Il Cecubo di Masseria Schettino


Chiara Fabietti

di Antonio Di Spirito

Parlare delle origini del vino “Cecubo” significa ripercorrere oltre due millenni di storia e tracciare le origini del vino in Italia.

Nel 312 a.c., in un periodo di grande espansione di Roma, il censore (seconda carica pubblica nell’antica Roma) Appio Claudio Cieco dette inizio ai lavori di costruzione di una strada di collegamento tra Roma e Capua, utilizzando criteri assolutamente innovativi: la via Appia, identificata in seguito quale “regina viarum”.

Via Appia

Lo scopo era quello di agevolare l’avanzata dell’esercito romano verso il meridione; non a caso, infatti, la strada fu successivamente prolungata dapprima fino a Benevento e, quindi, fino a Brindisi, per salpare verso la Grecia e l’Oriente. Nel tratto iniziale fu ristrutturata ed ampliata una vecchia strada che collegava Roma ai Colli Albani. Il tratto successivo, fino ad Anxur (l’odierna Terracina), fu molto agevole, visto che attraversava la piatta pianura paludosa dell’Agro Pontino. Subito dopo, però, mentre scollinava da Fondi a Formia, incontrò molte difficoltà ed i lunghi tempi morti, nella bella stagione, li passava all’ombra a degustare gli ottimi vini locali. Per questa sua abitudine, cieco (caecus) che beve (bibendum), fu coniato il termine Caecubum, fondendo parti dei due vocaboli precedenti. E con questo termine fu identificato un territorio geografico (monti Cecubi) ed i vini che lì si producevano.

 

Idra

E, molto probabilmente, fu proprio Appio Claudio che per primo li portò a Roma e li fece conoscere. Nei secoli successivi quel vino fu talmente apprezzato tanto da spingere Plinio il Vecchio, in una sorta di guida ai vini dell’epoca, a classificare prima il Cecubo e, poi, il Falerno (antea coecubum, postea falernum), nonostante il Falerno reggesse un invecchiamento oltre i cento anni. Columella, poi, nel De Agricoltura, individuò il sito di produzione del miglior vino dell’Impero sulle alture sopra la “spelunca” (oggi Sperlonga), nell’antichissima città di Amyclae. Orazio, invece, ricorda che i vini cecubi venivano tenuti nascosti, come un bene prezioso, sotto cento chiavi, ed erano superiori persino a quelli offerti negli opulenti banchetti dai Pontefici.

Ma quali erano i vitigni utilizzati per produrre questo vino?

Questa domanda ce la poniamo per tutti i vini dell’antichità; generalmente si riesce a formulare qualche ipotesi più che attendibile, ma troppe cose sono cambiate in duemila anni: periodi più o meno lunghi di interruzione della produzione, il nome dei vitigni, le caratteristiche organolettiche, il modo di fare il vino; raramente abbiamo una risposta inconfutabile. In questo caso, invece, abbiamo testimonianze dell’epoca molto puntuali.

Il cecubo era prodotto con due vitigni insostituibili, ai quali veniva aggiunto almeno un terzo vitigno e, talvolta, anche un quarto.

Il vitigno più antico è senz’altro l’uva serpe; Columella, nel 1° secolo d.c., parlava di un vitigno chiamato Dracontion (usando, non a caso, un termine mutuato dalla lingua greca col significato di “serpente”), che dava un vino robusto. Questo vitigno non ha riscontri di parentela con alcun altro dei vitigni oggi utilizzati nel mondo; ma le possibili mutazioni genetiche avvenute nel corso dei millenni, potrebbero giustificare questa “unicità”.

Uva Serpe

Virgilio attribuisce ai Laconi, provenienti dal Peloponneso, regione abitata dagli Spartani, l’importazione del vitigno. Gli Amiclani piantarono sui colli di Itri (Idra fino al 900 d.c.) la vite dell’uva serpe, anche come retaggio delle proprie credenze religiose. I popoli antichi, ogni qualvolta si insediavano in un nuovo sito, portavano con sé, oltre le loro credenze religiose, anche i simboli della loro civiltà e della loro cultura. L’uscio delle loro case era sempre adornato con un pergolato di vite che assicurasse prosperità ed ombra alla propria dimora. Questa usanza, fatta propria dalla cultura contadina ed osservata fino a pochi decenni fa, probabilmente, ci ha preservato l’uva serpe; non è difficile, infatti, trovare tronchi pluricentenari di quell’uva nei pressi di ruderi antichi ancora esistenti sui Monti Cecubi.

Quest’uva ci dona un vino corposo ed intenso, carico nel colore, tanto da tingere il pavimento (Orazio lo ricordava nel seguente verso “vero tinget pavimentum superbo”), molto
amaro ed al contempo dolce nei primi anni; ma con la maturazione e l’invecchiamento scompaiono le note amare.

L’altro vitigno importante in questo vino era l’Abbuoto. Questo vitigno era diffuso tra Terracina ed Itri e si addentrava nell’entroterra fino a Fiuggi, nella cui regione rimase in produzione, perché Nerone, a metà del 1° secolo a.c., fece costruire Lago Lungo, vari canali ed altre opere di bonifica nell’Agro Pontino, distruggendo molti vigneti.

Abbuoto

Se ne ricava un vino rosso amaranto intenso e carico, con profumi di piccoli frutti rossi e cacao, di buon corpo, molto tannico e con una nota amara nel finale, che si dissolve con l’invecchiamento.

Altri vitigni autoctoni della zona in produzione tuttora sono: Cerzale, Ciciniello nero, San Giuseppe nero e l’Uva Vipera. Quest’ultimo vitigno, anch’esso molto antico, non è un clone dell’uva serpe; deve il suo nome alla forma dell’acino molto simile alla forma della testa della vipera; anche se, in effetti, l’esame genomico stabilisce una parentela di primo grado fra i due vitigni.

Uva Vipera

Per i vitigni a bacca bianca diffusi in zona si va dal Bellone (localmente chiamato Uva Pane), il San Giuseppe bianco, il Ciciniello bianco, la Falanghina Boccabianca.

 

Masseria Schettino

Alla fine degli anni ‘90 il notaio Antonio Schettino acquista una masseria di circa 100 ettari posta su una collinetta nel comune di Itri, sulla quale c’erano piccole vignette con vitigni autoctoni locali, quali uva serpe, uva vipera, abbuoto e qualche vite a bacca bianca. Oggi si contano 6 ettari ad uliveto e circa 17 ettari a vigneto; sono state recuperate le marze dalle vecchie vigne trovate e sono state propagate in nuovi impianti; si hanno così vigneti di abbuoto, uva serpe, uva vipera e piccole quantità di alcune altre varietà locali, fra cui l’aglianico. E’ stato poi, impiantato un piccolo vigneto di cabernet sauvignon. Per quanto riguarda i vitigni a bacca bianca, tre in tutto, la scelta è ricaduta su fiano e falanghina per la vicinanza territoriale alla Campania (il confine è a meno di trenta chilometri) e per le origini campane dell’enologo dell’epoca. Analizzando la morfologia del terreno e considerando la presenza di sugherete, la mente corse alla Gallura ed al suo vermentino per il terzo vitigno.

Masseria Schettino vista dall’alto

In seguito ad un fatto di cronaca accaduto durante la fase organizzativa della vendemmia 2013, si verificò l’esigenza di sostituire il precedente enologo; fu individuata e scelta una ragazza di grande talento: Chiara Fabietti, studi di enologia effettuati a Bordeaux ed importanti esperienze in grandi cantine in Italia. Il suo compito è impervio ed impegnativo, ma molto stimolante e gratificante.

Dovrà curare molto le vigne per portarle alla massima vigoria e sanità. In cantina il lavoro è più agevole, anche se la mole è tanta; i vini bianchi hanno bisogno di piccoli aggiustamenti e tempi di maturazione più lunghi prima della commercializzazione, mentre per i rossi c’è bisogno di un lavoro più incisivo e assiduo. Ma lei ha le idee chiare e nel giro di qualche anno avremo di sicuro grandi vini sul mercato! Il tempo è dalla sua parte e non ci sono grandi punti di riferimento con cui confrontarsi e misurarsi: il Cecubo “storico” esisteva più di duemila anni fà e … chissà com’era!

Le etichette prodotte oggi sono sette, per un totale di 20.000 bottiglie; l’obiettivo è quello di superare le 50.000 bottiglie; il potenziale quantitativo c’è tutto.

 

Gli assaggi

 

Masseria Schettino, i vini

Amyclano 2013: dedicato all’antica città di Amyclae, viene prodotto con uve vermentino. I profumi arrivano a zaffate a volte intense, a volte delicate; sicuramente in un ampio spettro olfattivo. In sequenza ho sentito dapprima le mandorle tostate, poi il glicine; poi ancora note smaltate e, quindi, fiori bianchi; un giglio carnoso precede un intenso profumo di mandarini e poi non resisto oltre e porto il calice alla bocca. Ha ancora sapori di post-fermentazione, ma è fresco e materico, molto fruttato ed un finale molto lungo in cui le note di mandorla tostata rubano la scena.

Boccabianca 2013: è una falanghina in purezza e le è stato dato il nome del clone di falanghina utilizzato in azienda. Su questo vino mi sono appuntato tanti descrittori, ma tutti esprimono freschezza, nitidezza e persistenza; sia al naso che in bocca regala sensazioni delicate ed eleganti, mai intense e prorompenti, accenna profumi e sapori e poi si nasconde senza mai scomparire; il finale prolungato regala le solite note ammandorlate ed un singulto di freschezza e di mineralità.

Centochiavi 2013: fiano in purezza; per il nome di questo vino è stato “scomodato” Orazio, anche se il poeta lo aveva attribuito al rosso; ma la preziosità di questo vino è la stessa. Avvicinando il calice al naso, il vino si rivela con immediatezza: floreale, tiglio, frutto della passione e nocciola. Sensazioni molto corrispondenti in bocca, dove il frutto si esprime ancora con note delicate, ma la grande freschezza rendono la beva dinamica, piacevole e lunga. E’ un vino già complesso, ma ancora troppo giovane; sembra che non sia ancora entrato nella fase di maturazione.

Vinum Caecubum Bianco 2012: blend di fiano e falanghina in pari misura. E qui si sente distintamente l’anno in più! Il naso viene investito dapprima da note affumicate, da cenere e dalla pietra focaia; poi arriva frutta a polpa bianca, melone bianco ed ananas. All’assaggio il sorso è lungo, complesso, fruttato, pieno e fresco. E’ un vino che non stanca mai!

Terrae d’Itri 2012: è un blend di abbuoto, uva serpe ed un saldo di cabernet sauvignon. Il colore è una bella tonalità di rubino acceso; profumi di rosa, viola, petali di garofano e foglie di lauro rallegrano al naso; il sorso è scorrevole, dinamico e fresco; non manca di piacevolezza e, pur essendo abbastanza secco, risulta persistente.

Vinum Caecubum Rosso 2011: blend di uva serpe ed aglianico; sesta etichetta ed ultima dei vini fermi secchi. Nonostante l’età, al naso si concede con caratteristiche da vino di un anno: vinoso, frutta fresca e qualche nota minerale. In bocca la frutta rossa è croccante e l’acidità è importante, ma si rafforza la sensazione di vino giovane ed acerbo; ci vorrà ancora qualche anno di attesa per goderselo con soddisfazione.

Ho avuto la possibilità, molto interessante, di assaggiare alcune bottiglie di vini in purezza; magari anche di qualche annata vecchia.

Uva vipera 2012: probabilmente è uno di quei vitigni che portavano quantità nell’uvaggio; sia il chicco che l’intero grappolo sono molto grandi ma di scarsa colorazione. Ha buoni profumi, è fruttato, non molto consistente e poco tannico; come genere mi ricorda vagamente il grignolino e lo abbinerei con la pizza.

Abbuoto 2009: uno dei due vitigni indispensabili al Cecubo. Vinoso, floreale ed una nota erbacea lo caratterizzano al naso; In bocca è molto fruttato e fresco, la nota vegetale è importante, ma non disturba affatto; ha una beva piacevole e lunga.

Dell’Uva Serpe ho assaggiato tre annate: 2009, 2007 e 2005; sostanzialmente, aldilà delle differenze derivanti dall’invecchiamento, hanno le stesse caratteristiche: floreale e note ematiche all’impatto, poi arrivano profumi fruttati e di confetti. In bocca è fruttato e fresco; la trama è molto fitta e consistente, tannini potenti e vellutati, sorso lungo e piacevole. Ho preferito l’annata più vecchia, perché ha raggiunto una buona maturità; ha un tannino ancora vivace e la freschezza e la gran materia a disposizione fa prevedere qualche ulteriore ottima evoluzione.

E per chiudere, la settima etichetta in commercio: Dracontion. E’ prodotto con uve fiano e falanghina fatte appassire su graticci. Il colore è giallo oro molto carico; al naso propone profumi di pesca ed albicocca passite, note di zafferano e qualche erba aromatica. Fresco e fruttato con agrumi e note di rabarbaro a completare il quadro gustativo, il sorso è lunghissimo ed in chiusura si apprezzano note nocciolate e speziate. Lo abbinerei con caprini stagionati oltre i due anni!

 

Conclusioni

Dagli assaggi viene forte la convinzione che i vini hanno bisogno di tempi più lunghi di maturazione prima di essere goduti appieno; Paradossalmente, i vini bianchi, pur dando una sensazione di “acerbo”, hanno comunque una personalità ben definita ed una qualità superiore già in consolidamento. I rossi, invece, risentono di più della giovane età delle vigne; ed a questo va aggiunto quanto accennato sopra circa la maggiore incisività del lavoro da svolgere in vigna.

La materia è tanta e di ottima qualità e questi vini possono solo che crescere!

A proposito, il prezzo più alto è 15 Euro!

Az. Agricola Monti Cecubi di Marciano Schettino s.a.s.
Contrada Porcignano – Provinciale-Itri Sperlonga, Km 4
04020 Itri – Latina
Tel.: 0771.729177; 0771.770638; Fax: 0771.770639
[email protected]

 

Un commento

  1. Complimenti vivissimi Antonio.In parole povere una lectio magistralis.PS.Il fascino nel mondo del vino sta in questo:non si finisce mai di imparare per la varietà e la vastità dell’argomento e per la logica con cui ogni viticoltore interpreta un determinato vitigno specie se autoctono e poco frequentato.Ad maiora e……al prossimo.FM.

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