Chiacchiere distintive| Antonio di Gruttola, naturalmente enologo


Antonio di Gruttola in un suo viaggio in Georgia

di Angelo Di Costanzo

Nel preparare questa intervista mi era d’obbligo non cadere in domande troppo convenzionali perché a pensarci bene, il tuo approccio al mestiere è alquanto non convenzionale; ci spieghi cosa significa, in cosa consiste la tua filosofia di produzione?
Devo fare una piccola premessa. Dopo gli studi ho lavorato per alcune industrie del settore vinicolo ed ho capito che ero nel posto sbagliato. Nella vita bisogna seguire il proprio istinto ed essere un po’ folli e quando ho deciso di abbandonare quel tipo di lavoro l’ho fatto in maniera radicale. Ho voluto e voglio seguire solo aziende a cui interessa seriamente fare i vini in modo artigianale-naturale e purtroppo al sud sono poche le persone che credono in questo approccio. Il suolo, che per troppo tempo è stato considerato insignificante e per questo maltrattato e lasciato morire, rappresenta invece il punto di forza, l’inizio di tutto, per qualsiasi coltura. Ed io sono il tipo di persona che ama sentire il sapore dei prodotti che ci dà Madre Natura. E quando un suolo è vivo, allora la vite sta meglio e tutti gli interventi che avvengono nel vigneto sono legati al mantenimento di questo equilibrio. Senza lottare con la Natura ma assecondandola rispettandola. In cantina non esistono protocolli di vinificazione ma solo annate diverse, forse anche questo va contro le logiche dell’enologia moderna, in realtà niente di così trasgressivo, io non sono uno di quelli che firma i vini, questo mi sa tanto di industria, sicuramente per Cantina Giardino decido io tutto, però chi mi sceglie come consulente sa che potrà ritrovarsi nel proprio vino.


Biologico, Biodinamico, Vini Naturali: senza dover fare per l’ennesima volta l’ennesima precisazione, ci dai però il tuo punto vista in merito?
Io sono nettamente per i vini naturali senza certificazioni, ho molti amici produttori che pur avendo le certificazioni non le utilizzano, ho clienti che sono biologici certificati, alcuni fanno biodinamica ma non è questo che è importante, è il valore etico che portano con sé i produttori che seguono queste strade. Non c’è diversità se si rispettano i suoli, le viti, le persone, se in cantina non si manipolano i vini per ragioni commerciali.

Quali sono secondo te le principali difficoltà, ammesso che ve ne siano, che incontrano questi concetti con le moderne tecniche enologiche?
Non si incontrano, di conseguenza nessuna difficoltà.

In una recente pubblicazione, il professore Attilio Scienza ha affermato, pur lodandone alcuni aspetti, che le pratiche naturali e la biodinamica in particolare, rimangono “agricoltura da presepe”, cioè fine a se stessa e privata di qualsiasi possibilità di sperimentazione e ricerca; secondo te ha torto o ha ragione?
Non ne ho idea, non sapevo che il professor Scienza avesse lodato alcuni aspetti della biodinamica, so solo che i prodotti che vengono da questo tipo di agricoltura sono più buoni, più sani, digeribili, gustosi, invitanti.

C’è stato un tempo in cui la Campania era vissuta come terra di conquista per consulenti enologi, anche di fama internazionale; un fenomeno bruscamente ridimensionatosi negli ultimi anni: merito del genius loci o un limite della nostra cultura conservatrice che li ha allontanati?
Veramente i consulenti enologi di fama internazionale li vedo ancora presenti. Il numero di aziende negli ultimi anni è aumentato in maniera esponenziale, dunque si sono formate sul territorio molte figure professionali in questo settore.

Chi sono stati, se ci sono stati maestri, i tuoi riferimenti in materia?
I miei maestri sono e continuano ad essere, tutte quelle persone con cui ho degli scambi interassanti, soprattutto di bottiglie! Ho amici produttori in tutto il mondo che vado a trovare, che mi vengono a trovare, con cui mi confronto e con cui ci si scambia liberamente informazioni.

Veniamo a Cantina Giardino, cosa rappresenta per te?
Cantina Giardino rappresenta per me la scelta più folle ed importante della mia vita, dove grazie a mia moglie e ai miei migliori amici ho potuto dare libero sfogo ad ogni sperimentazione di vinificazione che mi è passato per la testa. Non è stata una scelta commerciale è un fantastico laboratorio enoculturale, che ha consentito ai nostri viticoltori di sentirsi parte di una squadra e di continuare a vivere di questo mestiere senza estirpare le loro radici, ha dato l’opportunità a noi soci di continuare a sentirsi dei ragazzi ed infine, secondo me, ha dato una bella scossa al mondo dell’enologia campana.

I tuoi vini indubbiamente sorprendono, più di una volta conquistano, talvolta dividono. Perché?
I miei vini devo dire che mi hanno sorpreso, soprattutto sulla distanza. Intanto posso consigliare di non avere fretta quando li si ha nel bicchiere, in modo da permettere loro di esprimersi, un vino naturale cambia è dinamico è vivo. Poi posso aggiungere che quando si assaggiano vini come questi non si possono utilizzare i propri parametri di riferimento formativi, a meno chè non ci si sia formati solo con i vini senza aggiunte. Considera che molti dei nostri vini sono anche senza solforosa aggiunta e forse pochi sanno che questa cosa ne aumenta la piacevolezza e la digeribilità in quanto presentano meno spigoli e limitazioni.

Fiano, Greco, Aglianico, Coda di Volpe nera (di cui conservo ancora qualche bottiglia di duemilaquattro!), dove pensi sia più facile e dove più difficile esprimere appieno il così detto terroir?
In nessuno è difficile eprimere il terroir se si lavora come ho spiegato. Il fatto che tu abbia qualche bottiglia di Volpe Rosa 2004 la dice lunga secondo me, conservare un rosato 2004 12 % vol senza protezione di solforosa o è da pazzi oppure è da persone consapevoli anche della longevità dei vini naturali.

Qual è secondo te il limite più evidente della viticoltura Campana?
L’utilizzo della chimica in vigneto e non avere la capacità di guardare oltre considerando il nostro patrimonio ampelografico rispetto alle altre regioni.

Quello della critica enologica?
La critica enologica è cresciuta molto in Campania, ci sono persone molto competenti che non si dimenticano delle piccole realtà.

L’aglianico, quello irpino in particolar modo, è considerato tra i più interessanti vitigni italiani eppure esprime vini a cui sembra sempre mancare qualcosa per consacrarli definitivamente, che conquisti definitivamente il consumatore, l’appassionato, perchè?
Manca la storia, non quella dell’aglianico d’Irpinia ma quella delle bottiglie. Infatti nell’ultima Anteprima Taurasi 2007 hanno fatto una retrospettiva con il 2001 reperendo poco più di 10 campioni. Senza la storia rimane interessante ma non ci sono le prove materiali per consacrarlo al grande pubblico. Io sono tra quei fortunati che hanno assaggiato qualche Aglianico d’Irpinia di più di 30 anni e posso dire che è un vitigno che può competere con molti mostri sacri.

Togliendoti dall’imbarazzo di dire “…quello di Cantina Giardino”, qual è secondo te un modello cui fare riferimento oggi?
Non mi metti in imbarazzo perché Cantina Giardino una pecca l’ha sempre avuta, non ha vigneti di proprietà. Il mio nuovo progetto è un’azienda agricola che è nata nel 2010 a Montemarano in contrada Chianzano, con piante di oltre cento anni, su una collina dove si produce uva da sempre, con un sistema ben isolato e tutto a raggiera tradizionale avellinese come piace a me, dove nascerà una cantina in bioedilizia e dove potrò nuovamente dare sfogo alla mia follia. Ecco spero che in futuro possa diventare questo un modello di riferimento.

Ricordi invece un vino per te memorabile, che magari avresti voluto firmare tu?
Io non firmo, comunque sono due i vini che mi sono piaciuti davvero molto. Il primo è stato il Barbacarlo 1972 di Lino Maga il cui tappo è praticamente uscito da solo grazie alla spinta della carbonica e il secondo è stato il Rkasiteli di una vecchietta di 94 anni , in Georgia, nella regione del Kakheti ai confini con la Cecenia, che mi è stato servito dopo l’apertura di un’anfora di 4000 litri interrata in cantina.

Tre vini che invece secondo te non devono mancare nella esperienza di un appassionato?
Riesling Domaine Gérad Shueller, il Barbacarlo di Lino Maga, il Barolo Bartolo di Mascarello; Drogone, Cantina Giardino (ah, sono quattro ma mancava una cantina del sud e comunque potrei fare un elenco molto più consistente, l’appassionato deve bere!).

Domenica prossima a Bacoli, ritorna Parlano i Vignaioli giunta alla seconda edizione. Ci puoi anticipare qualcosa?
Ci sono produttori molto interessanti, spero che il pubblico sia numeroso, mancava nel Sud una manifestazione di questo tipo e da anni ne parlavamo. L’educazione ha bisogno di un giusto ritmo. Ogni anticipazione, come ogni ritardo, porta a delle alterazioni. Il Sud in questo momento storico è pronto ad ascoltare e capire le scelte di questi vignaioli e a mettere in dubbio chi produce con metodi convenzionali. Quest’anno abbiamo una presenza molto importante che è Giovanni Bietti, il quale ha scritto e sta scrivendo dei Manuali sul bere sano intitolati “Vini Naturali d’Italia”, recentemente i manuali di Bietti sono stati premiati a Parigi come “Best Wine Guide in the World”. Antonio Fiore, il critico maccheronico, ci ha confermato la sua presenza e cosa di cui siamo molto fieri più di trenta tra i migliori chef e sommelier della Campania parteciperanno alla tavola rotonda del lunedì. Un’altra parte interessante di Parlano i Vignaioli sono i laboratori, ai quali bisogna iscriversi, quest’anno ne faremo cinque nella giornata di domenica 20 marzo, il lunedì sera sei locali di Napoli e provincia hanno accettato di ospitare alcune delle cantine presenti a Parlano i Vignaioli: Abraxas, Capo Blu, Dal Tarantino, Da Fefè, Veritas e La Stanza del Gusto.

13 Commenti

  1. Vorrei fare un apputno al dott. di Gruttola, si è notata l’ironia soprattutto nei confronti del professor Scienza ma prima di permettersi di fare gli ironici bisogna dimostrare scientificamente!

  2. Continuo ad avere dei dubbi, proprio di impostazione: da un lato sono d’accordo nel sottolineare l’aspetto etico, e quindi anche salutistico sia della vigna che del consumatore, al di là ed indipendentemente dal darsi una etichetta o certificazione di appartenenza a questo o quel movimento. D’altra lato continuo a non esser convinto che un vino buono (cosa vorrà poi dire “vino buono”) e soprattutto sano e digeribile sia proprio soltanto dell’agricoltura biodinamica, laddove quest’ultima si distingue dalla biologica o da qualunque comportamento virtuoso e rispettoso dell’ambiente, per “pratiche” che prevedono necessariamente l’uso di 500 e successivi, e cioè solo letame e corna di vacca primipara, che, lasciate fermentare sotto terra, possono garantire determinati energie astrali. Qui non seguo più: basterebbe dire che si usa letame (qualcosa succederà pure è materiale organico), lasciando perdere indimostrabili contatti con la Verità Cosmica.

    1. Caro Fabrizio, da scettico quale rimango, ma profondamente interessato alla questione, come sono, coltivo l’idea che il dibattito sia assolutamente in una fase ancora (ancora!) iniziale e lungi dal divenire – ammesso che se ne addivenga – ad una conclusione che metta d’accordo tutti. Ascolto da tempo e mi ritengo fortunato ad aver conosciuto nel tempo tante anime che animano (scusa il gioco di parole) questo dibattitto, ci sono persone come Jan Erbach (http://larcante.wordpress.com/2011/02/15/giro-di-vite-a-montalcino-di-pian-dellorino-e-delluomo-che-sussurrava-alle-piante/) che consiglio vivamente di conoscere e che rappresentano, secondo me, un valido “traguardo” da cui partire.

      1. A me interessa la centralità del vino, le storie nel bicchiere, e il vino non è né naturale ( di naturale c’è solo l’aceto) né altro. Ci sono poi agricolture diverse che come dicevo mi lasciano perplesso nella ricerca spasmodica di marcare e differenziarsi attraverso un’etichetta, un disciplinare. Allego anch’io una riflessione abbastanza dura e diretta di Gravner da Percorsi di Vino:
        http://percorsidivino.blogspot.com/2011/03/josko-gravner-e-il-vino-naturale.html

        1. Scusami Fabrizio ma non se ne può più con la storia che di naturale c’è solo l’aceto. Ma chi è stato il primo a sparare una cosa del genere! Nei grappoli d’uva ci sono i vinaccioli che servono per riproduzione e non le bottiglie di aceto o di vino. SI tratta dell’uomo che decide la destinazione dei frutti! E ci sono vini che si trasformano in aceto per varie ragioni, allora andiamoci ad assaggiare l’aceto di qualcuno a Parlano i Vignaioli.

          1. Oltre la storia dell’aceto direi che non se ne può più neanche di quei vini “pompati” con mistelle e sifoni vari oppure dopati con lieviti dai sentori svariati; per restare nel gergo di Fabrizio ma che storia possono mai raccontare nel bicchiere? Quella dei commercianti che lo vendono come Graaaaan Cru di annata del secolo??? Ne avessimo migliaia di persone come Antonio di Gruttola!!!

          2. Secondo me il vino non può essere etichettato e tirato per la giacchetta secondo comodità: già gli stessi vignaioli biodinamici non parlano di vino biodinamico, ma di semplice agricoltura biodinamica ( con tutte le mie perplessità suddette), così come altri vignaioli, (che fanno macerazioni per i bianchi perché sulle bucce c’è tutto il territorio, controllando esasperatamente le ossidazioni e usando lieviti non selezionati, e persino non disdegnando i tannini dei vinaccioli nei bianchi ) non accettano la definizione di vino naturale: il processo naturale dell’uva e del mosto parte dagli zuccheri per giungere all’acido acetico. L’uomo governa le fermentazioni e l’affinamento e ognuno è libero di fare come meglio crede, nell’ambito dei disciplinari: il mio appoggio va a coloro che rispettano ambiente e salute, non mi interessa come fanno il loro vino, tantomeno se questo deve esser definito “naturale”, perché non c’è il brevetto della naturalità, quasi che gli altri producessero veleni. Questa è biofurbizia, moda. Io non gradisco vini “pompati” (tra l’altro son vini degli anni novanta, che a qualcosa son serviti, non fosse altro a d allargare il mercato del vino, ma oggi non c’entrano niente, non li pongo in alternativa), preferisco vini fatti col cuore piuttosto che con la testa, ma col cuore ogni viticoltore illuminato fa il proprio vino, auspicabilmente rispettando l’ecosistema: non ci sono etichette che definiscono quel vino, solo l’intelligenza, il coraggio e la fatica di chi l’ha pensato.

          3. Vorrei dire a Fabrizio che per me i vini pompati degli anni 90 non sono serviti ad allargare il mercato di vino ma a ridurre drasticamente il consumo annuo procapite perchè il vino è diventato un prodotto difficile da tollerare!
            L’aumento sfrenato di solforosa, l’uso di barrique in eccesso, gomma arabica ecc… ecc… lo hanno reso un prodotto difficile da digerire! Ecco quello che è successo! Riguardo alla biofurbizia che sicuramente è in atto i parametri per difendersi sono la conoscenza del produttore e in manifestazioni come Parlano i Vignaioli, trovi il produttore che ti racconte e che risponde a qualsiasi domanda.

        2. pasquale
          A parte la notizia sull’aceto, che sarà anche naturale ma è comunque un errore, mi è piaciuta la riflessione di Gravner. Solo che un consumatore/bevitore che non sia nella ristretta cerchia degli appassionati difficilmente riesce a districarsi tra vini naturali, biodinamici ecc. e tanto meno ha gli strumenti per valutare il lavoro o l’onestà di un produttore, se non il gusto personale (io ad esempio non vado oltre il mi piace, non m piace). Mi piacerebbe però che tutti i produttori che si riconoscono nel mondo naturale in senso lato inizino col dichiarare gli ingredienti presenti nel vino, ed insistano poi affinché questa pratica diventi obbligatoria per tutti.

  3. Siamo di Roma e non vediamo l’ora di partecipare all’evento “Parlano i Vignaioli”. Non nascondiamo che la passione ci è venuta dopo aver assaggiato “Drogone” di Cantina Giardino!!!

  4. non posso che complimentarmi, sempre e comunque, in pubblico come in privato, di antonio. sono onorato di essere suo amico da quasi otto anni. antonio sa far bene il vino, sa anche berlo bene e sa spiegarlo meglio di tantissimi altri.
    per lui (come per tanti altri tecnici italiani, sia ben chiaro) il vino non è un prodotto o un’opportunità commerciale, per lui è praticamente un fatto etico, come se il suo valore di uomo quasi si potesse confondere con ciò che egli mette in bottiglia.
    il vino è per lui espressione di un viaggio esistenziale, in cui non c’è spazio né per l’ovvio, né per il conveniente, né soprattutto per la malizia commerciale. i suoi sono vini innocenti: ma non si confonda innocenza con ignoranza, qui innocenza significa purezza e pudore insieme. la natura in se’ è per antonio tecnologicamente autoreferenziale: ha ed è tutto già in se’. perciò l’uomo non ha che da manipolare con delicatezza la natura stessa, sottraendole, semmai, qualcosa dai suoi processi, dai suoi umori. io credo che giudicare i vini di antonio dal solo assaggio (pensando magari erroneamente che si tratti di vini bio-qualcosa..) sia molto limitante. occorre capire cosa *non* c’è dietro prima di dire, semplicisticamente che sono capolavori.

  5. Complimenti. Apprezzo molto il lavoro di Antonio. Credo che sia un uomo autentico, un professionista serio e che i suoi vini parlino di questo. Sono diretti, senza fronzoli, a volte estremi, certe volte incomprensibili ai più, ma sempre unici. Vini decisamente cui s arriva col tempo, vini che devi aver bevuto molto per capire su quale filo si muovono.

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