La Cantina del Taburno scalda i motori


21 aprile 2001

Temino elettorale: può una cantina, sociale, pubblica, meridionale, produrre grandi vini? Risposta: sì. Non contano, infatti, gli aggettivi inclini al pregiudizio, ma, come in ogni professione, l’approccio culturale. Certo, l’etica protestante di weberiana memoria predispone meglio al lavoro della fiduciosa e sonnolenta attesa cattolica dell’Aldilà. Ma non è il caso di sperderci in sociologismi. Il modello da imitare è La Vis (Via Carmine, 7, Lavis, telefono 0461 246325) che prima di tutte in Italia ha avviato due progetti con l’Istituto Agrario di San Michele all’Adige (dove sono stati pensati i vini Pietratorcia): quello di qualità, da cui è nata la linea «Ritratti» lanciata alla grande da quel diavolo di Fausto Peratoner, e quello della zonazione. Inutile elencare i successi sulle guide, anche perché poi ai fedeli di Bacco che non sono in commercio poco importano.
Lasciamo gli amici trentini da 3 milioni e mezzo di bottiglie per la Cantina del Taburno (via Sala a Foglianise, telefono 0824 871338) che ha avviato una collaborazione con l’Istituto Agrario di Portici. Luigi Moio e i suoi allievi stanno lavorando ad una affascinante idea, scoprire e valorizzare le tre versioni più diffuse dell’Aglianico: del Vulture, del Taburno e il Taurasi. La Cantina sannita ha enormi potenzialità, già adesso produce un milione e mezzo di bottiglie ed è sicuramente tra le migliori in Campania nel rapporto tra qualità e prezzo. Il Fidelis, Aglianico del Taburno passato in botte, ne è un esempio. Della sua longevità abbiamo avuto prova con una bottiglia del 1987 scovata per caso nella cantina di un ristorante beneventano. L’ultima versione non si accontenta più delle note di tabacco tipiche dell’Aglianico di queste zone, ma è già molto più ricca. Un esempio di come si possa fare un ottimo rosso a basso prezzo, un esempio di vino quotidiano.