Congresso Slow Food. L’intervento del presidente Roberto Burdese


Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia

Cari delegati e invitati al Congresso, cari amici,

è mio compito, gradito, innanzitutto ringraziare, a nome di tutta l’Associazione, le realtà – pubbliche e private – che hanno contribuito all’organizzazione di questo nostro appuntamento. In modo particolare ringrazio la Regione del Veneto, che è il capofila dei partner del nostro Congresso e con la quale, tra quindici giorni, organizziamo un altro importante evento: Terre d’Acqua, a Rovigo, a cui naturalmente siete tutti invitati.

Avete sentito da Gino Bortoletto i numeri di questo Congresso: 652 delegati aventi diritto, 625 delegati accreditati (contro i 350 del Congresso di Sanremo 4 anni fa). Sono numeri da record per un nostro Congresso, ma non è certo alle statistiche che dobbiamo guardare, bensì al fatto che questi numeri sono il risultato del grande lavoro che abbiamo fatto nel corso dei quattro anni trascorsi dal Congresso di Sanremo ad oggi.

A Sanremo celebrammo i nostri 20 anni e il passaggio di consegne tra Carlo Petrini e il sottoscritto significò l’inizio di un nuovo viaggio: sino a quel momento avevamo fatto tanta strada, accumulato straordinarie esperienze e dal nulla era stata costruita una delle più belle realtà associative del nostro paese, capace di varcare i confini nazionali e avere successo in tutto il mondo, forte delle proprie idee originali e della capacità di far vivere queste idee in progetti di grande modernità e valore.

Con quel passaggio di consegne abbiamo anche riconosciuto che una nuova generazione si era formata, e anche Slow Food Italia, come le altre Associazioni nazionali, poteva darsi una guida autonoma e interamente dedicata (paradossalmente, l’Associazione più importante numericamente e storicamente era anche la più difficile da distinguere dall‘associazione internazionale visto che le due guide coincidevano).

Proseguendo con la metafora del viaggio, in questi quattro anni abbiamo quindi lavorato per creare l’equipaggio, studiare le mappe, preparare tutto ciò che ci sarà necessario, e il nostro nuovo viaggio, in verità, inizia proprio da qui.

In questi quattro anni abbiamo fatto molte cose importanti, che in parte sono raccontate nel bilancio di mandato e corrispondono agli impegni assunti allo scorso Congresso. Abbiamo consolidato i nostri progetti e i nostri bilanci; abbiamo fatto assumere la piena responsabilità di governo agli organismi dirigenti locali e nazionali; abbiamo stretto importanti alleanze con altre organizzazioni e con numerose istituzioni; abbiamo scelto i nostri ambiti principali di intervento e ci siamo concentrati su questi per ottenere il migliore risultato possibile (penso ad esempio ai 296 orti in Condotta che sono stati avviati, uno straordinario risultato che triplica gli obbiettivi di Sanremo e per il quale meritate i miei più sinceri complimenti).

Infine, negli ultimi 14 mesi (ovvero dall’Assemblea delle Condotte di Fiumicino di marzo 2009 ad oggi) abbiamo realizzato un percorso di preparazione a questo Congresso come non l’avevamo mai fatto nella nostra storia. Come sapete, ognuna delle nostre 300 Condotte si è dotata di un documento politico e strategico, nel quale ha tracciato un bilancio della propria storia e ha individuato le priorità per il futuro. E si è andati a Congresso in ogni Condotta, votando questo documento ed eleggendo gli organismi dirigenti. Identico lavoro è stato fatto per i Congressi dei nostri 16 Coordinamenti regionali.

Arriviamo a questo Congresso nazionale forti di una consapevolezza, mai avuta prima, di ciò che siamo e del nostro valore (della nostra forza e anche dei nostri limiti). E soprattutto arriviamo qui avendo avuto la capacità di realizzare uno straordinario rinnovamento e allargamento della nostra base dirigente: sottolineo questa espressione apparentemente contraddittoria (base dirigente, di solito non è la base che “dirige”) perché è proprio questa la nostra forza, o se non lo è ancora pienamente, questa dovrà essere la nostra forza. E’ importante evidenziare anche che il rinnovamento di cui siamo stati capaci – come ho sempre auspicato – è stato favorito e assistito dai nostri “padri fondatori”, nell’esclusivo interesse dell’Associazione e della sua missione.

Ecco perché i numeri che ricordavo all’inizio sono importanti: siamo più di 600 ma siamo solo il 30% della dirigenza diffusa della nostra Associazione. Noi avremo i ruoli di maggiore responsabilità nei prossimi quattro anni, ma ognuno di noi è ben cosciente di ciò che lo aspetta, avendo contribuito in larga parte a preparare il viaggio che da oggi ci attende per i quattro anni a venire.

Devo dirvi la verità: ho fortemente voluto questo percorso e sono sempre stato convinto che i risultati sarebbero stati positivi. Tuttavia l’esito finale è stato persino più soddisfacente di quanto io stesso immaginassi. Questi 14 mesi sono stati estremamente impegnativi, faticosissimi, in alcuni momenti anche difficili e qualche volta persino dolorosi per alcune di quelle vicende che fanno parte della vita di una vera associazione; però sono contento di averli vissuti così, sono orgoglioso e onorato di essere stato fin qui il vostro presidente, ho potuto vivere in prima persona lo straordinario valore delle donne e degli uomini che compongono questa nostra associazione e ho capito una volta di più quello che è un grande insegnamento che mi viene dai miei genitori, ovvero che le cose belle e buone richiedono tanto lavoro e impegno, ma poi ti ripagano di tutti gli sforzi che hai profuso.

Quindi vi devo un grande ringraziamento, per questi quattro anni straordinari che mi avete fatto vivere e vi voglio raccomandare di non perdervi mai d’animo di fronte alle difficoltà che certamente incontrerete nei prossimi anni di impegno per Slow Food: non arrendetevi, avete la forza e l’intelligenza per superare qualsiasi ostacolo. Siate però sempre uniti, abbiate fiducia in quanti condividono con voi questo impegno.

Lo spirito di grande fraternità che ha animato il nostro lavoro volontario nei quattro anni appena trascorsi ci ha permesso di fare cose eccezionali, come il consolidare il nostro fondo sociale negli stessi anni in cui la crisi ha messo in ginocchio centinaia di realtà intorno a noi. La fraternità era uno dei messaggi che Carlin aveva sottolineato proprio a Sanremo. Non perdiamo questo spirito, anche perché gli anni che ci attendono saranno molto più duri e difficili di quelli che abbiamo vissuto.

La crisi ambientale, la crisi alimentare, la crisi finanziaria che già da tempo hanno messo in sofferenza tutto il pianeta, purtroppo non ci hanno ancora fatto vivere i momenti più drammatici.

Pensate solo alla situazione che stiamo vivendo in questi giorni, con il disastro ambientale del Golfo del Messico e le economie dei paesi dell’euro a rischio bancarotta.

Nei prossimi quattro anni saremo costretti ad affrontare difficoltà che oggi forse non riusciamo neppure a immaginare. Ci capiterà di doverle affrontare come singoli individui, nelle nostre famiglie, rispetto al nostro lavoro e anche nella nostra vita associativa in Slow Food.

Questa crisi, queste crisi, noi le possiamo subire oppure le possiamo affrontare, d’altronde il termine deriva dal greco krísis che significa ‘scelta, decisione’ e dunque possiamo trasformare queste crisi in opportunità: ecco l’atteggiamento che deve assumere la comunità Slow Food.

Certamente ci sarà richiesta molta fantasia, molta creatività e molta capacità di adeguamento: ci saranno meno risorse e più cose da fare, in qualche maniera una soluzione bisognerà trovarla.

Ciò che mi sta più a cuore, però, non è tanto spingermi nell’analisi della crisi e delle sue conseguenze più nefaste, quanto piuttosto sottolineare come e perché noi possiamo (anzi, vorrei dire dobbiamo) fare la nostra parte.

Non credo, infatti, che le soluzioni arriveranno dall’alto: appare evidente a tutti che i grandi della Terra sono sempre più spesso impotenti, incapaci di quelle scelte radicali, coraggiose e creative che sarebbero necessarie. E non sto pensando, per capirci, alla rapidità ed efficacia con cui hanno indubbiamente affrontato l’ultima crisi finanziaria, solo pochi giorni fa. Sto pensando, ad esempio, al ben più grave problema della fame, un vero e proprio crimine contro l’umanità di fronte al quale assistiamo alla più totale inadeguatezza dei grandi leader del pianeta. Fa rabbia pensare che al G8 dell’Aquila i capi di Stato e di Governo avevano promesso di investire 22 mld di dollari (allora equivalenti a meno di 15 mld di euro) per combattere la fame nel mondo e alla data odierna non è stato versato quasi niente di quella cifra. Però in una domenica sono stati trovati 750 miliardi di euro per salvare l’economia dell’UE e 30 sono già stati imprestati alla sola Grecia: senza ovviamente avercela con la Grecia che è solo il primo della fila in questo momento, 30 mld per un paese di poco più di 11 milioni di abitanti contro 1 mld di persone che soffrono la fame! Per non parlare della rapidità con cui si trovano i soldi per salvare le banche e le industrie dell’auto.

Abbiamo imparato in questi anni, grazie a Terra Madre, che quello della fame è un tema su cui abbiamo cose da dire come Slow Food. E come soci italiani sappiamo di essere parte di un sistema alimentare che ha responsabilità sia sulle cause che sulle mancate soluzioni di questa terribile piaga.

Sono persino a corto di idee e visioni i grandi della Terra: continuano a cercare soluzioni globali a problemi globali, mentre ormai a molti (e noi tra questi) risulta evidente che l’unica via di uscita sta nell’affrontare le crisi a livello locale; all’interno delle comunità, di contesti territoriali e sociali definiti, è molto più facile individuare le cause dei problemi che ci affliggono. Di conseguenza, è possibile tentare di mettere in campo delle soluzioni, incluse quelle che cercano di intervenire non sulle conseguenze ma sull’origine delle criticità che ci troviamo ad affrontare.

Non è certamente una sfida semplice e non voglio assolutamente banalizzare, però noi siamo fortunati e in qualche misura partiamo con un piccolo vantaggio, perché attraverso le Condotte siamo già presenti sul territorio e siamo già organizzati – talvolta ancora solo in teoria, spesso anche in pratica – proprio nella maniera che le dinamiche delle politiche di scala locale richiederebbero.

L’ostacolo maggiore che oggi deve affrontare chi – come noi – è convinto della forza dell’agire a livello locale, sta nel fatto che molte, troppe persone ancora non l’hanno capito. Soprattutto in relazione ai temi che più stanno a cuore a noi di Slow Food, troppe persone continuano a vivere nella convinzione che non ci sia nulla da fare, e si mobilitano solo quando è già tardi, quando il danno è già fatto. Altri hanno ben compreso che il contesto locale è il nuovo scenario entro il quale agire, ma le loro proposte sono spesso viziate dall’assenza di considerazione (se non dal rifiuto) per la straordinaria forza creativa della diversità e per l’irrinunciabile valore dello scambio.

Do per scontato che abbiate letto il nostro documento congressuale, Le conseguenze del piacere. Ogni pagina, ogni singola riga di quel documento contiene proposte fortemente politiche, attuabili a livello locale da qualsiasi nostra Condotta, coinvolgendo un grande numero di persone, nell’interesse principale se non esclusivo delle comunità locali.

Ecco, è questa, secondo me, la sfida principale dei prossimi 4 anni: ogni nostra Condotta deve imporsi all’interno del proprio territorio come un forte soggetto politico, visibile, attivo, in grado di fare rete con gli altri soggetti presenti sul territorio. Un soggetto che attraverso il proprio impegno afferma e difende quelli che abbiamo individuato come i nostri pilastri: il diritto al piacere; il sostegno a pratiche di scala locale; la biodiversità; la sovranità alimentare per tutti; la lotta agli sprechi; la difesa del paesaggio, del suolo e del territorio; la valorizzazione della memoria locale; l’educazione.

Oggi siamo pronti, siamo finalmente maturi e lo abbiamo dimostrato in questi mesi nei Congressi di Condotta e nei Congressi regionali. Abbiamo alle spalle un primo viaggio di 20 anni e 4 anni di preparazione alla seconda tappa del nostro viaggio: è tempo che le Condotte escano allo scoperto; dove ciò non è ancora avvenuto, è tempo che la presenza di Slow Food in un territorio diventi un fatto politico e culturale evidente, rilevante e determinante. Questo significa che dovremo far sentire la nostra voce ogni volta che saranno toccati i valori di cui siamo portatori e che difendiamo. Questo significa che dovremo agire preventivamente a tutela di quei valori. E’ per questo motivo che rifiutiamo gli Ogm, a difesa della nostra biodiversità e del modello di agricoltura che vogliamo. E’ per questo motivo che difendiamo i beni comuni dalla privatizzazione, come ad esempio l’acqua. E’ per questo motivo che con uno degli ultimi atti della Segreteria nazionale uscente abbiamo aderito al Comitato “Fermiamo il nucleare”: il futuro del cibo e dell’energia sono molto simili ed entrambe hanno bisogno di sistemi strutturati e controllati a livello locale.

La Condotta deve diventare il presidio dei valori Slow Food sul proprio territorio. E come ognuno dei Presidi della biodiversità che abbiamo imparato a fare in questi anni, la Condotta tutela ma allo stesso tempo costruisce e fa dialogare soggetti diversi.

In altre parole, la Condotta può fare presidio dei nostri valori creando comunità del cibo, intese nel senso più ampio e allargato possibile: incontro di produttori, cittadini, educatori, istituzioni, gruppi organizzati, che condividono lo spirito e la filosofia di Slow Food.

E’ questo, in estrema sintesi, il senso più puro e definitivo di quel “fare Terra Madre a casa nostra, tutti i giorni” che sin da Fiumicino abbiamo indicato come il nostro progetto, quello che raccoglie, riassume e valorizza tutta la nostra azione. E’ già stato così in questi quattro anni: nelle Condotte e nelle regioni dove Slow Food e Terra Madre si sono incontrate e riconosciute, dove hanno saputo diventare una sola cosa, abbiamo raggiunto i risultati più importanti e le maggiori soddisfazioni.

Fate attenzione, però: non vorrei darvi l’idea che siamo qui per dirci tante belle cose ma poi, tornati a casa, ognuno continuerà come prima. No! Se la conclusione dovesse essere quella, questo Congresso non avrebbe senso. Abbiamo studiato le mappe? Bene, ora siamo qui per sincronizzare gli orologi, controllare gli ultimi dettagli, accordarci sulle tappe. Ma lunedì si parte!

Noi dobbiamo tornare a casa consapevoli del fatto che da lunedì cambia il nostro modo di fare Slow Food. Altrimenti non avrebbero avuto senso questi 4 anni, non avrebbe avuto senso ciò che abbiamo deciso a Sanremo e ciò che abbiamo fatto dopo Fiumicino.

La nostra agricoltura non può attendere oltre: la situazione è ai limiti dell’irrecuperabile, i contadini sono sempre meno e sempre più vecchi. Secondo Eurostat, in Italia negli ultimi 10 anni i redditi reali in agricoltura sono calati del 36% e l’occupazione è calata del 16%. Pensate però che gli occupati in agricoltura dal 1970 al 2008 sono diminuiti del 75%. Ovviamente vanno di pari passo i dati sulle aziende agricole. E qui parliamo di Italia perché se ragioniamo dell’agire a livello locale è prima di tutto al nostro paese che dobbiamo guardare, ma sappiamo tutti benissimo che la situazione nel resto del mondo non conosce migliori prospettive.

Il nostro ambiente non può attendere oltre:

  • il consumo di suolo viaggia a ritmi insostenibili (ricordo sempre il dossier pubblicato un anno fa dal Wwf in cui si denunciava il fatto che tra il 1990 e il 2005 nel nostro paese il cemento ha ricoperto un’area grande come Lazio e Abruzzo; e di quell’area, circa il 60% era superficie agricola: vale a dire l’intero Veneto). Dovremo imparare a familiarizzare, ahinoi, con la definizione soil sealing (Agenzia Europea per l’Ambiente: impermeabilizzazione del suolo)
  • l’aria è irrespirabile: sempre l’Agenzia Europea per l’Ambiente ha stimato che dal 1997 più del 50% della popolazione che vive nelle grandi aree urbane europee sarebbe esposta a livelli di PM10 superiori ai limiti fissati per la protezione della salute umana e circa il 61% ai livelli massimi di ozono; in Italia certamente siamo tra quelli che contribuiscono ad alzare la media
  • potremmo proseguire parlando delle acque interne e dei mari, della diossina e via discorrendo

I dati ambientali ci lanciano perciò un altro allarme: la nostra salute non può attendere. E il conto più salato non lo pagheremo noi, ma i nostri figli e nipoti.

Ci dobbiamo muovere, dunque, per smettere di essere complici nostro malgrado di un sistema che evidentemente non funziona più e va cambiato alla radice. E cosa dobbiamo fare?

Nulla di più di quel che abbiamo già individuato sulle nostre mappe: la cosa migliore che possiamo fare è continuare con i nostri progetti più virtuosi e significativi. Dobbiamo continuare a fare orti, e non solo più orti scolastici. Dobbiamo riempire le nostre città di orti urbani, dobbiamo fare orti sociali, dobbiamo favorire la nascita di centinaia e centinaia di orti, in ogni dove. Siamo stati tra i primi a intuire il valore straordinario degli orti, come progetto didattico ma anche come progetto politico e culturale.

E poi i Mercati e i gruppi di acquisto. Non possiamo attendere che la politica riscopra il valore strategico e indispensabile del settore primario, ammettendone e riconoscendone anche in termini economici le tante funzioni oltre a quella della pura produzione. Se vogliamo salvare l’agricoltura dobbiamo muoverci subito, dobbiamo muoverci noi. Andiamo a trovare i contadini vicino a casa nostra, andiamo a conoscerli, aiutiamo i loro figli a farsi venire voglia di continuare quel mestiere, che è coltivare cibo buono, pulito e giusto.

E insieme ai contadini (ma anche agli artigiani) facciamo Presìdi naturalmente, laddove ve ne solo le condizioni. O perlomeno costituiamo comunità del cibo, con il medesimo spirito con cui realizziamo i Presìdi. Credo anche che verrà presto il tempo per lanciare idee innovative sull’asse del rapporto produttori-coproduttori.

E poi l’educazione, naturalmente. Dicevo prima che il grande problema oggi è che la gente sembra non rendersi conto del ruolo che può avere. Questo accade perché ci siamo drammaticamente immiseriti sul piano culturale (nonché sul piano gastronomico, e questo noi di Slow Food lo tocchiamo con mano ogni giorno). Non sappiamo più niente di chi siamo, del posto in cui viviamo: siamo stranieri a casa nostra, ma attenzione perché siamo noi a mettere a repentaglio la nostra identità e le nostre tradizioni, la nostra casa. Nel documento Le conseguenze del piacere abbiamo messo tra i pilastri la valorizzazione della memoria locale: la memoria è fondamentale perché solo con quella consapevolezza possiamo ricostruire la conoscenza dei nostri posti e della nostra comunità. Memoria e cura della nostra casa sono le fondamenta per costruire il nostro futuro, il modo migliore per mantenere vive le nostre tradizioni in un naturale e continuo processo di evoluzione.

Invece viviamo in perenne relazione con la televisione e il mondo fasullo che essa rappresenta. Abbiamo perso il contatto con la realtà che ci circonda e per questo ci sentiamo poveri e insignificanti di fronte ai problemi e tutto ci fa paura. Ecco, un’altra missione che ci dobbiamo dare per i prossimi anni è quella di portare fuori dalle proprie case i nostri amici, i nostri vicini, la gente che vive nella nostra comunità. Le nostre iniziative, le nostre attività devono moltiplicarsi, devono coinvolgere nuove persone, devono far acquisire loro la consapevolezza di quanto le scelte di ciascun individuo possono essere importanti. Come ci ha insegnato Ermanno Olmi, dobbiamo essere ortolani di civiltà. Dobbiamo impegnarci in una imponente opera di alfabetizzazione del gusto, che coinvolga trasversalmente tutte le generazioni. Il gastronomo che allena i suoi sensi, non impara solo a riconoscere le differenze qualitative tra i cibi ma riprende contatto con la realtà che lo circonda.

Quindi il nostro ambito privilegiato di impegno deve continuare a essere il cibo, perché attraverso il cibo noi leggiamo il nostro mondo e attraverso il cibo possiamo più facilmente pensare al nostro futuro. Pertanto non abbandoniamo i momenti conviviali, ma semmai facciamoli vivere di nuova progettualità e nuove ambizioni.

L’evoluzione che ci attende da oggi consiste dunque nel tradurre la nostra esperienza, le nostre competenze, la nostra visione in iniziative che possano coinvolgere un numero crescente di persone. Dobbiamo offrire stimoli capaci di far acquisire consapevolezza rispetto al nostro rapporto quotidiano con il cibo, che deve tornare ad essere sano ed equilibrato. Dobbiamo dare l’esempio: ecco perché gli orti sono straordinariamente efficaci; ecco perché fare la spesa tutti i giorni in maniera consapevole e informata è un atto politico capace di insegnare e coinvolgere. Produrre e consumare fino alla fine dell’esistenza non è la vera vocazione dell’umanità. C’è una sorta di de-responsabilizzazione della collettività umana rispetto alla sua sopravvivenza: per recuperare quella responsabilità, tra l’altro, dovremo per forza di cose ri-localizzare le attività economiche, produrre e consumare preservando i beni comuni (a partire dalla terra) e la biodiversità vegetale e animale.

E’ evidente che non dobbiamo fare tutto noi, ci mancherebbe altro. Facciamo quello che possiamo, coscienti però del fatto che, anche se piccolo, il nostro è un contributo di estremo valore, perché originale, moderno, mosso dall’esclusivo interesse per il bene comune. Dunque facciamo alleanze, ogni volta che sarà strategicamente necessario e possibile. Nei territori spesso ci sono già soggetti che stanno facendo una parte del lavoro che noi ci proponiamo di fare: per prima cosa cerchiamoli e poi affianchiamoli, chiediamo loro di accoglierci oppure accogliamoli noi, specie quando sono più piccoli e deboli di noi. Tra l’altro questo è un modo ulteriore per trasmettere ad altri le nostre idee e la nostra filosofia.

E’ un momento in cui è bene cercarsi tanti compagni di viaggio e non avventurarsi da soli.

Non bisogna andare da soli nemmeno quando si è forti: perché i forti non sono diventati forti da soli, e non devono dimenticarlo. E poi perché, come dice Paul Roberts nel libro “La fine del cibo”, la capacità di carico di un ponte non si stabilisce facendo la media delle capacità di carico dei suoi piloni. Si stabilisce sulla base della capacità di carico del pilone più debole. Perché se crolla quello crolla il ponte, anche se la media era più alta. Quando il carico eccessivo passa su quel pilone, è finita per tutti. Non bisogna ricordarselo solo quando fallisce la Grecia. Bisogna pensarci anche quando le donne vengono discriminate, quando i giovani restano senza lavoro, quando arrivano gli immigrati.

Ci sono nuove sfide che ci attendono, sfide che – come è sempre stato sinora – sono la conseguenza di quanto abbiamo già fatto. In particolare, c’è un grande tema al nostro orizzonte: il rapporto cibo-salute. Come abbiamo scritto nell’ultima pagina del documento Le conseguenze del piacere, la prossima battaglia di civiltà sarà per il diritto di tutti al buono e al bello: ma non c’è buono né bello se non c’è salute. E la nostra salute oggi è minacciata, dall’ambiente inquinato e dal cibo che ci ammala invece di prevenire e curare.

Il rapporto tra cibo + piacere + educazione del gusto + agricoltura sostenibile (tutti cavalli di battaglia consolidati di Slow Food) produce, come risultato finale, una migliore salute e dunque una migliore qualità della vita. Salute e qualità della vita sono un diritto di tutti, sono il presupposto per il bello e il buono, e questo approccio risolve anche, per chi non l’avesse ancora superato, l’annoso dibattito sul carattere elitario di Slow Food. Siamo finalmente giunti a una sintesi che spiega, in maniera inequivocabile, come il rapporto tra cibo e salute, mediato dal piacere, contempli per forza di cose la tutela dell’ambiente e sia assolutamente un tema d’interesse pubblico e destinato a tutte le classi sociali, tutte le età, tutte le categorie, in particolare quelle più deboli, quelle che non se ne possono “andare”, quelle che non possono comprarsi ulteriori possibilità di errore. Il cibo quotidiano deve produrre salute e prevenzione. Piacere e felicità. E la felicità non è un pollo a 3 euro al chilo o un litro e mezzo di Cabernet Sauvignon Igt del Veneto a 1,69 euro.

In conclusione voglio tornare ai ringraziamenti. Questi sono dedicati alle persone che mi hanno aiutato a svolgere il mio ruolo di Presidente in questi quattro anni. Sono tante le persone che dovrei citare, a partire da tutti i Fiduciari e volontari dell’associazione su tutto il territorio nazionale.

Dedico un ringraziamento speciale alle persone che lavorano nella sede nazionale e con grande impegno e dedizione prestano quotidianamente la loro opera per Slow Food; in particolare naturalmente ringrazio le persone che lavorano a più stretto contatto con me: Daniele, Fabrizio, Mauro, Alberto, Serena, Fabiana. Persone veramente speciali.

Un grazie di cuore ai Presidenti regionali e ai Governatori con i quali abbiamo condiviso questi 4 anni che rappresentavano per tutti una sfida impegnativa: abbiamo lavorato benissimo, sempre uniti da grande stima reciproca e grande amicizia.

Non dimentico naturalmente Carlin, che ha saputo essere una presenza discreta (e questo vi dà la misura che tutto è possibile a questo mondo!) ma importantissima in questi 4 anni: mi ha lasciato, ci ha lasciato fare la nostra strada ma non è mai stato assente.

Devo moltissimo alla Segreteria Nazionale che da subito mi ha dato piena fiducia e mi ha sempre aiutato a svolgere la mia funzione nel modo migliore possibile, accompagnandomi e assistendomi: grazie ad Alberto, Antonello, Bruno, Daniele, Dionisio, Luca, Gigi, Gilberto, Gino, Nino, Piero, Valeria.

Ultimo, ma primo nei ringraziamenti che voglio fare oggi, Silvio. Se è vero che siamo in tanti a costruire quella casa comune che si chiama Slow Food, se è vero che il contributo di tutti è importante, è vero anche che non tutti abbiamo dato lo stesso contributo. C’è qualcuno che indubbiamente ha fatto di più, ci ha messo più di tutti gli altri. E questo qualcuno è Silvio, a cui noi tutti dobbiamo molto.

Come sapete, con questo Congresso proponiamo un altro importante cambiamento per la nostra storia, dopo il passaggio di testimone tra me e Carlo 4 anni fa. Silvio passa il testimone a Daniele Buttignol nel ruolo di Segretario nazionale, che ha coperto sin dalla fondazione della nostra associazione. Silvio però proseguirà – come ha fatto anche Carlo – nel suo impegno per Slow Food Italia e la nuova sfida per la quale chiediamo l’aiuto di tutti quanti è per costruire una nuova dimensione di Slow Food, coerente con ciò che siamo oggi o vorremo essere nei prossimi anni: costruire le condizioni per un graduale e progressivo autofinanziamento delle nostre attività. Se incrementare il tesseramento è importante in termini di forza politica ed effettiva rappresentatività dell’associazione, costruire le condizioni per l’autofinanziamento è importante per un’azione sempre più incisiva, autonoma e rapida su tanti fronti che occorre mantenere aperti. Le interdipendenze sono proficue e necessarie se avvengono in termini di scambio reale e paritario. Altrimenti rischiano di diventare dipendenze, freni, pastoie. Siamo un’organizzazione della società civile, ed è proprio in quella società che dobbiamo andare a cercare le risorse, intellettuali, emotive, politiche ed economiche, che faranno da carburante al nostro viaggio.