Garantito IGP. Rizzi: emozionante verticale di Barbaresco Boito e Pajoré


Barbaresco Rizzi Boito

di Roberto Giuliani

Avrei voluto partire dal 2001, ma nel mio profondo egoismo ho esaurito tutte le bottiglie in mio possesso fino alla 2004. Ho una scusante, però, i Barbaresco di casa Dellapiana sono esageratamente buoni, merito del connubio fra i fantastici crus di proprietà e la mano esperta di Ernesto (prima) ed Enrico (ora). Sto parlando dell’azienda Rizzi, in quel di Treiso, uno dei tre comuni votati alla produzione del Barbaresco. Fondata proprio da Ernesto nel 1974, è diventata oggi, con i suoi 35 ettari vitati di proprietà, una delle più importanti realtà di Langa.

Ernesto Rizzi

 

Enrico Rizzi

Enrico è subentrato in pianta stabile proprio nel 2004, affiancando il padre che ne ha approfittato per ampliare i propri spazi d’interesse: è proprio a lui che si deve la scelta di installare un impianto fotovoltaico che alimenta tutto il processo produttivo.

E poi c’è Jole, senza la quale molto probabilmente gran parte dei vini rimarrebbe in cantina! Già, perché senza una persona che si occupa del lato commerciale non si va avanti, soprattutto quando i volumi cominciano a salire, ma per fortuna c’è lei, la sorellina di Enrico, oggi anche mamma di due deliziosi bimbi, Jacopo e Andrea.

Jole Rizzi

Nella gamma dei vini aziendali il Barbaresco occupa indubbiamente il ruolo principale, viene proposto in quattro versioni: il “Rizzi“, una selezione di nebbiolo proveniente dal cru omonimo, poggiato su una collina che si estende per otto ettari ed esposto a sud-sudovest, ad un’altitudine variabile tra 220 e 310 metri s.l.m.; matura per circa 12-15 mesi in botti di rovere di Slavonia da 50Hl e poi in vasche di cemento e acciaio per altri 12 mesi.
Il “Nervo Fondetta“, proveniente dal vigneto Fondetta, di 3 ettari, che fa parte del cru Nervo, ben soleggiato e situato in forte pendenza tra i 310 e i 370 metri, viene maturato con le stesse modalità del “Rizzi”.
Il “Rizzi Boito” proviene invece dai vigneti Bricco Boito e Vigna Grande del Boito, situati nella parte più alta del cru Rizzi, viene maturato per circa 15-20 mesi in botti di rovere di Slavonia da 50Hl e poi in vasche di cemento o acciaio per altri 12 mesi.
Infine il “Pajoré” nasce dal cru omonimo situato al confine con il comune di Barbaresco, di cui i Dellapiana possiedono circa 3 ettari; i filari partono da quota 300 per digradare fino a 230, praticamente a fondo valle, sono esposti a sud su terreni marnosi e poveri, matura per circa 12-18 mesi in botti di rovere di Slavonia da 30Hl e poi in vasche di cemento e acciaio per altri 12 mesi.
Ma veniamo alla verticale dei due crus, Pajoré e Boito.

Barbaresco Rizzi Pajoré

VERTICALE BARBARESCO PAJORE’ 2004-2010

Barbaresco Pajoré Suran 2004 – Gr. 14
L’annata 2004 è l’ultima in cui viene specificato in etichetta il nome della vigna, Suran, poiché successivamente sono nate le cosiddette “menzioni geografiche aggiuntive”, un’espressione che per certi versi va a coincidere con quella di “cru”, ma che non sempre ha l’esatta corrispondenza territoriale. La possibilità di usare in aggiunta anche la menzione “vigna” è rimasta, ma i Dellapiana hanno preferito non indurre in confusione chi acquista, preferendo lasciare in etichetta la sola menzione geografica “Pajoré”.
Degustato sei anni fa lo ritrovo in grande spolvero, ancora con un bel granato vivo e molto classico, con toni caldi e ambrati al bordo. Non ci mette molto a liberare l’ampio corredo di profumi, fa piacere notare che non ci sono note terziarie spinte e sintomo di evoluzione avanzata, ma ancora c’è una bella presenza fruttata con guizzi agrumati, a cui seguono toni di tabacco, cuoio e liquirizia, poi timo e ginepro.
L’impatto al gusto conferma la qualità dell’annata, è la freschezza a segnare il passo, affiancata da un tannino fine e ben integrato con la polpa, è un viaggio sensoriale molto bello, pulito, lungo e ancora in grado di reggere bene i prossimi anni.

Barbaresco Pajoré 2005 – Gr. 14
Al contrario della precedente, questa è stata giudicata un’annata interlocutoria, mediamente più spigolosa e con una struttura meno importante, di quelle che magari piacciono ai tradizionalisti o quantomeno a chi del nebbiolo ama più lo scheletro che la muscolatura. C’è da dire però che, come sempre, non si può fare di tutta l’erba un fascio, ci sono le dovute differenze da zona a zona e contano molto i terreni e le esposizioni, infine il modo di interpretare l’annata da parte del produttore.
Sta di fatto che a me quest’annata in Langa piace molto, la versione di casa Rizzi poi è partita subito bene, matura al punto giusto per farsi apprezzare anche in gioventù; ora è ancora migliorata, il bouquet gioca su piccoli frutti sotto spirito, ciliegia in particolare, ma lascia presto spazio a note fini di cardamomo, alloro, liquirizia e una sottile sfumatura di cannella.
Al gusto è quasi in totale equilibrio, il tannino aggredisce ormai poco lasciando spazio ad un bel frutto maturo ma ben sorretto dall’acidità; un vino così trionfa a tavola, ha tutte le caratteristiche di persistenza e freschezza per accompagnare piatti saporiti a base di carne rossa.

Barbaresco Pajoré 2006 – Gr. 13,5
Torniamo ad un’annata che ha messo d’accordo tutti, qui è l’armonia che ha dominato, tanto da rendere persino i Barolo di Serralunga più “pronti” del solito. Il Pajoré dimostra di avere grande stoffa, del resto si tratta di uno dei migliori crus di tutta l’area del Barbaresco, presenta un colore granato molto bello, caldo, accompagnato da una gamma di profumi molto eleganti, si sente la qualità dell’annata anche dalla totale assenza di spigolosità alcoliche, emerge una bella vena balsamica, note di liquirizia dolce e amaretto, eucalipto, tabacco da pipa, ciliegia in confettura, ancora una volta una sottile sfumatura agrumata.
Al palato è avvolgente, pieno, perfettamente affinato nel tessuto tannico, tutto è in ottimo equilibrio, si beve che è un piacere.

Barbaresco Pajoré 2007 – Gr. 14
Entriamo in un ambito diverso, dopo la 2003 arriva un’altra annata calda, ma non così tanto da cuocere i grappoli, di quelle che si possono apprezzare appena uscite e possono avere una durata non lunghissima, ma sempre più che soddisfacenti. Così è per il Pajoré, che non ha il mordente e l’eleganza di una 2006, ma ha le qualità per farsi apprezzare. Al naso è indubbiamente più maturo, etereo, ma non manca di un bell’apporto speziato, dal ginepro a venature di china ed erbe officinali.
Anche l’assaggio mette in evidenza una certa maturità complessiva e un alcol un po’ fuori registro, ma la freschezza compensa e resta una sensazione finale balsamica e di liquirizia.

Barbaresco Pajoré 2008 – Gr. 14
Con la 2008 inizia ad apparire qualche riflesso rubino su un cuore solidamente granato; all’olfatto regala ricordi di viola e rosa appena appassita, ciliegia in parte sotto spirito, in parte candita, una sfumatura di ribes e prugna, poi tornano le note balsamiche e di spezie fini, liquirizia e inizio di tabacco.
Bella rotondità di frutto all’assaggio, freschezza piena e tannino in via di piena fusione con la materia, il finale rileva una sottile acidità, quasi agrumata, che evidenzia ancora una bella grinta giovanile.

Barbaresco Pajoré 2009 – Gr. 14
Eccoci ancora una volta di fronte ad un’annata che già inspirandone il profumo riconosci alcuni tratti in comune con la 2006, in particolare questo grande equilibrio che nasconde la percezione alcolica, seppur non indifferente; il bouquet punta da subito sul floreale, con richiami alla genziana, alla rosa antica, all’artemisia, cui seguono in progressione ciliegie e fragoline di bosco, riappare il ginepro, una punta di mirto, il legno di liquirizia.
In bocca conferma tutta la sua eleganza, sorretto da una bella vena fresca e balsamica, tannino già morbido e polpa piena, vellutata, ricca di sapore, un gran bel bere.

Barbaresco Pajoré 2010 – Gr. 13,5
Qui il colore è ancora ben segnato da sfumature rubine, pur rimanendo un classico granato da nebbiolo di Barbaresco. Molto particolare il ventaglio odoroso che appare al primo impatto, sono più evidenti le note floreali e speziate di quelle fruttate, che affiorano solo in un secondo momento; la sensazione generale è ancora una volta di grande finezza, qui giocano un ruolo non secondario i toni di macchia mediterranea, poi affiora la ciliegia, la liquirizia in un insieme che va via via formandosi e rivelando notevole eleganza.
Freschissimo al primo impatto gustativo, con un tannino ovviamente meno pronto ma sempre di ottima fattura, grana finissima, bella trama fruttata puntellata da rimandi alla liquirizia, il sorso è lungo, profondo, avvolgente, si prospetta un grande futuro per questo vino.

VERTICALE BARBARESCO BOITO 2004-2009 RISERVA

Barbaresco Rizzi Boito 2004 – Gr. 14
Marne calcaree tufacee alternate a sabbia, è questa la composizione prevalente nei 4,6 ettari che compongono le vigne Bricco Boito e Vigna Grande del Boito, sarà forse questa la ragione per cui il vino ha un carattere austero e quasi imponente, ma sempre accompagnato da una grande eleganza.
A prescindere dall’annata il Boito è quello che mi ha sempre emozionato di più; nella versione 2004 gode di un’annata molto equilibrata e anche leggermente più produttiva della media, che gli dona un colore granato ancora intenso con unghia appena aranciata.
I dieci anni di vita trovano conforto in una tavolozza di profumi di grande fascino, dove a ciliegia, lampone e prugna in confettura, si accostano note evidenti di cuoio, tabacco, liquirizia, china, chiodo di garofano, spunti pepati e balsamici, richiami al goudron evidenti e pennellate di sottobosco.
Grande impatto all’assaggio, ricco e morbido, ma con una vena balsamica e fresca che avvolge le pareti della bocca, mentre il tannino ci ricorda un passato importante nella sua trama fitta e setosa.

Barbaresco Rizzi Boito 2005 – Gr. 13,5
Ecco un bell’esempio di quello che intendo quando dico che la 2005 è una signora annata. Il Boito sembra interpretarla magnificamente, starei per ore con il naso nel calice tanto sono buoni i profumi! Quando l’ho degustata nel 2008, ero rimasto incerto se dargli la quinta chiocciola solo per alcuni, per altro leggeri, squilibri che allora erano presenti. Acqua passata, ora è in armonia, il balletto fra fiori passiti, frutto maturo e spezie fini è quasi ammaliante.
E il sorso non è da meno, mi piace questo corpo appena più snello che lascia spazio all’ossatura del nebbiolo, alla sua innata eleganza, è un susseguirsi di sapori pieni, accompagnati anche da una dose di sapidità, e quanta balsamicità nel finale, quanta liquirizia. E’ proprio un vino per amanti del nebbiolo!

Barbaresco Rizzi Boito 2006 – Gr. 13,5
Bellissimo colore granato con evidenti riverberi rubini, paragonato al Pajoré della stessa annata, questo appare al naso più severo, quasi restio, ma è solo l’impressione iniziale.
Stupendo è l’attacco floreale di viola, ciclamino, iris e rosa, che si fa affiancare lentamente da ciliegia e lampone maturi, note di alloro, incenso, felce, poi ancora l’immancabile liquirizia e una struggente vena balsamica.
Bocca fantastica, setosa, col tannino levigato e una freschezza decisa che dà nerbo a tutta l’impalcatura. Difficile intuire quanto ancora lungo possa essere il suo percorso.

Barbaresco Boito 2007 – Gr. 14
Quando ho aperto il Pajoré 2007 avevo avuto una strana sensazione, sentivo un vino diverso da tutti gli altri, soprattutto nei profumi, ho anche sospettato che l’anomalia potesse provenire dal tappo. Poi mi sono reso conto che non aveva problemi ma solo caratteristiche differenti. Ora che ho davanti il Boito stessa annata, non ci sono dubbi, è diverso anche questo, si riconoscerebbe ad occhi chiusi e narici tappate.
Cosa abbia prodotto questa particolarità non riesco a comprenderlo, si è trattato semplicemente di un’annata calda ma neanche tanto, le uve sono maturate bene, perché allora i sentori sono così diversi? Anche qui, al primo impatto, affiorano le erbe officinali, la china, sembra di stare in una farmacia camaldolese, queste dominano sul frutto e sulle altre espressioni speziate, curioso ma non certo fastidioso. Anche perché poi il frutto arriva, un misto di ciliegia, lampone sotto spirito e ribes nero.
L’assaggio mostra un vino già in equilibrio, con un’alcolicità evidente ma non abbandonata a se stessa e un tannino consistente, virile, ma quasi del tutto inserito nella trama fitta e saporita.

Barbaresco Boito 2008 – Gr. 14
A due anni dal primo assaggio mi sembra abbia fatto ulteriori passi in avanti, il colore si mantiene sul granato pieno dai toni caldi con qualche accenno rubino.
L’attacco odoroso è raffinato e non “spara”, al contrario si concede poco a poco restituendo belle note di violette selvatiche, terra umida, tabacco, legno di liquirizia su una base fruttata ancora fresca e piacevole, il tutto avvolto da una fitta vena balsamica.
Grande suggestione all’assaggio, una spalla acida accompagna il tannino finissimo e senza asperità, frutta e spezie giocano, spingono, si attraggono, nel finale affiora una piacevole e particolare nota di cacao amaro.

Barbaresco Boito Riserva 2009 – Gr. 14
E’ la prima Riserva di Boito, non perché frutto di una particolare selezione rispetto al Boito annata, ma semplicemente perché ormai le vigne hanno raggiunto una piena maturità e se c’è un vino in casa Dellapiana che può fregiarsi della menzione “Riserva” questo è sicuramente il Boito, che da qui in poi uscirà solo come riserva e avrà tempi di maturazione e affinamento più lunghi (secondo l’annata).
Granato netto nel calice, bouquet di notevole eleganza, profuma di fragoline di bosco, mentuccia, foglie umide, spunti pepati, cardamomo e ancora una volta tanta vena balsamica.
Impressionante la tonalità quasi grassa e dolce che lo caratterizza, avviluppa i sensi, l’acidità si misura con un frutto rotondo e una speziatura finissima, c’è già un eccellente equilibrio, frutto sicuramente del lungo affinamento in bottiglia.
Ha un potenziale enorme, nel finale torna la balsamicità che ne esalta la piacevolezza, lunghissimo e godibilissimo già ora, ma capace di durare ben oltre il decennio.

 

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