Guida Espresso, si riparte: meglio parlarne ora. No?


Qualche curiosità dal retro bottega

Enzo Vizzari

Da quando è sorta l’alba del 2.0 non c’è stato autunno che il Signore ha mandato in Terra senza le centinaia di commenti sulle guide, sparsi nei siti e nei blog di settore in cui si passa allo scanner maroniano le scelte, il loro declino, la inferiorità rispetto al web, la mancanza di trasparenza dei giudizi, eccetera, eccetera, eccetera, eccetera.
Siccome io amo viaggiare contromano, vi ripropongo adesso questo articolo scritto a maggio nel pieno della polemica di Striscia e di Velenitaly perché a molti sfugge un piccolo particolare: SONO QUESTE LE SETTIMANE DECISIVE in cui si imposta il lavoro e si fanno le grandi scelte strategiche. Allora vi lascio a questo repetita iuvat che resta un post tutto sommato ben fatto. E che vale, per quel che posso scriverne, per la Guida Espresso di cui mi onoro di far parte.

Sono ispettore della Guida Ristoranti Espresso, quella più venduta in Italia dopo la Michelin, da 11 anni e le domande di ristoratori e appassionati sono più o meno sempre le stesse. Anche le calunnie.

Vorrei dunque profittare della campagna lanciata da Striscia contro la critica gastronomica italiana per mettere in chiaro alcuni punti perché da sempre penso che questa sia la migliore delle Guide possibili nel nostro paese, almeno sino a che il cartaceo sarà più importante del web.
Anzitutto: come si diventa collaboratori?
L’attuale formula è stata impostata da Edoardo Raspelli che creò una rete composta soprattutto da giornalisti di testate regionali o comunque sparsi sul territorio già impegnati su questo fronte, abituati a girare locali per lavoro. Il cambio della guardia con Vizzari non ha mutato questo assetto puntando magari ad una riduzione del numero per avere più omogeneità. La maggioranza degli ispettori è dunque impegnata da tempo a collaborare alla Guida con un turn over tutto sommato in linea con qualsiasi altra impresa editoriale. Tutti vivono di altro e non potrebbe essere diversamente.
La struttura gerarchica
Curatore e vicecuratore hanno ovviamente la supervisione del lavoro e dialogano direttamente con i coordinatori di area. Questi a fine anno provvedono alle assegnazioni dei locali a ciascun ispettore il cui carico varia grosso modo da 15 a 30 locali da visitare anche se non mancano eccezioni in un senso e nell’altro. Ma sono, appunto, eccezioni.
Il conto chi lo paga?
C’è un vero e proprio contratto di edizione a scadenza annuale che prevede tra l’altro il rimborso fisso dietro presentazione di ricevuta o, in alternativa, dietro una dichiarazione di responsabilità scritta nella quale bisogna indicare di chi si è stati ospiti (comunque non del ristoratore). Il numero dei non pagati, ci sono state raccomandazioni scritte in tal senso, deve essere assolutamente limitato.
La scelta dei ristoranti
Vige il principio di rotazione: ogni coordinatore fa la riunione preparatoria ed è assolutamente raro che un locale sia recensito dalla stessa persona per due anni consecutivi.
I ristoranti di alta quota di ciascuna regione, diciamo dai 16 in su ma anche talvolta i 15,5 e i 15, sono in genere assegnati a ispettori di altre regioni che chiedono di visitarli e che, proprio per questo, a loro volta ruotano in continuazione. Oppure sono visitati dal curatore in persona: lo scopo è di favorire l’omogeneità di giudizio. Il curatore, inoltre, tiene presente delle decine di indicazioni che gli arrivano in continuazione. In media, un ristorante importante viene visitato almeno altre due o tre volte oltre a quella dell’ispettore incaricato.
L’anonimato
Le indicazioni ufficiali raccomandano l’anonimato. Nella prenotazione basta dare un altro cognome di famiglia. Quando si arriva, anche se riconosciuti, potrà migliorare il servizio ma la spesa e la cucina sono già avviate. Un altro trucco consiste nel mandare amici fidati a rivisitare il locale in seguito e raccogliere il feedback. Tutti questi piccoli accorgimenti contribuiscono a creare un giudizio più equilibrato.
L’Editore chiede esplicitamente di dichiarare se ci siano rapporti di lavoro o di consulenza con i ristoranti presenti in Guida o se si è in qualche modo nel mondo della ristorazione, per esempio nel commercio di hotellerie o di vendita di vino e Vizzari nelle sue note di inizio anno sconsiglia vivamente di partecipare come organizzatori a eventi messi in piedi direttamente dai ristoratori

Alberto Sordi

E’ del tutto evidente che si tratta di una forma di volontariato parzialmente retribuita ma molto formativa per chi vi prende parte e accetta queste condizioni perché è un grande stimolo al confronto continuo e soprattutto a muoversi più motivati sul territorio. Personalmente, grazie a questa Guida ho potuto battere a tappeto in questi anni tutto il Centro Sud. Chi scrive ha dunque un vantaggio di formazione e di aggiornamento.
Solo chi vale e costa poco può pensare che cinque o sei conti, anche dieci, non pagati nell’arco di un anno possano costituire lo scopo ultimo di partecipare a questa impresa e dunque lanciare illazioni da morti di fame.
L’Editore dal canto suo ha il vantaggio di essere presente in maniera capillare come solo l’Osterie d’Italia Slow Food può fare, e di avere così una guida corale ma omogenea.

Credo sia difficile influenzare più di tanto i giudizi: in Italia l’alta ristorazione è l’evoluzione dell’osteria, la maggior parte è a conduzione familiare. Può funzionare magari la consuetudine, il conformismo, ma proprio per questo ci si alterna.

Credo che, fatto presente il mercato italiano e i costi dell’impresa, questa formula non è certamente l’ideal-tipo perfetto ma è la migliore possibile praticabile. Spesso l’alternativa alla perfezione è l’immobilismo.

Gli errori ci sono, come le simpatia e le antipatie. Ma questo fa parte della vita. L’ispettore è chiamato esplicitamente a valutare solamente la cucina: su questo il dibattito è aperto.
Senza le Guide dei Ristoranti la maggior parte delle eccellenze resterebbe sconosciuta e costretta a lavorare solo con il passaparola. E’ stato questo strumento a creare un comune sentimento nel nostro Paese.

Tutto questo non toglie che sia un mondo minoritario: in fondo sono circa 4/5000 locali portati alla ribalta da tutte le Guide messe insieme a fronte dei quasi centomila ristoranti e trattorie italiane. Ma è quella fetta che fa qualità e che è capace di esportare il made in Italy all’estero

Fuori da questo mondo c’è solo il Far West e la mancanza di regole. Forse è questo a cui vogliono arrivare coloro che attaccano a testa bassa perché così chi è famoso si toglie l’angoscia di essere giudicato. Ma chiunque faccia un lavoro pubblico non può esimersi dall’esserlo.

Ps: aggiungo infine una nota personale. Per aver manifestato dissenso alla copertina VelenItaly del settimanale Espresso, Vizzari ha dovuto interrompere la collaborazione e il suo blog è stato oscurato. Credo che persone così dovrebbero essere difese anche da chi ritiene di aver ricevuto un torto da lui.
Forse non è ancora chiaro a tutti cosa c’è dietro l’angolo del mondo dell’informazione da qui a qualche anno, quando le schede potrebbero essere un puro copia e incolla fatto da un ventenne part-time precario mai uscito dal McDonald’s da cui si collega esternamente al sistema editoriale.
Infine: per chi è del settore può capitare di essere invitato come ospite in una serata da un ristoratore, oppure di essere chiamato per provare un nuovo piatto. O, ancora, di essere sollecitato ad intervenire durante una inaugurazione. Va da se che in questo caso la Guida non c’entra nulla e il rapporto è affidato alla consuetudine maturata in anni di frequentazione.