La descrizione di un attimo


Romanée St Vivant '89 - Petrus '95

di Fabrizio Scarpato

Era ora di pranzo. Un caffè apre lo stomaco, dice. E il fegato? Chi lo apre? Espresso aperitivo: dovevo immaginarlo che tutto sarebbe andato al contrario, come in un testa coda. Già, la testa. Perfetta e lucida: voglio ricordare, ché l’altra volta mi era passata davanti la bellezza e l’avevo lasciata scendere, come le belle passanti che non riusciamo mai a trattenere. Tutto è cominciato con un caffè, quindi. Ricordo bene, tanto che potrei metter giù una specie di diario, piccoli lampi enoici, in qualche modo eroici. Perché è il vino che mi va di portare con me, in fondo senza saperne il motivo: cosa sarà un bicchiere di vino, cosa sarà che ti fa camminare con un amico, una sera, a parlar del futuro, cosa sarà che dobbiamo cercare. Ecco, in effetti affiorano alla mente morsi confusi di canzoni. Sarebbe anche bello, se non fosse per il rumore molesto della serranda che si alza e si abbassa, si alza e si abbassa.

Bicchieri

Ore 14: Dom Pérignon Vintage 2000, Magnum. Fette di mandarancio a essiccare sul camino. Valzer lento, con paillettes.

Ore 14.30: Batard Montrachet Grand Cru 1999, Domaine Jean Noel Gagnard, Magnum. Di miele e di fumo. Languidamente femmineo. Pure troppo.

Ore 15: Montrachet Grand Cru 2000, Chateau de Puligny. Balsamiche finezze calcaree. L’anice che sguazza come ranocchio nello zenzero. Principesco e pimpante.

Ore 15.30: Montrachet Grand Cru 1997, Domaine Bouchard Père & Fils. Sospiri di ananas e fichi. Ma ne ribevi. Festoso.

Ore 16: Romanée St. Vivant 1989, Domaine Romanée Conti. Amaranto, granato d’amarena, schioccante di spezie. Netto e pulito. Il cuore oltre l’ostacolo.

Ore 16.30: Petrus 1995. Ematico di frutto, terragno di funghi. Non disdegna un tango con un’amatriciana Vicidomini tirata al chiodo. Elegante, intatto, intoccabile. Un vero signore.

Ore 17: Gevrey-Chambertin 1er Cru Les Champeaux 1995, Domaine Denis Mortet. Spinge tosto di tostature. Dritto e appagante. Elettrico.

Ore 17.30: Barolo, Sarmassa di Barolo 2001, Roberto Voerzio, Magnum. Ritorno a casa, tra boschi e sottobosco. Tannini vividi e sinceri. Un abbraccio.

Ore 18: Chateau d’Yquem 1993, Lur-Saluces. Meno opulento e glicerico di quanto t’aspetti, eppure di beva fresca e suadente. Una tavola imbandita di tutte le dolcezze mediterranee, secche e candite. Alla fine un sigaro. Natalizio.

Diario

Ecco il Sauternes me lo sarei portato volentieri fino a Natale, in effetti. Un modo per fissarlo nella memoria e nel tempo. Ma sarà mai possibile ricordare un vino? Solo un paio di sorsi per non dimenticare: eppur mi son scordato di te, come ho fatto non so… una ragione vera non c’è, lei era bella però. Ecco, lei chi? Un vino non ha occhi, non ha gesti, non parla. Eppure metto in fila i bicchieri, pettinandomi i pensieri, col telecomando della serranda nella mano. Sono migliore di ieri? Fottuto Billy the Kid, e le tacche sulla sua pistola. Classifiche. Io c’ero. Come poter spiegare se non c’è niente da spiegare e forse niente da capire. Solo liquido che scorre, dio solo sa quanto buono. Ma semplice liquido. Che bussa alle tempie e al cuore, che irrora le arterie fino ai gangli della memoria, fino alle sinapsi del piacere, implacabile e seducente, ma evanescente. Sarà che ha trovato chiuso il fegato. Porca miseria, è solo vino: vero però. Ho sempre temuto il dramma socioesistenziale della bottiglia che ti ubriaca anche se non l’hai bevuta. Ancora le canzoni.

Ore 20: Krug Rosé. Tirato a secco come mare sul sasso, acido e incipriato di piccoli frutti di bosco, di ribes, fino al limite di una citrina, rosea pompelmosità. Rivitalizzante.

Ore 20.30: Trebbiano d’Abruzzo 2002, Valentini. Corpo, fumigante di taglienza. Da ascoltare per ore. E parlarci, se possibile.

Ore 21: Chevalier Montrachet Grand Cru 2002, Domaine Bouchard Père & Fils. Chissà se conosceva la “Gricia” con le “mezzemaniche” di Verrigni. Di fatto se ne innamora, persistente e morbido di mandorle e fichi ficcanti. Eroico.

Ore 21.30: Chateau Margaux 1er Grand Cru 1984. Una ventata esuberante e autolesionista. Schizzo rubino e denso. Poi si quieta, in un morso di prugna, secca ma polposa. Nevrile.

Ore 22: Chateau Cheval Blanc 1er Grand Cru 1992. Sedicesima bottiglia. Sul taccuino annoto: fermo, fresco, regàle. E naufrago, in un ultimo mare di velluto. A coste. Epico.

Doppio testa coda. Il vino è fatto di tutto e di niente, in sé non ha senso: chissenefraga dei descrittori, quelli li afferri al volo, poi fuggono o li lasci andare, magnanimo. Non ricordi un vino per i descrittori, come una canzone non la vedi come una serie di note sullo spartito. Un vino è un gesto, uno sguardo, un vociare. Forse anche per chi lo fa. Un vino è un brivido mentre guidi, spesso un desiderio mancato, raramente un cenno di intesa, anche con te stesso. Il vino è ciò che ti circonda, la descrizione di un attimo.

Esiti

Il ritmo della serranda ricorda l’attacco di Hotel California, versione acustica. In fondo sono in un albergo alle prese con una carta magnetica, luci e interruttori. Poi parte l’arpeggio, proprio quello, la gente applaude, e io mi commuovo. Mi addormento coi profumi saturi e silvestri del Cheval Blanc, che passavano di lì per caso, come una canzone alla radio, in macchina. Felice come un bambino o come un vecchio rincoglionito. Con le luci accese e la serranda aperta.

13 Commenti

  1. Il ricordo di questa pomeridiana in due vini sopra gli altri: lo Cheval1992 e il Chevalier 2002, bianco incredibile e travolgente. Musicalmente parlando, direi Highway Star il secondo.

  2. chissà cosa c’è veramente dentro quelle bottiglie. di volta in volta escono ricordi, idee, valori, oppure ansie, dolori, frustrazioni. addirittura silenzi.
    la bellezza è lasciarsi andare, e saper far domande. anche al vino.

  3. Secondo me il vino ha un’anima che nessun altro prodotto alcoolico possiede. Forse la fatica, soprattutto gli odori, odori non profumi, che emanano. Gli animali annusano, prima. E noi siamo stati animali, prima. Forse il vino viene da molto piu’ lontano di quanto pensiamo. In alcuni di quei bicchieri, quel giorno, sembrava ci fosse una presenza che pareva parlarti. Perfino qualcosa di soprannaturale. Non era solo per la qualita’ del prodotto, troppo facile. Quasi una magia. Un fantasmino, forse era Puligny in persona, in in sussurro deve avermi detto:- monsieur pirlino, cerca di capirmi perche’ guarda che io sono stato li’ dodici anni in cantina a aspettare che qualcuno mi bevesse e possibilmente vorrei essere rispettato-. Per questo credo di non essermi mai ubriacato con il vino.

  4. Dimenticavo : qualcuno, nel nostro piccolo mondo, ha ritenuto di fare la sua pisciatina contro l’albero, pisciando, a fatica, tanta di quella bile che ha forato anche l’albero sul quale ha pisciato. Ma la colpa e’ sempre mia. Mai dare confidenza a chi non e’ dotato di sentimenti, maffi.

    1. Sai cosa ho imparato quest’anno domini 2012? Che si finisce contro gli scogli non seguendo il canto delle Sirene ma la luce sbagliata di un faro

  5. Cari signori, beati voi che potete permettervi vini di questo livello. Noi comuni mortali ci accontentiamo di quanto riusciamo a reperire in GDO :-D

  6. Arrivo ora dal Supermercato inviperito per l’affronto di un Petrus 89 svenduto con sconto 30% ai possessori di carta Fidelity. Non c’è più religione. Ha ragione Antonio: è sempre più difficile reperire i nostri vini quotidiani a prezzi corretti. Ci manca solo un Krugghino al 3×2 e poi giuro che lo bevo con una meringa alla panna. Per fortuna che Giancarlo ha ridato un senso al commentare, rilanciando la confusa ermeneutica del post e scavalcandola con una visione animista che regge perfettamente. Forse è vero che il vino ha un’anima, forse per questo è così sfuggente, in qualche modo avulso da ogni meccanicismo, da ogni classificazione, categoria, punteggio. Tutto è casuale: può accadere di capirlo, ma succede senza avvertire, per incroci insospettabili, per strade tortuose. Moti dell’anima. L’anima e il principio di indeterminazione di Heisenberg: ecco il vino. Inafferrabile, un buco nero. Esaltante. Quasi come avere commentatori come Antonio e Giancarlo. :-))

  7. Stamattina da chissa’ quale piega della memoria e’ uscito un aneddoto, stragiuro, vero. Correva l’anno ’90. Vigilia di natale, ora di chiusura del negozio. Giravano paccate di soldi. I Cartier erano andati via come patatine: 77 panthere d’oro in una settimana, molti a Milano, lato Pillitteri e compagnia. Invito a strettissimi per un brindisi. Una mia mezza- sorella, con marito avviato a Bossi( i parenti e vicini non te li puoi scegliere), e la sua splendida setter irlandese, che passava parecchio tempo in negozio, acciambellata sul tappeto. In freddo un Philopponat basico, ma allora era buono, e un ca’ del bosco. Si apre il francese, con panettone di Balzer. La setterona mi guarda, con i suoi occhioni dolci. Pezzo di panettone e poi azzardo un pochino di Philippo, in una ciotola. Annusa forte, molto dubbiosa,poi assaggia. La bollicina la infastidisce ma apprezza. Poi si passa al franciacorta. Altro giro altra corsa. Ma questa volta il suo naso le ha risposto picche. L’ha mollato li’, il del Bosco. E mi guardo’ con aria leggermente risentita. Forse non le era piaciuta la liqueur

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