La ricetta…sociale: brodo di piedi di vitello


il brodo di piedi di vitello

di Lello Tornatore – Tenuta Montelaura

Ah, le tradizioni…!!! Esse ci riportano sempre alle nostre radici, che nella maggior parte dei casi si identificano nell’appartenenza a classi sociali più o meno umili. Ed era proprio a causa di questa condizione economica, che non sempre era possibile mettere a tavola anche il secondo piatto. La carne era innaccessibile alla maggior parte della popolazione. Quindi solo nei giorni di festa, e qualche volta di Domenica, o quando si aveva qualche ammalato in casa, si riusciva a consumare la carne. Ma che carne??? Il popolino di città, costituito dalle famose “zendraglie”, donne che spesso barattavano anche il lavoro di pulizia nei macelli, riusciva per questo ad avere la concessione delle interiora : trippa, frattaglie, testine e cotenne . I contadini, invece, che allevavano bestie che poi vendevano ai macellai della zona, oltre a mangiare la carne dei loro animali ammalati e/o morti, riuscivano a “strappare”al macellaio alcune parti meno nobili e a tenersele per il proprio consumo : la coda, la lingua e quasi sempre i piedi. Ed è da qui, dal lato pratico-sociale della realtà di una volta, ma fino a tempi a noi molto vicini (anni ’70), che prende corpo questa ricetta. Ed è perciò che spesso non riesco a comprendere fino in fondo la magnificenza di alcune ricette odierne alla “Ferranadrià”o di alcuni menù che sembrano gallerie di arte moderna… Mi sono spiegato, Maffi???

gli stortini in brodo di piede di vitello

Ma veniamo ai nostri piedi di vitello…chiaramente è una preparazione invernale, che si usava fare nelle fredde sere dei “giorni della merla” o quando qualche membro della famiglia s’imbatteva in vicissitudini di salute. Infatti è un piatto molto calorico e anche ricco di proteine e, cosa che non guastava e sicuramente non guasta anche di questi tempi di lacrime e sangue, a costo zero o quasi.

i nervetti della tibia

i nervetti di attaccatura al ginocchio

i nervetti

Una volta, nel brodo ottenuto, i contadini cuocevano verdure selvatiche o quando proprio ci si voleva svenare, lagane fatte a mano in casa, con la farina del proprio grano. Le zendraglie di città, invece, usavano gli spaghetti difettati che i pastifici recuperavano vendendoli a poche lire in mega-confezioni di 10 kg. Ma il sapore del brodo era eccellente lo stesso, ed anche il profumo ricordava quello che si sentiva negli androni dei palazzi nobiliari napoletani a Natale e Pasqua, quando si dava luogo al rito della minestra maritata borbonica(quella dei ricchi, con brodo a base di cappone, prosciutto fresco e tagli di manzo).

la divisione dei pezzi

la parte sovrastante lo zoccolo

la tibia cotta

la tibia...ancora calda

Ecco, questa è un’altra questione sulla quale Monti poteva mettere mano: una “gastronominiale” pesante selettiva a danno dei gastrofighetti!!!

i piedi di vitello...crudi

E giù mazzate di morte a chi (non faccio nomi-Maffi) usa pasteggiare a ” fuagrà e sciampagne”, o a risotti e risottini vari…Ma anche questo non si è potuto fare perchè sembra che al solo pensiero, già in consiglio dei ministri, all’unanimità sono tutti sbottati in un pianto empatico di solidarietà stile radical-chic. E allora, popolo, beccatevela voi questa volgare ricetta:

Ingredienti per 4 persone:

2 Piedi di vitello irpino (nato, cresciuto e pasciuto in qualsiasi dei 119 comuni della prov. di Avellino)

2 carote di Aiello del Sabato

1 costa di sedano di Gesualdo

1 cipolla (ovviamente Ramata di Montoro)

1 patata di Banzano di Montoro Sup.(per dovere di ospitalità, va bene anche quella della Sila, che mi ha portato Giovanni Gagliardi)

6 pomodorini di Montecalvo

5Lt di Acqua di Serino

sale ( purtroppo in Irpinia non ne produciamo… ancora) q.b.

Giovanni Gagliardi, alle prese con il piede di vitello

Preparazione:

Mettere al fuoco una pentola con i 5 lt di acqua di Serino e i piedi di vitello irpino. Portare ad ebollizione e schiumare più volte lo strato superficiale del brodo. Quando non produce più schiuma, calare gli altri ingredienti irpini e far cuocere almeno per tre ore. Testare la cottura del piede infilzandolo con un forchettone (difficile da trovare al proprio posto…di questi tempi, cercate sia a destra che a sinistra).

l'insieme a cottura ultimata

A cottura ultimata, dividete i piedi all’altezza delle giunture, rendendoli così più maneggevoli  e  riponeteli  in un vassoio, separandoli dal brodo nel quale calerete a vostro piacimento la pasta che più vi aggrada, oppure la verdura. Buon appetito e…godetevi l’Irpinia!!!

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