Feudo Maccari, la finestra siciliana sul Mediterraneo


Antonio Moretti dalla Gioconda ad Archimede, viticoltore in Magna Graecia

Noto Case Maccari, Strada Provinciale n.19 Noto-Pachino Km 13,5 Tel e fax 0931.596894
www.feudomaccari.it

Davanti a voi la grande Leptis Magna, a sinistra il Peloponneso, a destra Cartagine, sulle colline alle vostre spalle i vigneti di Feudo Maccari piantati a sorvegliare Capo Passaro e l’Isola delle Correnti dove per secoli si sono combattute le flotte greche, cartaginesi e romane. Siamo nel cuore del Mediterraneo, tra Oriente e Occidente, Nord e Sud, caldo scirocco e sferzante tramontana, fichi d’India e olivi, il mare colora di azzurro da tre millenni le grandi opportunità di commercio e di conoscenza tra gli astuti popoli di Ulisse.
E’ a Noto, sugli scogli e sulle spiagge del lembo di terra italiana più meridionale, la nuova sfida personale di Antonio Moretti, imprenditore del tessile di successo e titolare della Tenuta Sette Ponti sulle colline di Arezzo, sfondo bucolico del misterioso sorriso della Gioconda di Leonardo, dove nasce il supertuscan Oreno. Affascinato e stordito da un viaggio nel barocco siciliano della Val di Noto, la più imponente e spiazzante opera di ricostruzione mai realizzata nell’isola dopo il terremoto del 1693, Moretti alla fine degli anni ’90 decide di produrre proprio qui, tra la Siracusa di Archimede e Ragusa, il più grande vino della sua vita.
Il regalo dell’Etna, il terreno
Per avere buona frutta il terreno deve essere fertile, come solo un suolo vulcanico può diventare, la terra nera è sempre stata generosa con i suoi contadini capaci di prendersi cura di lei. Ecco perché sin dai primi insediamenti umani la Sicilia Orientale è il posto ideale per fare agricoltura di qualità. L’Etna non è un vulcano traditore e vendicativo come il Vesuvio, spennacchia in continuazione, qualche volta minaccia se l’uomo non è capace di rispettarlo, ma tutto sommato è possibile conviverci senza grandi rischi. Lo hanno capito subito gli arabi quando tappezzarono la Sicilia di agrumeti creando un complesso e ingegnoso sistema di canali di irrigazione capace di portare l’acqua ovunque. Per secoli, millenni, solo tanta fatica e sudore sotto i pennacchi del vulcano amico. In compenso le sterminate distese di arance e limoni, oggi il famoso pomodorino di Pachino, la verdura e gli ortaggi, le olive hanno un sapore unico, tipico, irripetibile, soprattutto l’uva grazie alla combinazione magica tra il terreno vulcanico, il sole e la costante ventilazione che mantiene il grappolo sano perché mai stressato dal caldo eccessivo. Non è dunque un caso se è in questo terroir ricco di storia agricola che il vitigno autoctono più rappresentativo della Sicilia prende il nome, quello dell’importante centro a due passi da Noto, Avola. E il grande vivaista francese Gilbert Bouvet, una vita dedicata alle barbatelle e ai portainnesti, non ha dubbi quando consiglia a Moretti di puntare su questa uva perché a suo giudizio non può esserci zona migliore in Sicilia per coltivarla.
Il Nero d’Avola ad alberello
Tonno, agrumi e uva. Per secoli la gente di Avola ha vissuto portando al mercato i regali della generosità del mare e della terra. Qui nasce dunque uno dei più grandi vitigni del Mezzogiorno, il Nero d’Avola, le cui origini risalgono sicuramente ai primi insediamenti greci quando i coloni portarono anche la sapienza del sistema di coltivazione ad alberello, talmente efficace da essere usato ancora oggi in alcune zone del Sud. Siamo in presenza di una delle forme più antiche e naturali della coltivazione della vite ad alta densità. I motivi di questo successo che dura da tremila anni sono facili da spiegare perché era la forma migliore, tcnicamente è adattabile anche a terroir con storie climatiche differenti anche se la vocazione indiscussa è per quelli caldi. I costi di gestione sono però enormemente superiori a quelli degli altri sistemi oggi più comuni perhé si richiede una cura manuale di ogni pianta. Ma la scelta di Moretti non si spiega solo con il recupero filologico, storico, della coltivazione dell’uva in Sicilia perché alla fine è stata proprio la voglia di fare il vino più buono del mondo a spingere verso l’alberello. La potatura permette una infatti areazione perfetta con un’illuminazione
massima in tutte le ore del giorno e la sua vicinanza al terreno consente lo scambio di colore perfetto per la maturazione del frutto con fotosintesi ottimale. In fase di maturazione le foglie in questa forma di allevamento, coprono i grappoli avendo quindi una minore ossidazione delle sostanza polifenoliche, aromatiche e degli acidi organici. Dunque il risultato è avere della frutta unica per fare vini più armonici e con un grado di maturazione tecnologica e polifenolica adeguata al vitigno.
È proprio il Nero d’Avola coltivato ad alberello il protagonista delle esportazioni di vino sfuso dalla Sicilia per tutto l’800 grazie all’alto grado alcolico raggiunto senza difficoltà che gli consente di essere ben conservato per sostenere il viaggio anche con rudimentali sistemi di trasporto. Come l’Aglianico nel Vulture o il Negroamaro nel Salento, i rossi meridionali sono stati usati per sostenere le produzioni del Nord d’Italia e della stessa Francia soprattutto quando le pallide annate non erano favorevoli. Poi la grande svolta, iniziata nella metà degli anni ’80, sino al boom di questi ultimi anni: il Nero d’Avola vinificato in purezza si rivela un rosso elegante, ben strutturato, complesso, fine, rotondo, perfettamente in grado di affrontare lunghi invecchiamenti. E’ sicuramente la scoperta enologica più interessante e ha contribuito più di ogni altra uva al rilancio dei grandi rossi del Sud d’Italia. Moretti non ha mai avuto dubbi sulla scelta, immediatamente ha puntato su questo vitigno autoctono lavorando l’uva con il sistema tradizionale ad alberello. Ce lo hanno insegnato i greci, ha sempre funzionato.
Uva e mandorle, nascita di una azienda
Tra le siepi di fichi d’india e l’ombra fresca degli alberi di carrubo, tra ulivi e e mandorleti in fiore, le palme nane impotenti e i fertili limoneti, spuntano gli splendidi e suggestivi impianti ad alberello di Nero d’ Avola. Feudo Maccari si estende su 720 tumuli, di cui 330 di vigneti ad alberello, divisi in tre corpi sparsi sulle colline accarezzate tutto il giorrno dalla brezza marina. Il tumulo è l’antica unità di misura della zona a cui c orrispondono 1744 metri quadrati.
L’avventura di Moretti in questa natura esuberante, esagerata e barocca, comincia nel 2000 con i primi acquisti. Moggio dopo moggio riesce a costruire una delle più grandi realtà delll’isola mettendo insieme la terra spezzettata dai secoli in oltre cinquanta diverse proprietà. All’ombra della Cattedrale di Noto con gli enologi e amici Carlo Ferrini e Gioia Cresti comincia ad impostare l’affascinante e rigoroso lavoro di recupero filologico del passato.
Il cuore è Maccari con i suoi tredici ettari di nuovi impianti affiancati a otto di vigneti che hanno già fatto da trenta a sessanta vendemmie sempre sotto il sole tutto il giorno. Qui ci sono la casa patronale, la foresteria, la sala degustazione e la cantina riprese e restaurate.
Non lontano l’altro corpo aziendale a Bufalefi, una contrada particolarmente vocata per la viticoltura perché la conformazione del terreno trattiene l’umidità, un particolare decisivo in un territorio siccitoso dove greci, romani e arabi hanno sempre dovuto fari i conti con la mancanza di acqua. Infine il punto più alto dell’azienda, una terrazza sullo Jonio e sull’oasi naturale di Vendìcari, la zona Guaranaschelli dal nome degli antichi proprietari.
La diversa tipologia tra i terreni, neri e sabbiosi o bianchi calcarei, le differenze di altezza e di esposizione, tutto sembra creato apposta per favorire la nascita di vini complessi e consentire di riequilibrare il diverso andamento vegetativo delle piante.
Re Noto
Da sempre i contadini meridionali amano bere il frutto dell’ultima vendemmia prima di cominciare la nuova. Una tradizione a cui Moretti è andato subito incontro con entusiasmo: il bicchiere allegro e scanzonato, pronto in ogni occasione, ricco di profumi, facile da abbinare alla superba tradizione gastronomica siciliana di povertà e di richezza, riflette in pieno il suo carattere aperto di uomo del Sud. Carlo Ferrini ha voluto rispettare fino in fondo l’uva con una attenta vinificazione in acciaio, al resto ci hanno pensato il suolo nero e bianco, il sole e i venti africani che raccontano l’anima del Nero d’Avola in bottiglia.
Re Noto rosé
Ecco un rosato pensato per l’estate da nero d’Avola. Fresco, di buona struttura, molto profumato. Un gioco di Moretti per gli amici e gli appassionati.
Il Saia
Il nome viene dai canali di irrigazione costruiti dagli arabi per raccogliere l’acqua pluviale. Nella bottiglia c’è tutta la storia austera e tenace della Sicilia, un Nero d’Avola di grande carisma, il colore è impenetrabile, il frutto esplode subito al naso per poi lasciare posto a sensazioni olfattive intense, persistenti e complesse di spezie, cacao, liquirizia. Un equilibrio confermato sin dal primo sorso e ottenuto con l’uso sapiente del legno scelto dopo molte prove per elevare questo rosso sontuoso in cui si concentra la forza del terroir e la sapienza dell’enologo capace di interpretare al meglio un vitigno in costante ascesa ma che in realtà pochi conoscono ancora bene.