Il Greco 2006 Aminea


Cominciamo con un buon consiglio ai nostri appassionati: fate pure incetta di Fiano, Greco e Falanghina che comprerete direttamente nelle aziende per poi conservarle al buio in cantina, o anche in un rispostiglio protetto dal caldo e soprattutto dalla luce. Poi iniziate a bere il 2006 verso la fine di quest’anno o, meglio ancora, la prossima Primavera. I bianchi campani in commercio da qualche settimana non sono ancora pronti, ma promettono bene appena si saranno assestati nel vetro smaltendo l’eccesso di solforosa e lo stress da imbottigliamento. Tra questi, il Greco di Tufo di Aminea, provato sulla splendida cucina di pesce di Carlo Matarrese, oggi in forza al Casale a Meta di Sorrento, che ha dimostrato comunque tanto carattere e forza, mineralità e tempi lunghi al palato. È il bianco base della giovane azienda irpina di Castelvetere con le vigne vicine a quelle di Salvatore Molettieri, amico da sempre di Mimì Mongiello, animatore con Michele Fede e altri amici di una cantina finalmente completata e pronta ad accogliere i visitatori, ricordiamo ancora lo scheletro della struttura e i fermentini all’esterno. L’occasione per misurare il Greco 2006 è stata data dalla presentazione di due nuovi vini aziendali alla quale abbiamo partecipato con Paolo De Cristofaro del Gambero Rosso: si tratta di Uno, da uve aglianico, piedirosso e sangiovese e di Quindici, passito di fiano, moscato e falanghina, che rappresentano la svolta di Aminea, sempre più attenta al mercato americano dopo le attenzioni del mitico Lo Cascio che ha fatto la fortuna di molte aziende campane negli States. Sontuoso e amico il Taurasi Baiardo 2002, ennesimo invito a non generalizzare troppo quando si parla di annate vitivinicole, familiare l’Aglianico base Monsignore, buono anche il Fiano, l’altro cavallo di razza aziendale. Il Greco ha però una marcia in più, almeno in queste prime battute, grazie alla struttura e alla mineralità: sopra ho parlato di tempi di beva, ma bianchi di questa stoffa possono durare anche molti anni come ha dimostrato una recente, spettacolare, verticale da Raffaele Troisi di Vadiaperti nel corso della quale abbiamo viaggiato a lungo, sino al 1989. Lo possiamo bere adesso sui crudi di pesce che compensa con il suo squilibrio, poi, più in là, sulla mozzarella di bufala e i latticini del Terminio, sulle zuppe e le paste, sulle carni e i pesci anche ben salsati in piatti strutturati. Insomma, un bianco a tutto pasto, la conferma della grandezza di un vitigno che non teme confronti grazie alla sua tipicità, quella cioé di essere in realtà un rosso travestito.