Chiacchiere distintive, intervista all’enologo Vincenzo Mercurio


L'enologo Vincenzo Mercurio

di Angelo Di Costanzo

Vincenzo Mercurio, stabiese, classe ’74. Nome, origine e anno di nascita, tre elementi che già la dicono lunga sulla persona che mi trovo davanti: il cognome porta in dote la forza del pianeta più piccolo e vicino al sole, l’origine ci indirizza a dare grande valore a quel patrimonio che è la facoltà di Agraria di Portici, serbatoio di grandi talenti magistralmente condotti dal professor Luigi Moio di cui Vincenzo è stato allievo e collaboratore nelle sue prime esperienze sul campo in Cantina del Taburno. La giovane età è, se ce ne fosse stato bisogno, la dimostrazione di come la terra (e tutto il comparto connesso) possa ancora (e di più) fungere come grande attrattore professionale per giovani capaci di coglierne il giusto valore, storico, tradizionale, morale. In una regione ormai sventrata di ogni prospettiva industriale, l’agricoltura e l’agognato sviluppo turistico, rimangono tra le poche risorse rimaste, gli unici lumini accesi all’orizzonte per trovare quel rilancio necessario a dare un futuro alle nostre e prossime generazioni.

Nel film “Sette anni in Tibet” viene rappresentato il viaggio di Heinrich Harrer per raggiungere la vetta del mondo sul Nanga Parbat:Vincenzo Mercurio nei sette anni da Mastroberardino quanto ci è arrivato vicino a quella vetta?

L’esperienza con la famiglia Mastroberardino è stata fondamentale, non è semplice integrarsi ed arrivare a gestire uno staff di 60 collaboratori, men che meno operare in una azienda abituata, e garante, di standards elevatissimi da sempre. Il margine di errore è prossimo allo zero, guai a non rispettarlo. Non sono io a doverlo dire, lungi da me, i risultati però sono sotto gli occhi di tutti, anzi nei bicchieri di molti.

Però poi si decide di spostare l’asticella un po’ più in là, perchè?
Per migliorarsi, per avere un confronto più libero con il fermento e l’evoluzione che ti gira intorno. Ho avuto come mentore Luigi Moio, poi i viaggi in Francia, fondamentali per capire il reale valore del “terroir”, l’esperienza con Mastroberardino ha poi gettato delle basi solidissime, chi non vorrebbe respirare di quella storia? Ma era arrivato il tempo di guardare oltre, di mettersi in discussione.

Adesso la bolletta del telefono sarà diventata un incubo?
Non direi, più che altro, se ci fosse, quella dei carburanti. So dove vuoi andare a parare, è il rischio numero uno che corrono i consulenti enologi, per questo mi sono imposto di essere presente in azienda quanto più possibile, ovunque essa si trovi. All’inizio, capitava che mi vedevano piombare in cantina alle dieci di sera, oggi non ho nemmeno più bisogno di avvisarli, ho sempre un pasto caldo che mi aspetta, all’evenienza un divano. Desidero esserci, sopra ogni cosa.

Quale secondo Vincenzo Mercurio la via da seguire, in Campania?
E’ già tracciata, ce la portiamo addosso come un marchio indelebile, non capisco perché ci si perde così tanto tempo a non volerla vedere: i nostri vitigni, autoctoni, originari, tradizionali, chiamiamoli come vogliamo, ma dobbiamo puntare alla loro conservazione ed alla specializzazione della nostra viticoltura, alla migliore selezione clonale possibile, per territorio. In poche parole, dare valore al concetto di zonazione e preservazione vivaistica delle nostre varietà. Sapevi che certe uve nostrane nemmeno i vivai più specializzati le riproducono?

Un gran peccato. A proposito di uve, quali sono le tue preferite?
L’aglianico, la sfida più grande. Sto però attento a certi straordinari risultati che riscontro sempre più di sovente sul piedi osso e sulla falanghina.

Il territorio?
Credo nel grande potenziale della Costa d’Amalfi e del Vesuvio, ancora del tutto inespressi. Sono zone dove l’enologo deve dare sfoggio di ogni sua conoscenza ed esperienza, il valore di certi vitigni, cosiddetti minori, è straordinariamente sorprendente; In costiera come alle pendici del vulcano ci sono luoghi ideali dove il blend, autoctono, è vincente più che mai!

Si parla sempre dell’Irpinia come il cuore pulsante della Campania, che rapporto ha Mercurio con le terre avellinesi?

La mia specializzazione parte proprio da lì, la mia tesi di laurea aveva come argomenti, tra gli altri, il Fiano di Avellino ed il Greco di Tufo, e l’esperienza in Mastroberardino non ha fatto altro che consolidare la convinzione del grande valore, con l’aglianico, dei vitigni Irpini. Però anche lì è stato detto e fatto ancora troppo poco. E’ bene ricordare che sino ai primi anni ’80, la domanda che arrivava in Irpinia era semplicemente di vino, e non di vini locali; Molti questo argomento nemmeno lo vogliono pensare, come se tutto, negli anni, fosse rimasto immacolato e votato esclusivamente alla qualità. La verità è ben diversa, la strada è lunga e gli assaggi delle ultime dieci, quindici vendemmie, fortunatamente sempre più frequenti, ci danno costantemente l’idea di una urgente necessità di rivedere molte cose, parecchie false verità e di dare, per esempio, una giusta collocazione territoriale a questa o quella espressione che non è più sintetizzabile in un’unica semplice denominazione, ma bensì in un più stretto ambito comunale, spesso addirittura catastale.

Alla maniera francese?

Per semplicità di comprendonio, sì. Ma a guardare la mappatura della nostra regione non è che ci voglia molto per replicarne l’efficacia. Potremmo tranquillamente dire alla maniera campana.

I Favati, Masseria Felicia, Fattoria La Rivolta, Barone, Tommaso Babbo, San Paolo, e poi?

Ognuna di queste aziende possiede un anima propria, da conoscere, da leggere, interpretare, amare, poi non lo so, si vedrà. Per il momento sono assolutamente assorbito da queste esperienze, che sono innanzitutto umane prima che professionali.

Ci salutiamo con il sorriso vivo tra le labbra, chiacchierare con Vincenzo è stato un vero piacere, ne ho colto l’orgoglio di camminare da solo verso il suo futuro, ma anche il grande valore che merita il tragitto fatto alla Mastroberardino. Trasferisce serietà professionale e cura dei particolari, curioso come mi appare.

Ultimissima domanda però, qual è il segreto del vino secondo Vincenzo Mercurio?
Ti lascio con una frase a me molto cara: l’intimità tra la radice della vite e la terra, nasconde il segreto della qualità del vino.

Da svelare nel bicchiere, aggiungo io!

8 Commenti

  1. … conosco Vincenzo da tempi della Mastroberardino…

    Siamo colleghi, io più piccolo di lui, ma in piena sintonia d’intenti per il nostro mondo !!!

    Leale, preciso, preparato, semplice e disponibile…

    Buon lavoro mio caro amico !

    Fabio Mecca
    347 600 33 48

  2. Bella intervista, vincenzo sul vesuvio potra dare un grande contributo porta una nuova esperienza ed un nuova filosofia sara un bene per tutto il territorio e anche per quelli che si confronteranno con il suo modo di lavorare e di interpretare il vino.Sono convinto che anche i vitigni come il piedorosso troveranno nuova linfa con il suo lavoro.

    Aspettiamo con pazienza di bere i nuovi vini.

    Pasquale

    1. Sabato scorso da Maria Felicia ho assaggiato una base di piedirosso che viene vinificata a parte (una sola vasca, ndr) per testarne le potenzialità. Di solito per il falerno viene fatto l’uvaggio già direttamente dalla vigna.

      Era davvero impressionante per la compostezza del frutto e e l’eleganza dei profumi, l’equilibrio gustativo (sin dalla vasca) era eccellente. Potrebbe divenire davvero una bella rappresentazione del vitigno. Ma nessuno dei due (Felcica e Vincenzo ne vogliono sapere, per ora).

  3. “capitava che mi vedevano piombare in cantina alle dieci di sera, oggi non ho nemmeno più bisogno di avvisarli, ho sempre un pasto caldo che mi aspetta, all’evenienza un divano. Desidero esserci, sopra ogni cosa”. Bellissimo, che visione di vita. Complimenti.

  4. non conosco Vincenzo di persona, ma conosco Alessandro e Maria Felicia e la loro tenacia e la loro passione nell’avere dalla vigna quanto di meglio essa possa esprimere e credo che la loro scelta di affidarsi a Lui è davvero superba, inoltre credo che, in un territorio piccolo come quello del Falerno, ma nel quale esistono tante piccole realtà (oltre a quelle sacre come Moio e Villa Matilde) e tante altre ne stanno per venir fuori, sia molto importante per noi tecnici che ci lavoriamo avere espressioni diverse dove la diversa lettura delle stesse potenzialità non potrà far altro che far bene a tutti quanti. Per questo motivo voglio augurare un ottimo lavoro a Vincenzo e a tanti altri (Fortunato Sebastiano è un altro) e un benvenuti affinché insieme riusciamo a far crescere questo nostro territorio troppo spesso vituperato da scellerati altri eventi frutto di operazioni senza scrupoli. A Vincenzo: …… se non trovi il divano e qualche volta vuoi, posso anche darti una camera e un letto un pò più confortevole a casa mia … il vino non manca e alla cena ….. possiamo sempre arrangiarci

  5. Aggiungerei a Fortunato Sebastiano, tra gli altri, Antonio Pesce, Marcello De Simone, Francesco Jr Martusciello, Gerardo Vernazzaro, Fabio Gennarelli che hanno saputo cogliere gli insegnamenti e gli stimoli tracciati dalla “pur vicinissima generazione” di Luigi Moio, Roberto Di Meo, Bruno De Conciliis ecc…
    Pare, ma non vorrei sbagliarmi, che almeno nell’ambito vitivinicolo, non soffriamo in Campania di opportunità di crescita…

    1. Trovo Vincenzo un grande esecutore del territorio dove si esprime. i suoi vini non hanno la sua impronte dominante , quello che domina sono le persone i vitigni i terroirs ! continua così!!!
      ciao

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