Atina DOC: non solo bordolesi e non solo rossi


vigneti impiantati ad Atina

di Antonio Di Spirito

Confesso che non stravedo per i vini italiani da “vitigni internazionali”. A volte penso di essere addirittura prevenuto verso di essi. Eppure molti vini della costa toscana, siano essi dai due cabernet o da merlot o da syrah, mi piacciono, li gradisco e li ho sempre apprezzati. In Italia, però, abbiamo più o meno un migliaio di vitigni autoctoni, o comunque ritenuti tali perché si sono acclimatati nei secoli nei vari territori, e dai quali si ottengono grandi vini tradizionali e tipici. Ed allora mi domando: “ c’era proprio tanta necessità di far ricorso ai vitigni internazionali per fare grandi vini in Italia, sia utilizzati in purezza che in blend in soccorso dei nostri?”. Sembra che la forte richiesta internazionale ha spinto in questa direzione. Sarebbe comunque un errore pensare ad una moda nata negli anni tra il 1970 ed il 1980.

Intorno al 1530 Caterina dei Medici va sposa di Enrico di Francia e porta nella sua ricchissima dote anche il carciofo; in cambio, manda in Toscana i cabernet che entra così nella normale coltivazione viticola e nel 1716 il granduca Cosimo III de’ Medici emana dei decreti con i quali regolamenta la zona di produzione del Carmignano e la sua composizione prevede, appunto, l’utilizzo di “uva francesca”. I cabernet, comunque, sono rimasti in utilizzo nel solo comprensorio di Carmignano senza diffondersi ovunque.

La famiglia Visocchi si era stabilita ad Atina, nella Val Comino, in Terra di Lavoro ed avevano dato inizio ad una serie di attività industriali, fra le quali una cartiera. Nel 1845 Pasquale Visocchi inaugurò la cartiera e nel 1867 si recò a Parigi per acquistare nuovi macchinari; lì conobbe e si appassionò ai vini ed ai vitigni d’oltralpe. Iniziò, quindi, ad importare ed a sperimentare quei vitigni in appositi vigneti impiantati ad Atina, seguì le metodologie di allevamento ed adottò le tecniche di cantina apprese in Francia. Per la prima volta in Italia ci fu una invasione di vitigni francesi, quali: Cabernet Franc, Cabernet Sauvignon, Merlot, Syrah, Gamay, Pinot Noir, Pinot Blanc, Semillon, Sauvignon Blanc e Russane.

Su quei terreni collinari tra i 400 ed i 500 metri d’altitudine e con quella esposizione non fu difficile ottenere vini migliori rispetto a quelli ottenuti con vitigni autoctoni, sfruttati in quantità, vinificati a maturazione sommaria per l’arrivo di freddi improvvisi e con vinificazioni problematiche.

Quei vitigni e le sue sperimentazioni furono ripresi dalla Scuola di Enologia di Conegliano e diffusi, poi, in tutto il Nord-Est d’Italia.

Man mano che in quella zona prendevano piede i nuovi vitigni e le nuove tecniche, venivano abbandonati i vitigni autoctoni.

Da questa piccola ricostruzione storica si evince, quindi, che i cabernet ed altri vitigni francesi sono presenti e si sono acclimatati nella Val Comino ormai da 150 anni.

Naturalmente i vini rossi ebbero grande successo e grande diffusione; la lavorazione delle uve bianche non era altrettanto semplice e la differenza si attenuava.

Oggi ci sono ottimi rossi prodotti nell’ambito della Atina DOC istituita nel 1999; ma già nel 1940 l’Ingegner Guglielmo Visocchi ottenne il Decreto di riconoscimento di Vino Tipico.

Possiamo ricordare i vini di Cominium, La Ferriera, Tullio, Iucci e tanti altri: tutti utilizzano il cabernet come base dei loro vini.

Ci sono poi i bianchi prodotti in quella zona, troppo poco conosciuti.

La Ferriera produce un bianco, una vendemmia 2012 attualmente ancora in botte, a base di semillon (85%) ed un saldo di sauvignon blanc. Cosi come prescrive la Atina DOC Semillon. E’ un vino con un impatto olfattivo dirompente: profumi di magnolia, gardenia, gelsomino, mela verde ed agrumi. Al palato mostra la stessa intensità nei sapori di frutta, è aromatico, con una gradevole nota tostata, una grande freschezza ed un finale ammandorlato.

Anche l’Azienda Agricola Tullio conduce un vigneto in regime biologico in cui coltiva uve bianche quali: malvasia bianca, chardonnay, pinot bianco e sauvignon. Produce un vino molto equilibrato e fresco.

Vigneti Iucci, oltre a cabernet, merlot e syrah, produce un vino bianco con uve chardonnay; vino di ottima personalità e consistenza che ben si abbina a piatti di pesce di media struttura.

Negli ultimi anni in viticoltura si è consolidata una moda: riscoprire vecchi vitigni autoctoni e, dopo accurati studi e sperimentazioni, spesso iniziati da singoli viticoltori, vengono messi in produzione. Il primo dei vitigni recuperati e portati in produzione è il maturano bianco (chiamato anche metolano in altre località vicine; la specifica del colore è dovuta al fatto che ne esiste anche una versione a bacca nera) e l’olivella, vitigno a bacca rossa diffuso nel basso Lazio e Campania. Altri vitigni in recupero sono: il capolongo, il lecinaro, il pampanaro, il tendòla; senza trascurare, poi, vecchi esemplari, trovati in varie vigne, di pallagrello bianco e nero di Borbonica memoria, una volta tipici anche in questa zona.

E’ doveroso ricordare che studi e sperimentazioni isolate sono state successivamente raggruppate e poste sotto un unico coordinamento dall’ARSIAL e dalla CCIAA di Frosinone e condotti dall’università di Velletri, da dove il prof. Gaetano Ciolfi ha consigliato ed indirizzato molti produttori ad impiantare questi vecchi vitigni “ritrovati”.

Cominium ha impiantato da oltre cinque anni il primo vigneto di maturano bianco e lo conduce in regime biologico. Pochi giorni fa ho assaggiato la terza vendemmia: il Maturano Bianco 2013, imbottigliato da pochissimi giorni. Non molto intenso il suo giallo paglierino con riflessi dorati; al naso si alternano, in rapida successione, profumi di frutti tropicali, mango, mela gialla, agrumi, macchia mediterranea e salvia. Al palato gli intensi sapori fruttati sono accompagnati da una vibrante acidità e risulta di buona persistenza, con la componente alcolica (13,5%) molto ben integrata.

vigneti impiantati ad Atina

Palazzo Tronconi è un’azienda che si è affacciata da poco nel mondo vitivinicolo; ha vigneti per soli 3,2 ettari e li conduce in regime biodinamico. Nella parte più vecchia del vigneto sono state ritrovate piante di oltre 40 anni assortite fra pampanaro, malvasia, trebbiano, lecinaro, merlot e sangiovese. Le integrazioni sono state effettuate con maturano bianco, maturano nero, olivella e capolongo.

E’ prematuro dare dei giudizi sui vini, perché prodotti da piante ancora troppo giovani e quasi tutti sono in blend; ma un’idea è possibile farsela, specie con alcuni vitigni.

Il pampanaro ha profumi floreali immediati ed intensi, è un ottimo traduttore di mineralità; alla gustativa è fruttato e notevolmente agrumato, sapido e persistente; adatto alla spumantizzazione.

Il lecinaro l’ho potuto assaggiare in purezza nel Zitore 2013. Se mi avessero detto che fosse stato prodotto con uve pinot nero, ci avrei creduto! Ha un colore rubino poco intenso; all’olfattiva è un vino molto floreale, offre profumi di piccoli frutti di bosco e susine rosse, accompagnati da gradevoli note minerali e tostate. Alla gustativa la componente fruttata è accompagnata da una intensa freschezza; è fine, asciutto ed elegante, i tannini sono tenui e setosi ed il finale è tostato e speziato. Gran bella sorpresa!

Zitore 2013

Sono sicuro che nei prossimi anni, nella bassa Ciociaria, avremo un’ampia offerta di nuovi vini bianchi e rossi ad accompagnare i tradizionali vini a taglio bordolese.