La grande rivincita del Piedirosso: Vesuvio e Campi Flegrei


Benny Sorrentino

di Marina Alaimo

Il piedirosso sta vivendo un momento felice grazie ad alcuni produttori che hanno creduto con fermezza nelle sue potenzialità. Hanno quindi investito su questo vitigno molto singolare puntando a migliorare i vini ottenuti, rafforzandone l’identità e liberandoli dalle puzzette varie che per lungo tempo molti ci hanno fatto credere fossero indice di tipicità. Ma oggi sappiamo bene che o’ per’ ‘e palumm’ soffre particolarmente la riduzione di ossigeno, generando odori poco piacevoli che si possono evitare utilizzando certe accortezze. Favorisce il suo momento felice  il fatto che attualmente ci sia grande attenzione verso i vini snelli, di facile approccio, dalla grande bevibilità e spinta freschezza.

uva piedirosso

E sono proprio queste le caratteristiche primarie dei piedirosso, unite ad un corredo di profumi fragranti, che lasciano immaginare un campo di violette o un cestino di ciliege appena colte e bagnate dalla brina mattutina. La cucina dei grandi chef da tempo propone piatti che esaltano la leggerezza, un po’ perché si sta ormai molto attenti al mangiare sano, un po’ perché questa virtù esalta i singoli sapori. E come sappiamo l’operato dei grandi fa da traino a tutti gli altri. Pertanto nei ristoranti di ogni tipo, sia tradizionali che gourmet, i piatti si sono snelliti utilizzando cotture veloci e poco invasive. Ma anche scegliendo con oculatezza i condimenti che favoriscono il risultato finale.

vigneto col Vesuvio sullo sfondo

Quindi al momento dell’abbinamento cibo vino il piedirosso continua a guadagnare terreno. E come sempre accade, quelli ben fatti e che sanno ben raccontare il territorio di provenienza, si fanno notare presto, occupando gran parte dello spazio guadagnato. Il per’ ‘e palumm’ è il vitigno a bacca rossa che domina i vigneti della provincia di Napoli, quindi nei Campi Flegrei, sul Vesuvio, nell’isola di Ischia. Qui è protagonista incontrastato, mentre in altri territori della regione Campania, fa sempre da spalla o da secondo all’aglianico.  Soprattutto alcuni produttori dei Campi Flegrei e del Vesuvio hanno dimostrato di essere grandi maestri in fatto di piedirosso nelle ultime annate ed in modo particolare nella 2011. Nei Campi Flegrei hanno saputo interpretare al meglio il piccolo grappolo spargolo e capriccioso  Gerardo Vernazzato di Cantine Astroni, Raffaele Moccia dell’azienda Agnanum, Giuseppe Fortunato di Contrada Salandra, Tommaso e Pia Babbo delle Cantine Babbo.

Gerardo Vernazzaro

 

Raffaele Moccia

 

Tommaso e Pia Babbo

I loro  vigneti sono proprio alle porte della città di Napoli e nei campi ardenti condividono lo spazio con più di venti crateri. Sono dei veri e propri specialisti della viticoltura di questo territorio e la praticano come fosse una missione, nel totale rispetto della sua natura e dell’antichissima storia alla quale è legata. Sul Vesuvio i grandi piedirosso sono quelli della famiglia Ambrosio di Villa Dora a Terzigno, di Maurizio Russo di Cantina del Vesuvio a Trecase, della famiglia Sorrentino a Boscotrecase.

Vincenzo Ambrosio

Maurizio Russo e Antonio Pesce

Qui le vigne risalgono la china del grande vulcano, avvolte dall’abbraccio dei boschi del Parco Nazionale del Vesuvio. In entrambi i territori le aree vitate sono frazionate in piccoli appezzamenti a causa di una antropizzazione invadente e sono poco distanti dal mare. Sono vini semplici e di impeto giovanile, dai profumi fragranti, di buona impronta minerale, dal corpo snello e vivace per l’acidità spinta, che nel territorio vesuviano diventa esuberante e corre in tandem con la salinità.  Altro fattore che agevola la scelta di un piedirosso è il prezzo (sempre molto contenuto) al quale tutti diamo attenzione, intimoriti dalla crisi economica e dalle basse aspettative verso una rapida ripresa.

16 Commenti

  1. Adoro il piedirosso e chi investe su questo vitigno dai Piu’ definito “bestia nera”. La dimostrazione che il lungo lavoro ripaga chi ci investe soldi e tempo, sono i premi ricevuti dai bravi viticoltori che hai citato tu, negli ultimi anni. Grazie a loro il piedirosso sta andando verso la sua consacrazione. Continuate cosi’!!!

  2. Il Piedirosso è una grande risorsa, l’ennesima, della poliedrica viticoltura campana. Un vitigno difficile, i cui odori sono sempre in bilico tra le bellezza floreale e le puzze. Negli ultimi anni molte aziende, quelle citate da Marina in provincia di Napoli, ci credono ed è una risposta molto efficace alla crisi di consumi di rosso in questi mesi estivi perché
    1-Non è un vino fresco inventato, ma esiste da sempre a Napoli
    2-E’ low cost
    3-ha tannini morbidi che o rendono bevibile anche più fresco in estate
    4-è sapido e salato, dunque adatto all’abbinamento con il cibo sia di terra che di mare

  3. Aggiungiamoci:
    5 – Che in molti vigneti ci troviamo ancora molte viti a piede franco,pre fillossera
    6 – Che nella stragrande maggioranza dei vigneti,direi quasi tutti, coltivazione solo manuale con le varie zappe
    7 – Il grande valore storico-culturale nel sorseggiare dei vini che hanno nel loro DNA più di duemila anni storia
    8 – Che senza questi eroici-appassionati-vignaioli, probabilmente al posto dei vigneti ci saremmo trovati altro cemento selvaggio e quindi addio a questi ultimi scorci di angoli di paradiso
    9 – Un bella coda di stoccafisso con patate alla procidana…:)
    10 – I Nostri campi Flegrei !!

    1. ovviamente “alla procidana” intesa in senso lato… anche da questo lato del Canale non è niente male ;-)

  4. Aggiungo che il piedirosso è ottimo mico della pizza. Quindi entrambi diventano icone dell’enogastronomia napoletana. Viva o’ per’ e’ palumm’.

  5. Se al posto del Piedirosso scrivessimo Rossese di Dolceacqua, e invece del Vesuvio si parlasse di Tirreno, avremmo bello e pronto un altro post, con analoghe considerazioni per tutti i punti citati da Luciano e Rosario (a parte il decimo) ;-)

  6. Verissimo Fabrizio. L’Italia è ricca di questi vinini, come direbbe Angelo Peretti, gentili e generosi. Adoro il lagrein del Trentino, il petit rouge della Valle d’Aosta, la bonarda dei Colli Piacentini, il groppello del Lago di Garda, il lambrusco di Sorbara, il magliocco calabrese, il frappato di Vittoria.

  7. per chi legge questo blog ed e’ a digiuno del piccolo grande vino il PIEDIROSSO appunto ,consiglio di leggere ove mai ne avesse voglia , prorio su questo blog :
    “il naso ,il piedirosso e l’ apologia dei napoletani” un approfondimento sul tema redatto dal sottoscritto in collaborazione con l’ amico di bevute Angelo Di Costanzo .
    buonalettura
    @ a marina anche nerello mascalese e cappuccio per i vini dell’ Etna , Il Cornalin e il Fumin della Valle d’ aosta ,la Schiava trentina e il meraviglioso Pinot Nero da qulasiasi parted el mondo tranne che dalla California……….

  8. I nerello dell’Etna sono dei veri e prori out sider. I rossi della Vallée sono tutti snelli e beverini’ li conosco bene e i vigneti di questa terra sono tra i più belli ed emozionanti che abbia mai visto.

  9. ale il difetto in merito al nostro caro pinot nero ??? oltre ai mille altri ;-) un caro saluto aspettando il 25 luglio !!!!!!!

  10. Ebbene il piedirosso ha davvero delle potenzialità enologiche interessanti ma anche molteplici complessità di cui tener conto sia nella fase produttiva che enologica..è difficile il controllo equilibrato di tutte le variabili ma la dedizione di produttori e tecnici ha fatto sì che si potesse degustare il Sig. Piedirosso come vino piacevole ma soprattutto con caratteristiche legate al vitigno e alle zone di coltivazione.
    Credo che ci sia ancora da fare..ma siamo sulla strada giusta!

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