Le falanghine di Sarrapochiello a Cap’alice


le falanghine di Sarrapochiello a Cap’alice

le falanghine di Sarrapochiello a Cap’alice

di Luca Miraglia

Gli incontri dedicati alle “Storie di vini e vigne”, organizzati e condotti dalla giornalista Marina Alaimo nell’ accogliente cornice dell’Enosteria Cap’Alice di Mario Lombardi, inaugurano il 2016 con un ritorno alla Campania enologica, ma non quella delle pur meritatissime prime pagine della stampa e della rete, bensì quella più sussurrata composta da aziende che hanno fatto della ricerca, nel solco della tradizione, il filo conduttore della propria attività.

E davvero di ricerca si può parlare nel caso dei vini di Nifo Sarrapochiello, azienda operante, in regime bio sin dal 1998, a Ponte in provincia di Benevento, della quale abbiamo avuto l’occasione di assaggiare ben tre interpretazioni differenti del medesimo vitigno, la Falanghina.

Troppo spesso bistrattata da produzioni massali e di scarsissima qualità, la Falanghina è invece, per storia e cultura, sicuramente paragonabile ai due vitigni a bacca bianca considerati al vertice della Campania enoica, il Greco ed il Fiano; e partendo proprio da questa convinzione i cugini Sarrapochiello – ambedue Lorenzo di nome – hanno raccolto prima dai nonni contadini e viticultori – già presenti con il loro vino nella Napoli dei primi anni del secolo scorso, dopo ore di faticoso viaggio dalla campagna sannita alla metropoli costiera – e poi dai genitori e zii – emigrati in Nord America nel secondo dopoguerra ma riusciti a tornare nel luogo d’origine per reinvestirvi i frutti della fatica d’oltreoceano – il prezioso testimone che ha consentito loro di far raggiungere all’azienda non solo le attuali dimensioni (15 ettari di vigneti ed oliveti ubicati alle radici del monte Pentime, nel massiccio del Taburno), ma anche una caratterizzazione ben specifica nell’ambito delle numerose aziende vitivinicole del Sannio.

le falanghine di Sarrapochiello a Cap’alice, Marina Alaimo e Lorenzo Nifo

le falanghine di Sarrapochiello a Cap’alice, Marina Alaimo e Lorenzo Nifo

E l’impegno maggiore ha riguardato proprio il vitigno Falanghina, declinato, come si è detto, nelle tre interpretazioni oggetto degli assaggi: la Falanghina del Sannio DOC, presentata nelle annate 2006 e 2014; la “vendemmia tardiva” – chiamata “Alenta” dal ruscello che attraversa la zona – presentata nei millesimi 2006, 2008 e 2014; infine il passito “Sarriano”, annata 2011.

Si è puntato a valorizzare le capacità del vitigno di generare vini dalla spiccata acidità e, quindi, dalle elevate potenzialità di invecchiamento, abbinate comunque ad una struttura importante, quasi da vino rosso, e si è perciò prolungata la fase fermentativa ed estrattiva: ciò che troviamo nel bicchiere sono vini dal colore spiazzante – che abbraccia tutte le tonalità del giallo dorato – e dai profumi complessi, via via più ampi ed articolati con l’ossigenazione e l’innalzamento della temperatura ambiente.

La Falanghina “base” è già di per sé un vino sfaccettato, “chiacchierone”, che, specialmente nel millesimo 2006, offre un colore di vivace luminosità ed un corredo aromatico oltremodo variegato, dalla pesca gialla allo zafferano, mentre il palato è pieno ed appagante; l’annata 2014 mostra invece, in virtù della giovane età, predominanti note floreali e speziate (acacia, mimosa, buccia di bergamotto, pepe bianco) ed un palato di grande scorrevolezza ma altrettanta materia.

I tre millesimi della vendemmia tardiva “Alenta” (2006, 2008 e 2014) evidenziano in primis un’opulenza direttamente conseguente ai presupposti creati in vigna ed in cantina: le uve provengono dai vigneti più vecchi e solo dai grappoli migliori, diradati e lasciati surmaturare sulla pianta fino alla metà di ottobre; un breve passaggio in legno arricchisce ulteriormente lo spettro aromatico, che spazia dai sentori di cenere e dalle note iodate dell’annata meno giovane alla spiccata speziatura del 2008, alle tonalità agrumate e di aromi mediterranei (salvia, rosmarino) del 2014.

Il sorso risulta, per tutte e tre le annate, sì materico ma anche sapido e dinamico: un gran bel bere, davvero!

Il passito “Sarriano”, proposto nell’annata 2011, merita un discorso a parte: niente a che vedere con l’ampio panorama di vini mielosi e spesso stucchevoli che ci vengono proposti dalle Alpi alla Sicilia; qui riscontriamo una viva acidità ed un buon equilibrio dolce/salato, che offre al naso note speziate e di erbe aromatiche ed al palato un corpo di giusta ricchezza ma sapido e minerale: un passito intrigante, lontano dai luoghi comuni.

Come è tradizione nelle serate di Cap’Alice, alla degustazione è seguita un’interessante cena, incentrata sui sapori del territorio sannita: all’iniziale tris di formaggi, accompagnati da una fetta di pane artigianale da antichi grani delle colline beneventane – moliti a pietra – ed olio extravergine di oliva dell’azienda ospite (dalla bassissima acidità), è seguita una saporita pasta e fagioli realizzata con il legume – coltivato esclusivamente nel piccolo borgo di San Lupo – detto “della regina” (essendo stato dedicato da un notabile locale di simpatie borboniche alla regina Maria Teresa d’Austria, moglie del re Ferdinando II); un’autentica prelibatezza, di particolare morbidezza e dolcezza gustative.

Pasta e fagioli della regina - da San Lupo Taburno

Pasta e fagioli della regina – da San Lupo Taburno

Hanno fatto seguito la costatella di maiale di Airola con patate arrostite e friarielli e, per chiudere, un delicato tortino di pasta sfoglia alla mela annurca.

Nodini di maiale di Airola con patate e friarielli

Nodini di maiale di Airola con patate e friarielli

 

Tortino di mele annurche

Tortino di mele annurche

A sorpresa, nel bel mezzo della cena è stato servito l’Aglianico del Taburno Riserva “D’Erasmo” 2009, un altro gioiello della famiglia Nifo Sarrapochiello: vino austero ma croccante, dal colore rubino carico di grande brillantezza, dotato di un ampio spettro aromatico con spiccate dominanti speziate, e dal sorso per niente spigoloso ma anzi definito e vellutato, con un corredo di tannini decisi, ma non invadenti: un perfetto compagno di tavolate invernali, imperniate su ricette della tradizione.

Ancora una volta si è ricreata, grazie alla sapiente organizzazione della serata, quella piacevole alchimia che rende così imperdibili questi incontri eno-gastronomici nel cuore della nostra città!