Claus Meyer in Bolivia, il Noma e il manifesto della cucina nordica


Claus Meyer in Bolivia

Rilanciamo questo articolo della collega dell’Ansa in cui si sintetizzano molto bene i concetti su cui lavora la cucina nordica e che devono costituire elemento di riflessione soprattutto per i giovani cuochi sulle nuove esigenze del consumatore dell’immediato presente-futuro.

di Marisa Ostolani

L’uomo che ha trasformato rape, erbe e bacche danesi in un nuovo movimento gastronomico-culturale che in soli nove anni ha conquistato il mondo, è pronto ad un’altra sfida: creare futuri chef in uno dei paesi più poveri del Sud America, la Bolivia.

«Il progetto no-profit si chiama Melting Pot e si propone di formare 45 giovani futuri chef, oltre che di verificare la possibilità di creare una nuova cucina boliviana», spiega Claus Meyer, chef e imprenditore gastronomico che insieme a Renè Redzepi gestisce il ristorante Noma a Copenaghen, giudicato negli due anni (e ora in attesa del terzo riconoscimento di fila) il migliore del mondo. Meyer, 48 anni, ha l’istinto e l’approccio del vero pioniere. Con la passione e la cocciutaggine di chi spacca le pietre per coltivare foraggio, ha rivoluzionato il modo di pensare al cibo e di mangiare in un paese puritano che considerava i piaceri della tavola un peccato, «quasi quanto il sesso e la masturbazione», come racconta lui stesso ad un gruppo di giornalisti europei, ai quali propone un pranzo a base di salmone affumicato servito con rape gialle e crema di rafano.


Cresciuto negli anni sessanta, a base di «polpette di carne scadente e verdure congelate, pre-bollite anni prima in Kazakistan», è stato illuminato sulla strada che lo avrebbe portato alla “Cucina nordica” durante un anno trascorso in Guascogna, dove «uno dei più grandi pasticciere francesi, Guy Sverzut, e sua moglie Elisabeth, mi hanno introdotto ai piaceri del cibo».

Ritornato in Danimarca, per 15 anni Meyer si è dato da fare per fare conoscere ai propri concittadini prodotti come l’aceto balsamico di Modena, l’olio della Liguria, il foie gras, il prosciutto spagnolo o il tartufo. Fino al 2002, quando ha deciso che era tempo per aprire un ristorante – il Noma – tutto consacrato al cibo nordico. «All’inizio le persone temevano un invito al Noma. Si era sparsa la voce che servivamo agnello fermentato, sperma di baccalà, intestino di uccelli ed altre mostruosità», racconta divertito.

Il Noma

Niente di tutto questo, ovviamente. Invece, una grande varietà di frutta, verdura e bacche locali (in Danimarca esistono 700 varietà di mele, 50 diverse bacche selvatiche, centinaia di radici differenti), prodotti freschi e di stagione, poca carne e molto pesce. Tutti rigorosamente danesi e salubri.

Nel 2005 è poi nato il «Manifesto della cucina nordica», che sta creando grattacapi a quella Mediterranea. «È vero che i Vichinghi incendiarono villaggi e stuprarono le donne europee, ma il movimento della cucina nordica è diverso: non è una dichiarazione di guerra contro la pizza italiana», rassicura Meyer che ama la Margherita e la pasta ed ha una vera passione – rivela – per il tartufo, il cavolo nero, la polenta e il radicchio. Con la cucina italiana mantiene solidi rapporti attraverso il movimento di Carlo Petrini, Slow food: «abbiamo la stessa visione, anche se Slow Food lavora per tutelare il meglio dei prodotti italiani, avendo una grande cultura gastronomica alle spalle».

Claus Meyer

Il Noma continua a mietere successi: nonostante i prezzi (200 euro in media, escluso il vino) bisogna prenotare con almeno tre mesi di anticipo. Ma dalla Danimarca il movimento si sta estendendo a tutti i paesi nordici, dove decine di ristoranti propongono prodotti locali e di stagione a prezzi medi di 85 euro incluso le bevande. Non proprio economico, ma l’obiettivo è alto: «una cucina responsabile salva vite umane e il Pianeta», assicura Meyer.