Il mio Vesuvinum


Angelo Peretti ha condotto, con Alma Torretta, la degustazione tecnica in cui si sono confrontati i bianchi dell’Etna, del Soave e del vesuvio durante la seconda edizione di Vesuvinum.

Ecco il suo racconto.

Un momento conclusivo di Vesuvinum

di Angelo Peretti
Contraddizioni: è il termine che spesso usano i settentrionali che vanno al sud. Vi trovano mille contraddizioni. Le memorie della storia contrapposte alle montagne di rifiuti nelle strade, l’intensità dei sapori contrastata alla rabbia per i disservizi diffusi, lo splendore del sole che riluce sulla decadenza dei centri urbani, il calore umano annichilito dal lassismo, la fantasia che cozza col fatalismo.
Ora, gli è che essendo stato la scorsa settimana a Ottaviano, terra del Vesuvio, due passi da Napoli, di contraddizioni me n’è piovuta addosso un’altra, e inaspettata: la puntualità svizzera degli organizzatori di Vesuvinum – la rassegna enologica di quelle terre -, contrapposta a quell’idea di quasi assoluta noncuranza dei tempi e degli appuntamenti che avevo altre volte toccato con mano in Campania.
Insomma: se a Ottaviano ti dicevano che la tal cosa si faceva alle nove e un quarto del mattino, alle nove e un quarto erano lì, pronti ad agire. E che il mondo del vino del Vesuvio si stia proiettando verso ritmi e stili diciamo “moderni” l’ho notato anche dalla cura del packaging, dalla grinta del design: bottiglie con tant’etichette che sono gioiellini di grafica. Da far invidia.
Il titolo esatto della kermesse è “Vesuvinum – I Giorni del Lacryma Christi”, ché proprio al Lacryma Christi, in bianco e in rosso, è votata. Il format è della Strada del vino Vesuvio (e dei prodotti tipici vesuviani), presieduta da un vulcanico – mi si permetta il gioco di parole – Michele Romano, uomo dalle idee chiare, vigneron e negociant, erede d’una tradizione di commercio enoico. E insieme a lui collabora Luciano Pignataro, simbolo di coloro che scrivono di vino del sud. è a gente come questa che va riconosciuto il merito di quel rinascimento vitivinicolo che sta caratterizzando il territorio campano.
Ora però, visto che ho parlato prima di contraddizioni, ne dico una mia: pur non piacendomi in genere i concorsi enologici, ho accettato d’essere fra i degustatori della giuria della seconda edizione del premio intitolato alla memoria di Amodio Pesce. Concorso tutto e solo dedicato al Lacryma Christi, in bianco, in rosso e, poco poco, in rosato. Ma mi sembrava una buona occasione di farmi un quadro generale della situazione prima d’avvicinare singolarmente qualche produttore. Eppoi, quest’è un concorso interessante, un buon modello di riferimento, ché mica premiano a pioggia: un vincitore solo per categoria, e condivido.
“è un’occasione per verificare a che punto siamo, e dunque per crescere” m’hanno spiegato, e nuovamente condivido.
Che idea me ne son fatto? Che si viaggia a due velocità: da una parte chi è ancora rigidamente e ostinatamente ancorato a una tradizione deleteria, che conduce a vini stanchi, seduti, talvolta ossidati, e dall’altra chi guarda avanti, e applica impostazioni enologiche aggiornate, e s’impegna a dare eleganza, freschezza, personalità, carattere ai suoi vini. E la divaricazione enologica la si nota soprattutto nei rossi. C’è sicuramente ancora molto da fare in parecchie cantine del Lacryma Christi, ma la strada giusta è già stata intrapresa, e i primi risultati son di valore. E dunque non potrà che andar bene.
Certo ci son da affrontare anche oggettivi ostacoli strutturali. Mica tutti hanno i quattrini per prendersi attrezzature – oh, se servirebbero maggiori refrigerazioni sui bianchi! – e consulenti. E anche un più lungo affinamento dei rossi – che stando a quel che ho tastato mi pare giovi parecchio – è un lusso avvicinabile solo a chi si può permettere di comprar botti nuove e tener lì il vino un anno o due, immobilizzato. In ogni caso, dicevo, la via è intrapresa, e c’è gente che fa vini di sicuro interesse.
Ma un’osservazione mi sento di farla anche a chi meglio s’ingegna in vigna e in cantina: sarà colpa mia, sarà una sintonia che non ho potuto costruire in così poco tempo, ma nei bicchieri il vulcano – il Vesuvio – non m’è parso di trovarlo granché. M’aspettavo più zolfo, più vene minerali, più nervosismo sanguigno. Invece li ho raramente percepiti. Ecco, il prossimo passo sarà probabilmente questo: mettere più in luce il territorio.
Vedo che sono andato lungo, e dunque chiudo qui, per ora, dicendo i nomi dei vincitori delle quattro categorie del concorso. Darò in un altro intervento maggiori dettagli d’alcuni vini che mi son piaciuti. Ma avverto: i premiati son fra quelli che, appunto, mi son più piaciuti. Ordunque, fra i bianchi s’è imposto il Lacryma Christi 2008 di Mastroberardino. Fra i rosati, successo del Lacryma Christi 2008 targato Sorrentino. Fra i rossi d’annata affermazione del Lacryma Christi 2008 Vesevus, mentre nella categoria dei rossi affinati ha avuto la meglio il Lacryma Christi Forgiato 2004 di Villa Dora.
Ripeto: ne parlerò in un nuovo pezzo. A presto.
Per ora aggiungo solo: bravi. A Romano, a Pignataro, a Pasquale Brillante e al suo staff dell’Ais, agli organizzatori. Bravi.