Il Coda di Volpe del Cavalier Pepe


Per molti anni Taurasi è stato l’unico vino italiano a non avere territorio. Poi, sulla scia di Antonio Caggiano, il primo a portare visitatori, turisti, operatori e giornalisti nel comune del rosso più importante del Sud, si sono affacciate nuove realtà. Ma questa le supera tutte: 35 ettari adagiati sulle colline tra Luogosano e Sant’Angelo all’Esca il cui baricentro è fissato sulla collina Carazita vitata in modo così spettacolare come solo nelle Langhe e a Montalcino abbiamo sinora visto. Nella grande cantina ancora in costruzione gli esperti riconoscono il volto familiare di Marco Moccia, cantiniere per anni da Caggiano dove si è fatto le ossa, poi c’è la giovane Milena, belga-irpina con laurea in marketing del vino a Bruxelles dove il papà Angelo ha fondato numerosi ristoranti italiani, esperienze in Francia prima di venire a maturare su queste colline nel cuore dell’areale docg. Ebbene, qual è il bianco nella zona più rossista della Campania? Sicuramente il Coda di Volpe, quel vitigno poco acido usato dai contadini per tagliare Fiano e Greco un po’ come si fa con il Piedirosso nell’Aglianico. Angelo lavora a Bruxelles, torna e, anno dopo anno, compra i terreni e li mette a regime come Dio comanda mentre gli altri fratelli, sono impegnati sul territorio nella filiera del turismo enogastronomico di qualità, sul crinale argilloso calcareo è nato il ristorante La Collina assediato dagli olivi da cui si produce Ravece finissimo. Ora in cantina e nei campi c’è Milena, sorriso morbido e idee molto chiare con qualche sbalordimento, provocato a volte dalla mania importata dagli Stati Uniti di avere un enologo di fama per imporsi sul mercato. Ma in Francia è l’azienda a dare volto al bicchiere, non l’enologo. Poggiando su questo ragionamento c’è il solido Raffaele Inglese nella Tenuta, poche chiacchiere e tanto Aglianico, Fiano e Greco dietro le spalle. Di Angelo e Milena è molto bella la volontà di piantare più di cinque ettari di Coda di Volpe mentre la gran parte della cantine di Taurasi rincorre gli altri due vitigni più conosciuti e remunerativi: con il Grecomusc’ di Sandro Lonardo i Pepe sono gli unici a preservare il bianco vero di territorio. Il 2005 è più arzillo del 2006, bisogno ancora di vetro, si presenta fresco, con ingresso baldanzoso in bocca, beva piacevole, per certi versi anche impegnativa, molto efficace sulle zuppe contadine come quella fatta con la cipolla ramata di Montoro e il caciocchiato da Antonella Jandolo della Maschera di Avellino. Così l’Irpinia ha cambiato il suo volto in quindici anni, dalle anziane donne vestite di nero per il lutto, aria Mediterraneo antico, alle fanciulle in fiore, simbolo di un territorio modernamente indomito alla marginalità e alla globalizzazione.