Il sangue di Montalcino, la recensione sul Mattino del giallo di Giovanni Negri |Einaudi


giovanni negri

Da segretario del Partito Radicale a produttore di vino. Infine romanziere. Ma alla fine tutto si lega: protagonista dell’ultimo libro di Negri – Il sangue di  Montalcino. Una indagine del commissario Cosulich (Einaudi, pagg. 284, euro 18,50) è appunto il commissario Cosulich, che beve poco, detesta i maniaci delle degustazioni perché per lui il vino è «una cosa qualsiasi come la pasta, la verdura, la carne, le patate».

Ed è convinto che i fanatici del vino vivono in un mondo tutto loro, come i Puffi. Deve scoprire l’assassino di Roberto Candido, winemaker di fama internazionale trovato morto tra i banchi dell’abbazia di Sant’Antimo a Castelnuovo dell’Abate, frazione di Montalcino.

Ad aiutarlo, oltre al suo intuito allenato da indagini importanti, c’è Mastrantoni, un ispettore romanesco e romanaccio con il quale è in sintonia (inspiegabile) da vent’anni. Lavorare a questo caso lo porterà ad incontrare una decina di personaggi più o meno famosi che lavorano nel mondo del vino, tutti frequentatori assidui della vittima, tutti con qualcosa da insegnare sul vino (molti lo fanno attraverso dialoghi che sono vere e proprie lezioni) e tutti con qualcosa da nascondere.

Il sangue di Montalcino, Einaudi

Cosulich, insieme all’ispettore Mastrantoni, affronta da subito con determinazione l’archivio elettronico della vittima e capisce che Roberto Candido da tempo, e fino a poco tempo prima di morire, era alla ricerca di una Verità sepolta nel cuore più profondo della terra, della terra più antica dove crescevano i primi tralci di uva, quella originaria, la Prima Uva. Giovanni Negri ci fa conoscere un commissario taciturno, che lavora molto da solo, in compagnia dei suoi pensieri.

Le storie del vino che incontra durante la sua indagine si intrecciano così con la storia dell’Uva Originaria, di antiche terre, di ricerca scientifica, di religione e, immancabilmente, di soldi e affari. L’importanza della terra, delle origini di un vitigno, della primogenitura di un vino, delle tecniche per farlo, della salvaguardia dei terreni, diventano per Cosulich tutte piste da percorrere.

E, per l’Autore stesso, imprescindibili e inesauribili fonti di conoscenza. Un «giallo di vino» con un ritmo che diventa incalzante a metà del racconto, a mano a mano che chi legge si orienta tra i tanti percorsi che può fare un tralcio di vite, compreso lo «scambio di coppia», che non è una pratica sessuale, ma la sperimentazione che prevede lo scambio tra le piattaforme ampelografiche delle zone vinicole.

E si appassiona così alla ricerca intrigante che è costata la vita al povero Roberto Candido. Una scrittura pulita e decisa con una caratterizzazione dei personaggi segnata da tratti lievi ma da mano sicura. Descrizioni che scorrono via veloci come l’Audi del protagonista, gli unici tempi lenti sono quelli dei pensieri mentre anche i ricordi scompaiono in un attimo, come la lepre misteriosa che Cosulich – e il lettore – incontrano più volte tra un capitolo e l’altro.

Il Mattino, 9 marzo. Prima di Cultura