La bottiglia


Giovedì sera alla Feltrinelli di piazza dei Martiri a Napoli abbiamo presentato il libro La Dea Bottiglia edito da Slow Food. Il mio intervento era scritto. Ecco a voi.

Va bene, il vino. O la birra. O il latte. Ma la bottiglia è un oggetto ben distinto, dalla personalità troppo forte per ridurla al suo contenuto come troppo spesso accade. E’ la natura ripulita dalle sue imperfezioni, la spiritualità della terra espressa attraverso forme assolutamente innaturali eppure così familiari. La mia prima bottiglia è stato il biberon, l’ultima mi auguro non sia medicinale, comunque sempre di vetro perché la plastica è la banalizzazione di una figura capace di perdere assolutamente la sua forza ammaliante se manifesta in questo modo infrangibile e fintamente eterno, quella immortalità a cui si augura morte immediata.

Ho preso coscienza della bottiglia grazie alle prime macchinette automatiche capaci di sputare Coca Cola, Aranciata, Pepsi, Chinotto sulle spiagge, il premio di una partita a tamburrello sul bagnasciuga, di una pescata di ricci e cannolicchi sui fondali ancora prosperi degli anni ’60. Le bevevo e poi ero sempre riluttante, proprio come adesso, a ributtarle nel ciclo del minestrone cosmico in cui la forma così difficilmente raggiunta si infrange in un secondo. Un lancio, una disattenzione. Come la vita.
Per un po’ di tempo, come sempre succede quando siamo presi dal delirio di onnipotenza della pubertà, ho perso quel gusto per i dettagli degli oggetti, tipico dell’infanzia, che si recupera poi con la maturità e, forse, non so ancora, infine si perde del tutto nella parabola discendente quando si vive con i ricordi e non con i progetti.

La bottiglia mi tornò tra le mani con il nome di un russo, Molotov, il ministro degli Esteri di Stalin, e fu lì che ne capii l’importanza. Champagne/Molotov, lo slogan del ’68 e degli anni di piombo, ossia lusso sfrenato irriconoscente e capacità di lottare con i mezzi meno sofisticati, quale può essere un contenitore di benzina rubata alle auto in sosta con la pompa, contro lo strapotere dello Stato. La Molotov ci avvicinava, ragazzi che le lanciavano e ragazze al centro dei cortei con le borse infiammabili. L’esemplificazione simbolica capace di dare certezze, poi corretta e rovesciata soprattutto negli ultimi tempi, come adesso, momento nel quale le Molotov sono usate contro i rom o negli stadi e lo champagne bevuto da gente colta e sensibile al bello e all’agricoltura.
La potenza di quelle bottiglie scuoteva l’immaginario, il fuoco nasceva dal liquido, proprio come avviene con l’alcol.
Già, l’alcol, il vino. Tutti i racconti sul vino del libro sono legati ai ricordi, al filo della memoria. Ma il vino italiano ha … la memoria corta: quasi tutti infatti si riferiscono agli anni precedenti alla prima metà degli Ottanta descrivono esperienze legate a bottiglie speciali, quasi sempre solo francesi.
Nonostante questo il vino sembra l’unica dea bottiglia che scoperchia davvero il vaso dei ricordi. I racconti su analcolici e superalcolici sono quasi tutti dei flash un po’ nevrotici con momenti spesso problematici e ansiogeni.
I racconti del vino, invece, recuperano dalla memoria gli odori, le vigne, atmosfere familiari.

In questo andare sempre con il gioco dei collegamenti al vino c’è però un fraintendimento di fondo: è la bottiglia che fa il vino, non il contrario. O, meglio, la bottiglia nobilita il vino, consente di accarezzarlo, possederlo, esibirlo, confrontarlo, parlarne, regalarlo. E, cosa ancora più decisiva, la bottiglia detta la forma del vino, già inquadrandola abbiamo la possibilità di acquisire una serie infinita di nozioni su quel che andremo a bere perché si sa che, soprattutto in Francia dove le cose si fanno seriamente sul piano commerciale, ad ogni forma corrisponde una sostanza, un territorio. Mentre gli americani, a cui purtroppo facciamo riferimento in Italia, slegano questi due elementi acquisendo il vantaggio immediato del colpo d’occhio ma incassando anche il pesante fardello dell’omologazione indistinta del proprio vino.
La bottiglia nobilita il vino, ma anche l’acqua, la birra, il latte, la conserva di pomodoro, persino la Coca Cola.
Ed è così che qualsiasi sia la nostra fissazione papillosa, la nostra abitudine maniacale che contribuisce a disegnare il percorso della nostra identità, ci sarà sempre una bottiglia a ricordarci e a farci riconoscere dal nostro interlocutore. La bottiglia è la fidejussione totale al contenuto, come non può esserlo la carta, il brick, la pastica, la ceramica, la terracotta.
Dobbiamo anche dire che la bottiglia è un piccolo mondo compiuto, promette qualcosa ma solo dopo il contatto con l’esterno ed è anche un misuratore dello scorrere del tempo: quanto occorre per vuotarla in base al suo contenuto può dettare il ritmo, l’orologio familiare e delle abitudini di un individuo.
Ma la bottiglia è anche rivelatrice del carattere della persone per come si usa e si impugna, vuoi in modo parsimonioso che simbolo di dissolutezza a seconda del peso specifico del suo contentenuto rapportato al tempo medio di consumo fissato dalla consuetudine. Quando aiuta l’individuo viene riposta per essere ripresa, se lo distrugge viene lanciata via, mandata a fare in culo come un amico o un familiare che non ha mantenuto l’impegno ad esserci vicini e la si dimentica, la si lascia rotolare, spesso la si rompe. Ed è per questo àncora della realtà o misuratore metrico dell’isolamento dalla società. Insomma può essere la bottiglia misura dell’uomo ma anche registrare l’assenza di umanità, la perdita cioé del controllo di se e la voglia di non rientrare più.
Quando cade da una mente sana è una sconfitta, ma se sfugge alla pazzia è la vittoria dell’irrazionale, la sua sopravvivenza e conservazione è dunque una metafora della vita, l’ampliamento necessario di ogni attenzione nell’eterno tentativo dell’uomo di governare il reale.
La bottiglia mette l’individuo di fronte a se stesso, ma al tempo stesso lo colloca in relazione agli altri. Quando è al centro tra due persone è il segnacampo psicologico, il segnale della confidenza o della distanza, quando è in gruppo prova la comunanza attraverso il passaggio di bocca in bocca capace di superare le fobie batteriche nate nel secolo degli stermini di massa.

La bottiglia di vino è una promessa di viaggio
La bottiglia di olio è l’assicurata del sapore
La bottiglia di latte parla del futuro
La bottiglia con un medicinale è speranza di vita
Il messaggio in bottiglia è un espediente letterario
Il mondo in bottiglia è una banalità
Il fondo della bottiglia è quel che resta dell’Italia