro punto di vista non è certo piacevole che una manifestazione non si faccia, però mai come questa volta c’è anche la serenità di una scelta assolutamente naturale, da non drammatizzare oltremodo.

          Il distretto irpino è ancora in costruzione, sotto molti punti di vista, ed è molto salutare avere occasioni per prenderne atto. Finché tutto si faceva grazie ai vari finanziamenti non era possibile rendersene conto fino in fondo, ora si può e questo è già un dato molto importante, in ogni caso costruttivo perché non drogato o distorto da una “simulazione”.

          Ringrazio Angelo per le belle parole, ma credo che alla fine debba restare sempre in primo piano la straordinaria vocazione del territorio irpino a generare vini di stoffa e personalità. Il merito, se c’è n’è uno, è tutto di quelle colline, di quelle varietà, di quegli uomini. Se non ci fossero interpreti di eccellenza, ci sarebbe poco o nulla da raccontare e proprio nulla da organizzre. Noi semplicemente abbiamo cercato e continueremo a cercare, come dice Luciano, di condividere quel che abbiamo imparato, raccogliendo le esigenze di chi ha interesse a confrontarsi dai due lati della vigna e del bicchiere. Le manifestazioni non sono di chi le organizza, ma di coloro a cui interessano, quando e se interessano.
          Io faccio il giornalista e ho la “fortuna” di potermi occupare di queste cose essenzialmente come motore di approfondimento per fare meglio il mio lavoro. Diana, Massimo e Lello sono accumunati dalla medesima passione, ma la loro è un’azienda che vive e deve vivere di vita propria: non è un reddito integrativo, appunto, come dice Luciano… E come ricorda anche Saviano, il lavoro va pagato, perché solo così si può pretendere il massimo dei servizi e della professionalità.
          Non ci fermeremo di certo, questo è sicuro: anzi, proprio passando per tappe intermedie come queste si può crescere e pensare ancora più in grande: come si dice nel web 2.0 stay tuned… :-))
          scusate per la lunghezza, ma questa volta era davvero il minimo sindacale..

          1. Carissimo Paolo, innanzitutto onore al merito : pochi si sarebbero presi la briga di metterci la faccia, come avete fatto voi, tentando, in qualche caso riuscendoci ( anteprima Taurasi ), in qualche altro no ( bianchirpinia ), di riprendere due delle tre manifestazioni essenziali per la promozione del vino e delle aziende vitivinicole dell’Irpinia, che il consorzio di tutela sciaguratamente aveva buttato a mare. Lo sapete quanto vi stimo, sia dal punto di vista professionale che da quello umano soprattutto, capisco anche che determinate valutazioni vanno fatte anche tenendo conto della collocazione del proprio ruolo, e per questo non chiedo a te, o a Luciano, giornalisti di professione,di esprimere dei giudizi sui comportamenti di aziende con le quali, a cominciare da domattina, vi dovrete riconfrontare e collaborare, ma lasciami fare alcune osservazioni da appassionato di vino, da operatore dell’enogastronomia tipica irpina, ma soprattutto da irpino al quale stanno a cuore le sorti della nostra terra e dei suoi figli. Fondamentale è renderci conto che lo sviluppo dei nostri territori si fonda, venendo a mancare l’apporto delle poche industrie presenti, essenzialmente e necessariamente su due prodotti, le uve e le nocciole e quindi su tutto quanto ad essi strettamente correlato (enogastronomia tipica, enoturismo, prodotti tipici ecc. ecc.). Non è il luogo, nè il caso di fare un’analisi socio-economica della nostra provincia, tra l’altro già accennata da Luciano in questo pezzo, ma questo concetto basilare, alla luce dell’esperienza economica dell’Irpinia negli ultimi quindici anni, è innegabile. Ora mi domando, considerando quanto innanzi scritto, è incoscienza il comportamento di chi , chiamato a contribuire con piccole somme per la promozione dei propri prodotti, fa orecchio da mercante ? Sarà magari sfiducia nel “format” di queste manifestazioni ?
            Sarà per il carattere troppo spesso da “carrozzone politico” che per il passato hanno assunto? Sarà per… boh!!! Scusate, ma perchè non glielo chiediamo, direttamente ai produttori, magari in una pubblica assemblea? Non credo che il mondo dei produttori irpini giudichi tempo e soldi sprecati tali iniziative, almeno in assoluto. Magari verranno fuori delle salutari polemiche, ma alla fine, a chiarimento effettuato, sicuramente si resetteranno le menti da tante incomprensioni e riserve mentali che sicuramente esistono e si percepiscono. Ed è lì, sulla chiarezza, e recuperando tutto il tempo perduto, che possiamo ricostruire un percorso di veloce e fattiva valorizzazione dell’Irpinia, dei suoi territori, e soprattutto dei suoi vini. Da irpino, non credo e non voglio credere che ai produttori di questa terra non stiano a cuore la propria attività (prima o seconda che sia), e le proprie radici… Ti abbraccio
            P.S. Scusate l’incontinenza…beh, sapete, ad una certa età…;-))

  5. Si assiste all’ennesima trovata di chi sente la solita esigenza, tutta nostra, di una macchina promozionale “ben oliata” piuttosto che rodata e competente; un orizzonte, inutile dirlo, a sole tinte fosche, null’altro.

    Tant’è che mi sento di ringraziare, e lo dovrebbero fare tanti produttori, gli amici Paolo, Raffaele, Diana & Co. che negli ultimi anni, nonostante tutto, hanno continuato a lavorare per consentirci di avere contezza e, quando opportuno, di scoprire cosa accadeva nel frattempo in Irpinia. Se oggi riesco a proporre con la mia carta “l’Irpinia” in maniera più consapevole, più ampia, più profonda, un po’ di merito è certamente anche loro.

    L’analisi di Luciano, naturalmente, non fa una grinza! :-)

  6. Siamo rimasti davvero basiti quando abbiamo appreso la notizia, ancora una volta una sconfitta, questa volta drammatica, perchè tocca il nervo scoperto, della voglia di fare di professionisti della comunicazione. Mi permetto di scrivere, che l’Associazione DI.V.I. c’era nella “quasi” sua totalità degli appartenenti e, questo, è un dato importante. Chi scrive appartiene ad una categoria, penso unica in Irpina, chi viene dallo stesso settore, famiglia, che campa con il vino e che ha voluto investire (e tanto) su un territorio. Così, se posso permettermi, la sconfitta è ancora più pesante. Condivido anche la scelta di fare un passo indietro degli organizzatori, perchè davvero bisogna finirla con l’improvvisazione. Ora, parlando di passi, portiamo a casa la lezione e, andiamo avanti.

  7. @ Lello Tornatore
    Grazie per i consigli ma è stato gia tutto fatto. Puoi dormire sereno.

  8. bella analisi, che dire? Quel che non va è che se ci sono aziende, diciamo, poco motivate e propopense al lavoro come quelle che non ci campano, le loro bottiglie fanno comunque numero e buttano giù i prezzi. Ciò dando per scontato che siano tutte buone e che quindi non tirino giù anche il livello medio qualitativo. Quello che è veramente grave è che, come dici Luciano, determinano una paralisi decisionale e anche operativa. Fanno massa critica e poi non ci sonpo qunado servono. Secondo il tipico atteggiamento meridionale non si fanno le cose fino in fondo senza dire che si manca di un senso di responsabilità piu’ collettivo: sono anche loro rappresentanti del territorio come tutte le altre. E avendo deciso di far vino invece che dentifricio, si direbbe che lo amino. Quindi il fatto che abbiano il sufficiente, o più, per campare anche senza vendere tutte le proprie bottiglie e anche snobbando le kermesse, dovrebbe mettersi sul territorio come esempio virtuoso. Loro che non hanno la fretta del realizzo posso lavorare con maggiore serenità su molti aspetti importanti, senza tuttavia addormentarsi, no? Avere qualche soldo in più a volte coincide che una certa nobiltà. Ai produttori che possono permetterselo si può chiedere che assumano un ruolo di trascinamento rispetto al territorio, no? Anzi direi che si potrebbe moralmente pretenderlo.

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