Le terre dell’Aglianico del Vulture: reportage da Maschito a Melfi


Il Vulture dietro Ripacandida

di Mimmo Gagliardi

Uscendo a Candela dalla A16 si può scorgere in lontananza la sagoma del Monte Vulture, vulcano spento che domina le campagne circostanti. Posto al centro di una singolare area morfologica, risalente all’Era Quaternaria, circa due milioni di anni fa, è circondato da vallate e colline frutto di intense attività piroclastiche  su cui, successivamente, si sono depositati residui alluvionali e del ritiro delle acque marine. Le attività vulcaniche hanno anche favorito la formazione di sorgenti d’acqua, di numerosi fiumi e laghi tra cui i più famosi sono quelli del bacino idrico di Monticchio. Il materiale piroclastico e magmatico si trovano sotto uno strato di terreno argilloso e ricco di potassio e minerali ferrosi, che gli conferiscono la tipica colorazione rossastra, frammisto a rocce calcaree. Questo è il terreno ideale per la coltivazione della vite, ricco, minerale, con acqua sempre disponibile in profondità e con un clima particolarmente secco e caldo in superficie. L’altitudine media è tra i 400 e i 600 metri s.l.m.

La particolare combinazione rende questo territorio singolare in tutto il sud Italia dal punto di vista produttivo. La terra, fertilissima, è stata oggetto di deforestazione per far posto alle più redditizie colture di cereali, in particolare il grano e gli effetti sono oggi visibili. Il colpo d’occhio dei campi ha un proprio fascino in ogni stagione anche se consiglio di visitare la Basilicata durante la tarda primavera, quando il grano è ancora verde e le spighe oscillano al vento simulando il movimento delle onde. Ascoltare nel silenzio dei luoghi la voce del vento e della terra è un’esperienza unica.

Tutt’attorno al monte le poche strade collegano i nuclei urbani che punteggiano la campagna. Mi concentro sull’area ad est del Vulture: Rionero in Vulture, Barile, Rapolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania, tutti nella provincia di Potenza. E’ questa la zona di produzione dell’Aglianico del Vulture D.O.C. (l’appellazione D.O.C.G. è stata decretata nel 2011, quindi solo tra un po’ troverete in vendita vini con questa indicazione in etichetta). Ho scelto di approfondire la conoscenza della geologia e della morfologia di questi luoghi poiché, dopo averli visitati, dopo essere disceso nelle viscere del monte e dopo aver degustato il vino, ho ritenuto indispensabile comprendere la correlazione che ci può essere tra il territorio e ciò che vi si produce.

Il mio giro inizia da Maschito. Un sole splendente, caldissimo già dal mattino, rende ancora più raggiante il sorriso di Elisabetta Musto Carmelitano, che trovo intenta al lavoro con il fratello Luigi e il padre Francesco. I lavori di riammodernamento della cantina sono a buon punto e a breve saranno ultimati. Gli assaggi dalle vasche sono promettentissimi in chiave futura e quelli in bottiglia sono altrettanto gustosi. I vigneti sono belli e ubicati tutti a Maschito. Spicca l’antico vigneto di Pian del Moro, con la particolare coltivazione ad alberello alto sostenuta da un piccolo paletto. Personalmente trovo molto interessante l’utilizzo delle vasche in cemento adottato da Musto Carmelitano nel processo di vinificazione. L’Azienda produce cinque vini: la linea IGT  Basilicata “Maschitano Bianco” da uve moscato, “Maschitano Rosato”, “Maschitano Rosso” da uve Aglianico, e i due Aglianico del Vulture DOC, “Pian del Moro” e “Serra del Prete”. Di questi ultimi l’annata 2009 è una goduria.

Da sinistra: gli antichi vigneti di Musto Carmelitano a Maschito e i vigneti di Grifalco a Venosa

Proseguo il giro dirigendomi verso Venosa. Dopo aver passeggiato per il borgo antico e visitato gli scavi archeologici e l’antico castello aragonese, con annesso museo paleolitico, mi inoltro nelle campagne fino a raggiungere l’azienda Grifalco. Fabrizio Piccin e Cecilia Naldoni nel 2004 decidono di investire nell’Aglianico del Vulture dopo una precedente esperienza con il Sangiovese a Montalcino. Il risultato di sei anni di lavoro è una gamma di vini molto caratterizzati dalla zona di produzione. La cantina è in località Pian di Camera, ma i vigneti sono ubicati anche a Ginestra e Maschito, per un totale di circa 18 ettari. I quattro vini prodotti sono tutti Aglianico del Vulture DOC: il “Gricos”, il “Grifalco”, il “Bosco del Falco” e il “Damaschito”. Quest’ultimo, annata 2008, molto buono, è risultato primo classificato per la giuria internazionale all’ultima edizione di Radici del Sud 2013 nella categoria degli Aglianici del Vulture. “Tante le novità in vista per l’azienda”, mi confessa Fabrizio mentre visitiamo la moderna cantina, e dopo averne avuto un piccolo assaggio ho stabilito che vale la pena di seguire gli sviluppi della vicenda.

Mi dirigo verso Ginestra. Attraverso splendidi boschi e sterminate distese di campi di grano ormai raccolto e anneriti dagli incendi controllati. Posso solo ammirare i vigneti di Michele Laluce, con cui non sono riuscito a combinare un appuntamento, ma non mancherà occasione per tornare qui.

Giungo a Ripacandida, all’Azienda Eubea, dove Eugenia Sasso ci accoglie all’entrata della sua cantina. La famiglia Sasso è tra le più antiche produttrici di vino dell’areale. La cantina è un antico  casale, cui sono state aggiunte porzioni moderne in  ampliamento, ma senza stravolgerne la configurazione e l’architettura originale. Gli antichi “palmenti”, vasche di pietra e cemento in cui venivano pestati i grappoli a piedi nudi (da qui il loro nome) sono la testimonianza di un modo ancestrale di fare vino, così come gli ambienti scavati a mano nel lapillo vulcanico, freddi ma col giusto grado di umidità. La parte moderna, anch’essa strappata al lapillo e alla cenere del Vulture, è vasta, ma accogliente. L’azienda, nei quindici ettari di vigneti ubicati tra Barile e Ripacandida, produce tre Aglianico del Vulture DOC: “Eubea Rosso”, “Covo dei Briganti” e “Roinos”. Tutti buoni vini, colpisce il “Covo dei Briganti”, a parte per l’eleganza e la forza, ma per la dedica alla cantina aziendale, anticamente usata come base dai briganti della zona.

Da sinistra Cantine Eubea a Ripacandida e la bottaia di Cantine del Notaio a Rionero in Vulture

Proseguo per Rionero in Vulture dove mi aspetta Gerardo Giuratrabocchetti di Cantine del Notaio. Mi godo l’imperdibile visita nelle antichissime grotte, scavate nella roccia dai monaci Francescani del XIV secolo, sotto il “facìle”, tipico cortile sottoposto alla strada, sito al centro del paese. Anche qui sono ancora rinvenibili i “palmenti” ed è straordinario l’equilibrio tra temperatura e umidità. L’azienda ha anche una moderna cantina di produzione a Serra del Granato, appena fuori dal nucleo cittadino. Da circa ventisei ettari di vigneti sparsi tra i comuni di Rionero, Barile, Ripacandida e Maschito, si ricavano dieci vini diversi tra bianchi, rosati e rossi. Come Aglianico del Vulture D.O.C. abbiamo “Il Repertorio”, “La Firma”, “Il Sigillo” e “L’Atto”. Personalmente trovo particolare Il Sigillo, vino ricavato da uve surmature o già in appassimento, che esce in commercio dopo quattro anni di affinamento in botti grandi di rovere francese e altri quattro di elevazione in bottiglia.

Nell’immagine grande: la via delle cantine a Barile e, a destra, l’ex convento sede di Basilisco. Dall’alto in basso: le cantine di Basilisco, i vigneti di Elena Fucci, Mimmo Gagliardi con la famiglia Mastrodomenico a Barile

Da Rionero, che si trova ai piedi del Monte Vulture, procedo verso Barile costeggiando il vulcano spento. Barile è il paese dello Sheshi, il quartiere degli antichi rifugiati albanesi che, per sfuggire ai turchi colonizzatori, crearono questi profondi rifugi scavati nella roccia e successivamente usati come cantine. Curioso di capirne di più incontro la simpatica Viviana Malafarina, direttore generale  dell’Azienda Basilisco, rilevata da Feudi di San Gregorio nel 2010 dalla famiglia Cutolo. L’azienda ha sede in uno splendido ex convento del ‘700 ubicato in cima alla via delle cantine dello Sheshi. Viviana mi conduce nelle splendide grotte scavate a mano nel lapillo vulcanico, dove numerose stratificazioni di cenere, lapilli e pomici raccontano la storia geologica di questi luoghi. Gli Aglianico del Vulture D.O.C. prodotti nei 24 ettari di vigne di Basilisco sono il “Teodosio” e il “Basilisco”. Ho aderito alla proposta di Viviana di degustare i vini del 2011 dalle botti in cui si stanno affinando: entrambi ottimi, specie il Basilisco, che promette benissimo.

Poco distante dalla via delle cantine c’è la contrada Solagna del Titolo, dove ha sede la cantina di
Elena Fucci. La giovane e brava enologa mi mostra i vigneti e mi aggiorna sullo stato di avanzamento dei lavori della nuova cantina descrivendomi con entusiasmo i particolari del progetto, contando sulle mie competenze di geometra. Tutt’attorno, saldamente piantati nel terreno vulcanico, a tratti cinereo per la maggiore concentrazione di lapilli, i sei ettari di vigne da cui vede la luce il suo vino, Aglianico del Vulture D.O.C. “Titolo”. Vino in forte ascesa negli ultimi anni, vincitore di numerosi premi e fortemente cercato sui mercati esteri dove la maggior parte della minuscola produzione, in tutto circa 16.000 bottiglie, va a ruba. Splendida, ancorché giovanissima, la 2010 attualmente in uscita.

Prima di lasciare Barile incontro Emanuela e Giuseppe Mastrodomenico, giovani e determinati produttori,  che conducono la loro cantina con l’indispensabile apporto del padre Donato. Da uno splendido vigneto di 8 ettari si producono tre vini, due Aglianico del Vulture D.O.C. “Mòs” e “Likos” e un vino passito ottenuto da appassimento su pianta delle uve, lo “Shekàr”. Il Likos è un vino profondo e strutturato, la 2011 promette molto bene in chiave invecchiamento, mentre la 2009 ha vinto il premio come miglior Aglianico del Vulture D.O.C. per la giuria nazionale al recente Radici del Sud 2013 ed è giunto al secondo posto per la giuria internazionale nella medesima categoria. Lo Shekàr è particolare, non solo per la metodologia di produzione , ma perché è un vino su cui è stato sperimentato dall’Università del Salento un progetto di tracciabilità dalla campagna alla tavola denominato Farm to Fork.

i campi lucani e il tramonto dietro il Vulture

Mi dirigo a nord verso Rapolla. Immancabile la sosta alle fresche fonti di acqua del Vulture prima di giungere e Melfi. Sara Carbone ci aspetta nella sua cantina storica sita al centro del paese, ai margini del borgo antico. Si tratta di un’antico antro scavato nel lapillo vulcanico, sotto una colata lavica che ne è divenuta la volta. Nelle fredde viscere del monte Vulture la suggestione dell’ambiente rende la degustazione dei vini più emozionante. L’azienda possiede anche una seconda cantina in località Braide, moderna e funzionale, dove avviene la vinificazione. Da un totale di circa 18 ettari di terreno si ricavano vini di notevole struttura e profondità, partendo dalla linea base, “Terra dei Fuochi”, Aglianico del Vulture D.O.C. rosso e rosato (entrambi sorprendenti), si giunge sino al “400 Some”, dedicato a Carlo d’Angiò e allo “Stupor Mundi”, dedicato a Federico II. Quest’ultimo è arrivato al secondo posto come miglior Aglianico del Vulture D.O.C. per la giuria nazionale al recente Radici del Sud 2013.

la bottaia di Sara Carbone a Melfi

Mentre faccio rientro a casa mi godo il tramonto del sole dietro il monte Vulture. La stretta correlazione tra la qualità del vino, la composizione dei suoli e la morfologia del terreno qui è reale ed ora mi è molto più chiara. Se dovessi fornire un esempio di areale vocato per la viticoltura non esiterei a nominare questa terra meravigliosa. Ora non vi resta che venire a conoscerla.

 

Foto di Mimmo Gagliardi

14 Commenti

      1. era previsto ma il poco tempo me lo ha impedito. Prometto una giornata dedicata solo a te!
        Ciao grande Frank.
        p.s.: tutti (TUTTI) i produttori mi hanno detto: “vai da Frank, si mangia benissimo e si sta una favola”

  1. ammazza che bello!!! pure io ho pronti una serie di articoli sul Vulture. Aglianico ci piaci!

  2. Bellissimo reportage in una terra così poco conosciuta ma dalle potenzialità immense.

  3. Bravo Mimmo, hai curato un servizio esaustivo e precisto. Sono convinto che la viticoltura lucana abbia ancora un ampio margine di miglioramento, soprattutto con l’impiego di forme ampelografiche alternative e non solo adoperando il già affermato Aglianico.

    Abbracci.

    1. Servizio preciso siamo d’accordo, esaustivo no. Mancano molti produttori di grande livello ad esempio Camerlengo, Paternoster, Madonna Delle Grazie ,Cantina di Venosa, Macarico …

      1. caro Michele, sarebbe bello visitarli tutti ma ci vorrebbero: 1) tempo illimitato 2) buoni benzina illimitati 3)tempo più fresco 4) disponibilità dei produttori.
        Io in tre giorni sono riuscito a incontrare solo loro, ma non aver visto gli altri mi da solo una scusa in più per tornare in questo territorio stupendo.

        1. La mia era solo una precisazione, non una critica per un servizio di ottimo livello.

        2. La mia voleva essere solo una precisazione non una critica a un servizio fatto molto bene.

    2. Enrico, sono in ascesa. Come in Puglia si sta andando verso una maggiore ricercatezza e una maggiore consapevolezza delle potenzialità. Purtroppo, ma è un problema italiano, si manca di coesione e di progetti comuni, ma se fosse tutto facile che gusto ci sarebbe, no? Per me un dei migliori vini d’Italia.

  4. Andrea, ti ho preceduto di una ventina di giorni. Mentre tu girovagavi a Barile io ero già tra gli alberelli salentini. Comunque tutte ottime aziende e i vini citati sono una vera specialità

  5. Idem per me. Girare non e’ facile al giorno d’oggi. Chi legge immagina l’attimo della visita, della degustazione ma poco si compenetra con le modalita’ per arrivare a fare tutto quello. Prossimamente integrero’ con gli altri. Come ho detto e’ una buona scusa per tornarci. Ti ringrazio del commento che non ho giudicato come una critica ma come una giusta osservazione a cui ho fornito il mio point of view. Ciao

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