Il vero ragù napoletano secondo la tradizione di Raffaele Bracale


Raffaele Bracale

Raffaele Bracale

di Raffaele Bracale

Oggi vi lascio in compagnia di un pilastro della cucina occidentale: il ragù napoletano. Raffaele Bracale, cultore di cucina e fervido attendente della tradizione immacolata, ci consegna un trattatello con tutto quel che c’è da sapere sull’argomento.

La locena e della carne
Come si sa il ragú napoletano è una salsa di carne e pomidoro, salsa che per esser conseguita necessita di lunghissima cottura (anche cinque o sei ore…) a fuoco dolce. Purtroppo non v’è univocità, tra i cultori, in ordine al tipo di carne che deve concorrere alla formazione del sugo: c’è disparità di vedute. Napoletano di lungo corso, quale sono, ò visto centinaia di ragú fatti con i piú disparati pezzi di carne e posso dire che i ragù che mi ànno soddisfatto il palato sono quelli che usavano la carne di manzo sotto forma di brasciole ossia di grossi involti di carne ricavati da quella che in napoletano si dice lòcena (dal latino auciu(m) che diede dapprima ocio e poi (con agglutinazione dell’articolo lo) locio = vile, di scarto,donde il femminile locia ed infine in napoletano locina o meglio lòcena con epentesi eufonica della N) ed in toscano soppelo; ordunque sia con la voce locena che con soppelo si intende la carne ricavata tra la punta di petto e la clavicola della bestia.
C’è una scuola di pensiero che consiglia per il ragú la carne di maiale; dissento toto corde, in quanto il ragú conseguito con la sola carne di maiale è lento ed inconsistente, o almeno lo fu quando esistettero i grossi maiali dalla saporita carne piuttosto ricca di grasso; oggi forse con l’uso di bestie magrissime, che di maiale ànno solo il nome, il ragú conseguito con la sola carne di maiale non corre piú il rischio di essere lento ed inconsistente. Qualora però qualche testarda massaia (e ce ne sono!), voglia usare per la preparazione del ragú della carne di maiale, non deve mai pensare di usarla da sola, ma sempre in unione con carne di manzo, e tra i varî pezzi di carne di maiale vanno preferiti o la gallinella (sopracoscio) o la tracchiolella (costina che se di collo è detta tracchia umida, in quanto piú morbida e succosa, se di costato è detta tracchia asciutta in quanto essendo povera di grasso è meno morbida e succosa) – mai la salsiccia! -, che devono però, come ò detto, accompagnarsi indefettibilmente alla carne di manzo,in pezzi di polpa della parte anteriore, o preferibilmente, come dicevo, sotto forma di brasciola ossia larga fetta di lòcena arrotolata su se stessa, fermata con il refe da cucina dopo che sia stata ben imbottita di sale, pepe, prezzemolo ed aglio tritati, uva passita e pinoli oltre che di cubettini di formaggio romano e/o caciocavallo da bestie podaliche .
La voce gallenella deriva dal fatto che il sopracoscio à quasi la forma di una piccola gallina con ali e cosce ripiegate sul corpo, mentre il termine tracchiolella diminutivo di tracchia è dal greco tràchelos= collo, cervice in quanto le migliori tracchiolelle sono quelle umide ricavate dalla sfasciatura delle vertebre del collo della bestia.

ziti al ragù

Non è un semplice ragù di carne
Il ragú napoletano è molto diverso da tutti gli altri ragú di carne, pure ottimi, di cui è ricca la cucina italiana. è diverso per gli ingredienti, per la lunga preparazione, per l’estrema attenzione che richiede, per quella tipica fase di preparazione, fase detta del peppiare ed infine per l’aroma che purtroppo sempre piú raramente si diffonde, il sabato sera, nelle scale dei palazzi di Napoli, dove ahimé sono giunti gli anatemi di tutti i nutrizionisti mediatici che ànno convinto anche i poveri napoletani a bandire dal loro desco domenicale questa sontuosa salsa per sostituirla con insipide salsine bollite, senza nerbo e/o gusto, insipide e prive di grassi animali, salsine che mai e poi mai possono convolare a felici nozze sulla tavola domenicale con i tronfi maccarune ‘e zite spezzati a mano o, meglio ancora, con duttili pacchere magari ‘mbuttunate!
Fortunatamente ci sono ancora dei napoletani d’antan, che – come carbonari o cospiratori del tempo andato continuano a parlare e talvolta a preparare mitici ragú come il Cielo comanda!

Come si fa il ragù napoletano

Cosa significa Peppiare

Molti grandissimi della letteratura e dell’arte lo ànno celebrato.Rammenterò per tutti don Peppino Marotta che usava dire che il ragú non si prepara, ma si consegue quasi che lo si raggiunga e/o conquisti alla stregua di una promozione o un successo!
Io mi limito a riportarne la ricetta, premettendo che il risultato finale dipenderà quasi esclusivamente dalla sensibilità e dalla … mano calda (lèggi: attenzione, preparazione, solerzia ed …amore) del cuoco o della cuoca.
Prima però di dare la ricetta con ingredienti e preparazione, soffermiamoci sulla espressione
PEPPïARE / peppïà che è voce onomatopeica indicante quella fase propedeutica del momento prossimo alla conclusione della preparazione del ragú napoletano, allorché dal fondo della pentola dove è in cottura la salsa di carne e pomodoro, affiorano ripetutamente in superficie delle bolle d’aria che al culmine della tensione si rompono producendo un suono simile a quello che produce chi tira una boccata di fumo dalla pipa. Il toscano traduce in maniera piuttosto imprecisa e superficiale: sobbollire.
Un ragú napoletano che sobbollisse e non peppiasse, non sarebbe un vero ragú.
Il segreto per far peppiare la salsa sta – oltre che nel tenere la fiamma piuttosto bassa- nel non turare completamente con il coperchio la bocca della pentola, ma nel poggiare il coperchio su di un lato della pentola mentre in direzione opposta occorre poggiare il coperchio non sul bordo della pentola, ma sul cucchiaio di legno posto di traverso l’imboccatura, per modo che si crei una piccola circolazione d’aria che impedisca alla salsa di attingere forza dal fuoco e le impedisca di precipitare nel bollore cosa che rovinerebbe tutta la faccenda.
Solo dopo che la salsa abbia peppiato per piú di un’ora e si sia verificato lo strano fenomeno della separazione dell’olio e dello strutto che affiorano in superfice lasciando il sugo di pomodoro nel fondo della pentola, si può esser certi che il ragú si sia conseguito e dopo una veloce rimestata con il fido cucchiaio di legno, si potrà spegnere il fuoco .
In chiusura rammenterò che la voce peppïà è resa nelle Puglie con il termine pippijà che, ad un dipresso, ripete l’onomatopea partenopea peppïà, mentre in Sicilia è usato il termine carcariare voce che, risultando essere un denominale di carcara ( calcara o grossa pentola), lascia presumere che l’azione significata dal vocabolo presupponga un’ebollizione così violenta tale che possa indurre il sugo ad uscir di pentola; non è pertanto il napoletano peppïare che come ò spiegato indica un bollore sí prolungato, ma calmo, direi quasi riflessivo, mai agitato o violento. In napoletano, in effetti, il verbo carcarïare/carcarïà è usato per indicare il rumoreggiare, l’agitarsi.
Rammento infatti ancòra che quando in napoletano vogliamo indicare un’azione agitata di un individuo che aneli a qualcosa e lo voglia subitaneamente, diciamo che, a proposito del bene desiderato, quell’individuo sta scarcarenno ossia è cosí agitato da tracimare l’ipotetica pentola del comportamento.

peppïà – pippijà = pipeggiare, fare il rumore della pipa ; voci onomatopeiche.
carcarïare/carcarïà =rumoreggiare; bulicare rumorosamente; voce verbale denominale di carcara che con derivazione dal lat. tardo (fornacem) calcaria(m), deriv. di calx.calcis ‘calce’ indica innanzitutto la fornace in cui si fanno cuocere i calcari per produrre la calce o il forno in cui si fonde la miscela di sabbia e soda usata per fabbricare il vetro e per traslato – nel caso che ci occupa – una grossa pentola, una caldaia, un grande recipiente metallico in cui si fa bollire o cuocere qualcosa;
scarcarenno = tracimando la caldaia voce verbale (gerundio ) dell’infinito scarcarí = tracimar la caldaia denominale di carcara da un ex-carcara però con cambio di coniugazione che da un atteso excarcarïà che avrebbe dato il gerundio scarcarianno, passa ad excarcarí il cui gerundio è scarcarenno dell’espressione sta scarcarenno = sta figuratamente tracimando la pentola.

E adesso la ricetta
Ingredienti e dosi per 6 persone

Per la prima fase di preparazione, la lardellatura
100 g. di prosciutto crudo possibilmente grasso o di lardo di pancia,
50 g. di pancetta tesa affumicata,
Un ciuffetto di piperna
Pepe q.s.

Per la seconda fase
1,5 Kg. in un sol pezzo di primo o anche secondo taglio di manzo (spalla(pezza a cannella) o meno opportunamente magatello (lacerto))
1 Kg di brasciole (involti) da fette di locena (adeguatamente imbottite con sale fino, pepe, cubetti di formaggio pecorino, aglio e prezzemolo tritati, uvetta e pinoli e legate),
3 tracchiolelle (puntine) di maiale per complessivi 400 g.(facoltative)
600 – 800 g. di cipolle dorate vecchie
100 g. di strutto
50 g. di lardo di pancia
1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva extravergine
50 g. di pancetta tesa affumicata
250 – 300 ml di generoso vino rosso secco
da 100 a 300 grammi di doppio concentrato di pomodoro
1 litro e mezzo di passata di pomodoro o 1 kg. e mezzo di pomidoro tipo Roma o san Marzano sbollentati, pelati e passati al passaverdure a buchi fitti.
Un ciuffetto di basilico
sale doppio q.s.

Preparazione

Prima fase
Lardellate la carne con il prosciutto, la pancetta, la piperna ed il pepe e legatela bene; imbottire le fette di locena con sale fino, pepe, cubetti di formaggio pecorino, aglio e prezzemolo tritati, uvetta e pinoli e legarle accuratamente.
Tritate grossolanamente , usando un affilatissimo coltello o una lama a mezza luna, su un tagliere di legno prima il lardo e, via via la rimanente pancetta, e le cipolle. Si può anche usare un tritacarne per questa operazione, sarà un’operazione piú rapida, ma la sconsiglio; infatti c’e il rischio di perdere il succo e con esso l’aroma delle cipolle.
Ponete tutto il trito nella casseruola possibilmente di coccio o di rame stagnato, insieme allo strutto ed all’olio e, a fuoco bassissimo, riscaldate fino a quando lo strutto non si sarà fuso e la cipolla comincerà appena a soffriggere. Aggiungete la carne, le brasciole ed eventualmente le puntine (tracchiolelle) di maiale.
Coprite e lasciate rosolare, sempre a fuoco bassissimo, rivoltando frequentemente le carni: questa fase a Napoli vien detta sturdí ‘a carne (stordire la carne) ed è fase importantissima con cui si mira a sigillare i pori della carne perché – nella cottura – quest’ultima non ceda tutti i liquidi e gli umori, risultando alla fine poco morbida ed eccessivamente secca.
Attenzione! Le puntine di maiale cuociono molto prima, quindi potrebbe essere necessario toglierle per qualche tempo dalla pentola.
Quando le cipolle cominciano a prendere colore, scoprite, mescolate e rivoltate la carne piú spesso, aggiungendo poco per volta il vino che dovrà evaporare tutto. Fatto questo, le cipolle saranno ormai ben rosolate, ogni traccia di liquido sarà sparita e non rimarrà che il grasso che sobbolle lentamente.
Questa prima fase vi vedrà impegnati per circa 2 – 2,5 ore. Durante tutto questo tempo non è consigliabile allontanarsi dai fornelli: le cipolle potrebbero bruciare, rovinando tutto.

Seconda fase
Aumentate, ma di poco, il fuoco, per dargli un po’ di forza, ma non molta: appena sufficiente ad accogliere gli altri ingredienti che sono freddi.
Aggiungete non piú di due o tre cucchiai di concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere, fino a quando non diventi scurissimo.Fate molta attenzione: il concentrato deve sciogliersi nel grasso, prendendo sí calore, ma non bruciare!
Solo a questo punto va aggiunto tutto l’altro concentrato, sempre nelle stesse quantità, e cosí via, sempre con la stessa procedura, finché non l’avrete terminato.
Durante questa fase sicuramente le puntine (tracchiolelle) di maiale saranno cotte e vanno tolte delicatamente, per evitare che si spacchino aprendosi e disfacendosi.
Questa seconda fase (ancor piú delicata della prima perché dovrete controllare la cottura della carne e perché si corre il rischio che il pomodoro si attacchi) vi impegnerà per altre 2 o 3 ore.
A questo punto aggiungete tutto il passato di pomodoro,un po’ di sale le foglie di basilico spezzettate a mano e non piú di un mestolo d’acqua,e a pentola scoperta lasciate prima cuocere per circa un’ora e poi, incoperchiando come suggerito, lasciate peppiare (cuocere a fuoco bassissimo) per almeno un’ora e mezzo.
Se non l’avete già fatto, togliete tutta la carne e disponetela in un piatto: la rimetterete nel sugo a fine cottura.
La salsa sarà cotta quando vi apparirà densa, lucida, scurissima ed untuosa.
Verificate il sale, non dovrebbe essere necessario aggiungerne, rimettete la carne in casseruola e lasciate riprendere il bollore per pochi minuti.

Rifiniture e consigli
Dato il tempo di preparazione (almeno 7 ore) vi suggerisco di preparare il ragú il sabato, trasferendolo alla fine della cottura dalla pentola in una zuppiera di coccio o porcellana. Inoltre, lasciandolo riposare, il ragú matura e risulterà ancora piú gustoso.
Questa salsa va usata per condire 6 o 7 etti di maccheroni di zite spezzettati a mano in pezzi da 4 o 5 cm. cadauno.
Spolverare le porzioni impiattate con abbondante grana o (meglio ancora!) pecorino grattugiati e profumato pepe nero.
Servire come pietanza la carne affettata e le brasciole coperte con qualche cucchiaiata di salsa.
Il ragú si serve, quasi esclusivamente con la pasta grossa: maccheroni di zite spezzati a mano, ma si possono usare anche rigatoni, maltagliati rigati. Ottimi poi i paccheri, magari imbottiti con ricotta di pecora ma difficilmente si posson trovare.
Dopo un congruo piatto di ziti a ragú si può anche non mangiare altro, fatta eccezione, come detto, per la carne del ragú, con un contorno di verdura cotta; a Napoli si usano i friarielli (sorta di tenerissime cime di rapa, da soffriggere a crudo in padella con aglio, olio e peperoncino) che altrove non esistono, per cui si possono sostituire con bietole, spinaci o patate stufate.
Mangia Napoli! Facitene salute!

46 Commenti

    1. @milady La vostra meraviglia (?!) si riferisce forse a quel mio ànno usato al posto di hanno? Se così fosse, non meravigliatevi; se aveste frequentato le scuole elementari, come fece il sottoscritto, nel 1950 forse una sua maestra vi avrebbe insegnato che alcune voci verbali di avere si possono coniugare servendosi dell’acca diacritica anteposta alla a o alla o, oppure (più elegantemente!) servendosi delle vocali accentate (à – ò) per cui correttamente si può scrivere: ho/ò – hai/ài – ha/à – hanno/ànno. A me fu insegnato e non l’ò dimenticato! Salute!

  1. Tema.Pranzo della domenica.È da qualche giorno che all’apertura del blog di Luciano si sente ,se non propio l’odore del ragù,un forte odore di cipolla che sfrigola in padella .Era dunque quasi d’obbligo che anch’io mi adoperassi in tal senso.Ora,sicuro di essere scomunicato dai puristi ,presuntuosamente voglio raccontarvi il mio .Come sempre anche stamattina mi sono svegliato di buon ora e,dopo un ottimo moka,ho messo ad appassire1/2kg di comuni cipolle ramate stagionate in strutto ed olio extra di varietà Salella.Ho aggiunto poi un pezzo di costata di vitello ,una braciola ricavata da un arrosto disossato e del guanciale fresco di un maiale allevato prevalentemente a castagne .Dopo una delicata rosolatura ho sfumato con Maiatico di Moio ed in seguito aggiunto un kg di passata di pomodoro artigianale e mezzo kg di pelati sempre fatti in casa.Ai primi bollori ho abbassato al minimo e fatto andare per due ore.Siccome uso una padella di acciaio ,anche se a diffusione omogenea di calore,dopo questo tempo ho spento e riacceso svariate volte in modo da simulare una cottura il più lenta possibile ed evitare nel contempo che si attaccasse al fondo.Complessivamente più di 4 ore.Con questo ho condito i fusilli Cilentani acqua e farina bucati da un ferretto.Il formaggio usato è stato un cacio ricotta di capra sempre Cilentano con cui ho mantecato i fusilli conditi a fuoco spento con il ragù .Naturalmente ho bevuto il falerno riserva di cui sopra e come contorno degli ottimi sottoli e sottaceti di Franco Maida.Al dolce ho aperto fuori tempo massimo un panettone al cioccolato di Pietro Macellaro su cui è andato alla grande il Don Luigi sempre di Moio.Questo e,complice anche una fresca ma soleggiata giornata di fine gennaio,ha contribuito a farne una bella e tradizionale domenica che rimanda inevitabilmente al passato ma invoglia anche a ben sperare per il futuro.Buona domenica a tutti da Francesco Mondelli.

  2. Ho letto da pom yao la sua ricetta del ragu’ napoletano poemetto gastronomico letterario, con cui concordo. Mi permetta, pero’ di dissentire sul concentrato di pomodoro prodotto industriale che nulla a che vedere con la conserva. Per anni ho trascorso il mese di agosto ad esporre al sole e a ritirare dall’umido le mie “caccavelle” ampie ma basse piene di polpa di San Marzano insaporita di sale e ricca di basilico. Che buon ragu’! Con umilta’.

  3. @milady
    ànno= hanno, come anche ò=ho, ài=hai ed à= à. Così mi insegnò una vita fa la mia maestra delle elementari ed io ne feci tesoro e continuo ad usarlo!

  4. @renata de luca
    Avete ragione,signora, ma la mitica conserva di pomodoro fatta in casa nun ‘a fa cchiù nnisciuno…. pirciò accuntentammoce d’ ‘o bbuattone!

  5. ………………………….prosciutto crudo, pancetta affumicata??????????????????????????????????????
    Piatto della tradizione NAPOLETANA………………..

  6. il vero problema è la pentola di alluminio, vi siete mai chiesti come mai diventa praticamente “nuova” dopo averci cotto la salsa di pomodoro ? è l’acido del pomodoro stesso che la rende pulita e, secondo voi, dov’è finito l’alluminio che si è staccato ? tutto nel nostro fegato e li resta….
    Ci dovrebbe essere maggiore rigore nelle cucine dei nostri ristoranti, per anni abbiamo ingoiato teflon staccatosi dalle varie padelle usate per far “saltare” gli alimenti. So di essere “pesante” con questi argomenti ma la salvaguardia della salute credo sia importante o no ?

  7. e l’alluminio no, e il teflon no, ma allora? mica il coccio ce lo possiamo permettere tutti?
    e poi, l’acciaio non conduce in nessun modo. non resta che il rame, che innocuo non è..
    :-)

  8. Il coccio non costa molto. Un casseruola alta e capiente potrà costare 10 al massimo 15 euro. Non è tanto rispetto alla salute da tutelare. Ne va di mezzo anche e soprattutto il gusto. Vuoi mettere la domenica a tavola un piatto come comanda Napoli a tavola? E sporcarti anche un pò la camicia? Fa trendy napoletano e casareccio

  9. E che vuoi dire…….!!!!
    Dopo aver letto una ricetta così…..
    E penso proprio che il termine giusto (come dice Bracale) sia “conseguire” e non “prepare” ….. ‘o rraù.
    P.S.: Questa è poesia in cucina.

  10. nele cucine moderne ci sono le piastre elettriche o a induzione sulle quali non è possibile utilizzare il coccio. Con tutta la buona volontà di questo mondo, non credo che, a parte qualche ristorante specializzato in cucina napoletana all’antica, nessuno di noi potrà mai rifare il raù delle nostre nonne a casa sua. Perchè non utlizzare le pentole a fondo spesso della LAGOSTINA? Sono igieniche, perchè si lavano perfettamente e, anche se sono in inox, permettono una lunga cottura

  11. Gentilissimo Raffaele, visto che è così appassionato di etimologia, ci direbbe qualcosa sul termine “maccheroni” o “maccarune” ?

    Mi sembra che spesso il termine venga utilizzato per indicare genericamente la pasta “corta”; è corretto ?
    La ringrazio anticipatamente per l’eventuale risposta.
    Giuseppe

    P.s. mi permetto di indicare per i non napoletani che la parola “doppio” (utilizzata negli ingredienti per “sale doppio”) in generale sta per “spesso”, in questo caso sale grosso.

    p.p.s a corollario al commento sul concentrato di pomodoro industriale, ricordo che anche la passata di pomodoro industriale è un prodotto che sarebbe da evitare assolutamente così come l’olio non extravergine, in quanto privi di garanzie di legge sull’effettivo contenuto e metodo di preparazione.

  12. Trovo del tutto assurda questa fedeltà a ricette tradizionali che funzionavano con gli ingredienti di un tempo, i metodi di cottura e anche con le abitudini alimentari di un tempo: sfido chiunque oggi, in tempi di iper nutrizione, a digerire lo strutto. Ma a parte questo le carni, le cipolle, i pomodori e la loro lavorazione sono del tutto differenti da quelli usati un tempo. Le passate e i concentrati sono inevitabilmente più aciduli perché nel frattempo tutti i pomodori coltivati in qualsiasi parte del mondo sono frutto di innesti con la pianta originaria e per giunta non esiste praticamente più l’ingrediente originario che era la conserva di pomodoro. In queste condizioni è abbastanza ovvio che si possa passare dalla sola cipolla al trito misto o alla carne di maiale che conferiscono maggiore dolcezza, tanto più che i metodi di allevamento attuali dei bovini tutti tesi alla crescita rapida, rischiano di conferire un sapore metallico a causa dell’ abbondanza di globuli rossi nel sangue degli animali. Del resto mi sembra che tra strutto, pancetta e prosciutto di maiale ce n’è in abbondanza, anche se dubito che questi siano davvero ingredienti tradizionali e non un uso via via affermatosi nel dopoguerra.
    L’abilità in cucina sta proprio nel riprodurre i sapori tradizionali tenendo conto delle variazioni radicali che hanno subito gli ingredienti, cosa che ovviamente per tutti i ragù italiani e per grandissima parte dei piatti. Le ricette tradizionali sono più che altro un documento storico.

  13. Tutti questi commenti, presi prelevando pezzetti delle relative ricette potrebbero ( forse ) portare ad un “raù abbastanza vicino all’originale ma alcune affermazioni non mi sembrano condivisibili:.
    -pentola assolutamente di coccio, meglio se ” vecchia”, ossia usata per evitare tragedie nella cottura, con spargifiamma;
    -carne: .tagli di manzo, di spalla o di collo ( perché non di pannicolo?) tutt’un pezzo;
    carne di maiale: un bel pezzo di collo tagliato con un poco di smagritura di spalla; senza cotenna..
    un pezzo di carne di coscio di castrato ( non di pecora! )
    -cipolle: perché dorate e non ovali di Tropea, (dolci, succose e resistenti alla cottura prolungata;? )
    -condimenti: ma quali pancette affumicate ( il cui sentore fumoso ammazza tutti i sapori), ,lardi vari di provenienza ignota
    ed olio di oliva ( magari ottenuto da lavorazioni a caldo con rulli d’acciaio che spremono anche la
    mandorla dell’osso che rende l’olio piccante ed amarognolo oppure ricavato da olive bastarde magari
    algerine ) strutto di maiale comprato in campagna ( e non nei negozi di città ) ,magari fatto in casa con
    ciccioli spremuti a caldo . Va utilizzato un bel pezzo di ” guanciale stagionato ” al vento sempre di campagna
    e non affumicato. ottenuto da fette di circa 1 cm: di larghezza e di spessore.
    – conserva: concordo entusiasticamente per quella fatta in casa con i san Marzano , concentrata al sole sino ad ottenere
    un bel pane rosso cupo preziosamente avvolto con foglie di fico e conservata poi nello strutto in una vescica .. di maiale , ed usata con saggezza perché colorisce molto e va tostata nello strutto.
    -pasta : assolutamente pasta di Gragnano in formato calamarata o zitoni spezzati.Rigorosamente solo di acqua e
    farina, mai all’uovo.
    Questi miei ricordi potranno incontrare idee discordanti, ma tanto fa.!

    1. cmq sia, nel il coccio nella caccavella con la tracchiolella,o senza,con la cotica o senza cotica, ca braciola o senza ca cervellatina o senza cervellatina, o raù con sugna o con olio è una delle cose che geneticamente appartengono alla napoletanità!bell’analisi del tutto, ottima la ricetta,alberto capece se ci togli la lussuria la domenica mattina di affondarci dentro la felluccia di pane cafone di qualche giorno prima ci vuoi morti!lasciaci in pace con il nostro colesterolo buono, quello che ci ammazza quaggiù non è certamente il ragù!!!!

  14. Come è vero che ci sono persone che la poesia ce l’hanno nel sangue ed altre si divertono solo a trovare il modo di criticare sempre e comunque le vecchie tradizioni (ora sul tipo di pentola, ora sugli ingredienti, ora sulla salute, … ma pesante a campare!). Non c’è cosa più bella di leggere, di tanto in tanto, una poesia come questa scritta da Bracale (mi emozionavo a leggerla) dove si scorge tutto l’amore per le vecchie tradizioni e per i tempi andati, che anno dopo anno sono sempre più belli di quelli che verranno, senza valori e senza amore per le tradizioni. Qualcuno di voi l’ha letta come una semplice ricetta, io invece mi sono consolato perché l’ho letto come si legge un romanzo, una vecchia storia, … una poesia. Certo oggi sono cambiate tante cose, ma una volta l’anno mi diverto anche io a preparare ‘o raù (come lo chiamava il buon Eduardo) e, a dire la verità, il rito inizia di venerdì sera, per approdare alla domenica, che è dedicata solo alle ultime rifiniture. Non preoccupatevi, pentola di rame, di coccio o di acciaio, l’importante è solo l’amore e la passione che ci mettere ed allora che il risultato è garantito! Ho notato che qualcuno ha criticato la pancetta o il prosciutto, ma evidentemente confonde quello che si affetta dal salumiere … il prosciutto cui si riferisce Bracale è quello che si compra dal macellaio, crudo, fresco e non stagionato, .. e vi posso garantire che il risultato è ottimo poiché dona al ragù un aroma sopraffino. Ricordate che il ragù viene bene solo a chi in cucina si mette per passione e divertimento e non a chi in cucina si mette per cucinare. Ed allora, agli appassionati come me dico …. pippiate, gente, pippiate, che poi domenica vi consolate!

  15. Ore 11:20 di sabato sera; stó preparando il ragú da circa tre ore, sperando di ritrovare lo stesso sapore del ragú di mia nonna conservato in un cantuccio della memoria. Vi faró sapere. Ho usato la ricetta di Luciano.

  16. Mi era scappata questa perla,questa chicca del Sig. Bracale, che ritengo e reputo la ricetta migliore per un rraù degno di queste nome.Leggo anche con attenzione i vari commenti,che sono certamente il segno di una attenzione generalizzata e verso un sapere gastronomico cosciente e verso una ricerca verso le proprie origini:chi non ha memoria non ha futuro.Ravvedo anche una serie di dubbi su tecniche salubrita’ e materiali usati.Intanto l’alluminio,quando è puro al 99% mette al riparo da qualsiasi danno a patto di non far soggiornare la pietanza in esso, in special modo quando possono’ contenere acidi o sali, oltre un certo tempo.Potrebbero innescarsi reazioni chimiche che possono alterare irrimediabilmente il sapore della preparazione,ma questo non significa assolutamente che mangeremo particelle di alluminio.Le pentole rivestite in teflon nascono per altre esigenze,perlopiù per cotture velocissime e non certo per conseguire un rraù.Quindi rame e coccio sicuramente ma l’alluminio ben si adatta alla preparazione.L’acciaio non lo reputo adatto perchè non è un buon conduttore di calore;l’effetto potrebbe essere una leggera bruciatura alla base per una concentrazione del calore solo sul fondo della pentola.Sui grassi e sulla digestione:lo strutto ,che ha lo stesso potere calorico di altri grassi,sia animali che vegetali, è facilmente digeribile al pari degli altri grassi ed in assenza di disturbi digestivi del singolo.I grassi,in generale,possono provocare quel senso di pesantezza post prantium quando ,raggiunto il punto di fumo,producono acroleina.composto chimico che impegna oltre le sue possibilità il fegato.Nel nostro caso lo strutto,la nzogna, rimane ben dentro i limiti pertanto non si dentaura.Solo su un aspetto non sono d’accordo col sig.Bracale:la carne quando “marcata”(stordita)non chiude i suoi pori ma ,sempre per effetto del calore(ad almeno 140 gradi) fa migrare i suoi liquidi i suoi umori verso l’interno evitando un dilavamento di questi nel sugo,liquidi che a fine cottura ritorneranno verso i margini del pezzo reidratandolo quanto possibile(la tenerezza di questa dipenderà sempre e comunque dalle fibre grasse della carne dal collagene dei nervi e dalla opportuna lardellatura).Rinnovo i miei complimenti al sig.Bracale per questa preziosa ricetta e testimonianza.

  17. Dopo averne lette tante sul ragù napoletano ho maturato una convinzione: la ricetta originale non esiste.
    Il ragù è quello che, forse involontariamente, descrive EDUARDO nella famosa, strepitosa, poesia ” ‘o rraù ” cioè, carne c’ ‘a pummarola.
    Si badi, con questo non voglio svilire una tradizione ma, tentare di capire il perché di tante ricette tanto diverse quanto uguali.
    L’epoca cui si fa generalmente risalire la nascita del ragù, era caratterizzata da diffusa povertà quindi, ognuno nella salsa di pomodoro ci metteva quello che poteva, da qui le tante ricette ” di mammà “.
    Lodevoli, e poetici, tentativi di codificare la ricetta, ne sono stati fatti ma, sono tutti “inquinati” dall’esperienza personale.
    La cucina è un’arte quindi non è codificabile ne replicabile.
    Io ogni tanto mi diletto in cucina e vado sempre a braccio tanto che a volte vengono fuori delle piccole opere d’arte, altre volte, invece, delle vere schifezze.

  18. Salve, mi chiamo Mario, sono nato p crescito per i primi 40 della mia vita a Napoli.
    Premettendo che io sono sempre aperto a nuove idee e a rivisitazioni delle ricezze, ma nel Ragù classico napoletano no c’è la pancetta, il proscitto crudo e la piperna. Non dubito che questi elementi diano maggior sapore, anzi mi viene voglia di provare. Va bene la cotture, deve “pippiare”, ma all’interno ragù ci vanno le cotenne di maiale fatte ad invotino (ripene di agliom prezzemolo, formaggio, uva passa e pinoli) avvolti con il grasso all’esterno, e polpette fritte.
    La consiglio di fare una piccola ricerca su internet e andare a vedere tutte le opere del grande “de Filippo” o del maestro “Luciano de Crescenzo”, e altri ancora, in cui nellel loro opere teatrali, e vari scritti, ripropongono la ricetta del Ragù napoletano.

  19. Salve
    Chi ha studiato un pó di chimica sa che “sigillare tutti i pori per non far perdere gli umori” non é vero.
    la carne si cuoce a fuoco alto per avviare la reazione di Maillard che da quel sapore tipico alla carne alla brace ad esempio.
    ma la “crosta” che si forma per via di tale reazione non la sigilla minimamente.

  20. La poesia della nostalgia è nella ricetta presentata. Difficlissimo poterla eseguire. Sono intimidito, non mi ci provo nemmeno. Però leggere il rau’ di Raffaele Bracale mi ha dato un piacere immenso. Grazie.

  21. Salve, mi chiamo Carlo, sono nato e vivo in Brasile (San Paolo, città strapiena di immigranti italiani maggiormente del Sud Italia, napoletani per di più) mia famiglia di origini padovane ma ho vissuto (ho fatto l’università) a Bologna, dove ho vissuto per 8 anni. Ho perso il conto di quante volte ho fatto il ragù alla bolognese (con la ricetta depositata dall’Accademia Italiana di Cucina alla Camera di Commercio di Bologna negli anni 80, per tutelare la “vera” ricetta del ragù bolognese, che ho piu volte mangiato fatto da preclare e provate nonne Emiliane). Tutto questo per dire che ho provato a fare la vostra ricetta di Ragù Napoletano, che da tempo cercavo su Internet una ricetta “buona”, “verace” e devo dire la vostra mi ha “convinto”. Ho pure fatto le braciole, coi pinoli e con l’uvetta, come comanda il padreterno! Ma, nel momento di cucinare, vi informo, mi son trovato meglio con le pentole di ferro, che qui in Brasile si trovano (grazie a Dio) ancora e non costano tanto come le francesi. Possono essere benissimo usate sulle piastre a induzione (il mio ragù l’ho fatto metà sulla cucina a gas, le altre 3 ore sulla piastra perché solo li si riesce la temperatura “a lume di candela”. Se avete le pentole (ferro guisa, nere) di una volta usatele pure, il risultato è eccezionale!!

  22. “bestie podaliche”…
    Sicuramente potrebbero essere podOliche. Se poi siano state pure podaliche bisognerebbe chiedere a chi le ha fatte nascere…

  23. Per “piperna”s’intende la maggiorana,che molti napoletani confondono con il timo,che non ci appartiene come tradizione.

  24. ricetta non corrispondente alla tradizione napoletana le carni devono essere miste, maiale e manzo,non esiste il prosciutto e la pancetta e certamente non le braciole

  25. Dire stupefacente la trattazione fatta da Bracale e assolutamente riduttivo e,anche se differisce in alcune modalità rispetto al ragù che faceva mia Madre,per come è descritto,ne “consegue” un risultato da fiaba che già prima di consumarlo,origina la produzione oceaniche di endorfine.Veramente complimenti di cuore.ps:peccato per come ha trattato la “milady”circa l’uso dell’acca diacritica;personalmente(essendo anch’io umilmente “stantio”),pur avendo frequentTo le elementari dei Suoi tempi,non mi è stato insegnato ad usare “l’eleganza”della Sua grammatica.Saró stato sfortunato?

  26. Salve, vorrei sapere, gentilmente, se la ricetta del ragù napoletano e della genovese seguono un disciplinare e se le rispettive ricette sono depositate c/o la CCIAA di Napoli. Grazie.

  27. Felicitazioni vivissime all’autore, e a chiunque abbia la ventura di gustare questo piatto, fatto a regola d’arte. Ho amato moltissimo l’esattezza lessicale del testo e le sagaci notazioni linguistiche.

  28. Mi permetto di correggere la parola “peppiare” con” Pappuliare” ..pippiare è recente e quindi non appropriata

    1. Grazie, ha ragione. Peppiare fu usato da Edoardo, Pappuliare è più antico. Ma il dibattito è aperto. Durante una presentazione un sedicente esperto affetto da narcisismo strologò due ore contro pappuliare

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