Bibenda, una copertina coraggiosa sull’olio d’oliva e un articolo di Lamberto Sposini



Che bello. Una patinata rivista di vino che dedica la copertina all’olio d’oliva. Questo sì che è un atto di coraggio, lo si può fare solo quando si è talmente forti da permettersi anche di “bucare” una uscita sul vino, argomento di audience più facile.

Franco Ricci ha il merito di aver fatto comprendere al pubblico romano quanto sia importante bere bene. Ne avessimo avuti altri tre o quattro sparsi in Italia la situazione sarebbe ancora migliore.
Anni fa lanciò i degustatori dell’olio con una guida, ma qui la battaglia è ancora molto dura. Benché sia decisamente più importante assumere grassi di natura vegetale di alta qualità rispetto al bere vino, ormai fuori dalla dieta quotidiana, in realtà continua il disinteresse del grande pubblico su questo argomento. I bravissimi Luigi Caricato e Marco Oreggia sono due belle voci clamans in deserto.
Ora spendere una copertina Bibenda su questo tema è una bella operazione culturale. Così si diffonde la cultura dell’olio in un segmento completamente dominato dalla grande industria e dagli interessi delle multinazionali.

L’articolo di Lamberto

E poi questa è stata l’occasione anche per pubblicare l’ultimo articolo fatto da Lamberto Sposini, scritto proprio per Bibenda.

Proprio un bel numero. Con le palle.

3 Commenti

  1. Sono andato a leggermi le considerazioni di Sposini su Bibenda: in particolare suona impietoso e al tempo stesso propositivo il paragrafo (leggibile anche parzialmente nella foto di apertura di questo post) sulla considerazione che si ha per l’olio nei programmi tv, in cui i cuochi spignattano h24, si discetta, si parla in prima persona plurale, si ammicca su presunti trucchi del mestiere, ci si pavoneggia, si esaltano i fagiolini del paesello e , al momento dell’olio, risuona la fatidica frase: olio extravergine ( toh, come dire che non ci son più le carrozze e si viaggia in aereo), un giro a crudo (fa figo) e pepe macinato al momento. Sposini si chiede quale olio, perché quello e non altri, ce ne son diversi (come il pepe o il sale), con quali profumi e soprattutto con quali costi. Un filo di olio a crudo: una affermazione, un gesto che può essere mestamente conclusivo, poveramente esaustivo, o al contrario, esser punto di partenza di curiosità, di conoscenza (perché un filo, perchè a crudo, perché un olio, perché quello…). E’ quanto accade in televisione, e Sposini da esperto sia di tv che di olio, sembra voler fare capire che va bene i cuochi, va bene lo spettacolo, va bene gli spadellamenti, ma non col solo fine di apparire, di ammiccare, ma anche per tentare un circolo virtuoso, per seminare qualche informazione, qualche dubbio, per recuperare qualche gesto perduto. Si può tentare di educare divertendo, con qualche approfondimento, andando oltre le benedetteparodi e le agenzie del folclore turistico: da questo punto di vista, alcuni post del direttor Pigna, da quello sugli chef di Signorini, a questo sull’olio, fino a quello sulla pizza surgelata, sembrano voler traccciare una via, spargere qualche curiosità, cercare qualche riflessione. Nello stile e nella storia del direttore, va senza dire ;-)

  2. E perché ancora olio extravergine e non olio da olive? Perché non si parla mai di polifenoli e monocultivar, oleologi e elaiotecnica?

    Allo stato della cultura odierna ci basta solo sapere che l’olio da olive rientra nella dieta mediterranea quindi a pieno diritto alimento patrimonio dell’UNESCO. Il resto e’ solo coltura e niente più… sconcertante!!!

    1. Mi accontenterei dei cultivar. Eppoi, come scrive Sposini, tralascerei il Mediterraneo e le sue diete, facendomi bastare con orgoglio l’importanza decisiva, ma bistrattata, dell’olio nella cucina italiana. E basta.

I commenti sono chiusi.