Lettera aperta del Presidente del Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia, Stefano Di Marzo


Stefano Di Marzo (foto Sara Marte)

Stefano Di Marzo (foto Sara Marte)

Finalmente l’Irpinia può avere un Consorzio di Tutela riconosciuto.

Dopo 14 anni di difficoltà e resistenze si è giunti ad aggregare una massa critica di oltre 400 soci, tra viticoltori e cantine.

È così superata per tutte le denominazioni irpine (le DOCG Taurasi, Greco di Tufo e Fiano di Avellino e la DOC Irpinia) la soglia di rappresentanza richiesta per il riconoscimento ministeriale e, d’inerzia, per due DOCG tutelate viene anche raggiunta quella richiesta per l’attribuzione delle funzioni di vigilanza ‘erga omnes’, mentre per le altre due le adesioni mancanti ormai si contano sulle dita di una mano.

Di questo ringrazio l’intero Consiglio di Amministrazione, nelle persone del Vice Presidente Marianna Venuti, del Past President Milena Pepe, dei Consiglieri Gerardo Contrada, Pasquale De Nunzio, Daniela Mastroberardino, Piero Mastroberardino, Gerardo Perillo, Marco Todisco.

Senza il sostegno e il lavoro continuo di tutti loro e di tanti altri amici e collaboratori il risultato non si sarebbe raggiunto.

E lungo il cammino non è stato trascurato alcuno e a tutti è stato offerto ascolto.

 

Un risultato che dovrebbe essere in grado di cancellare ogni polemica locale e ricompattare la filiera…

E invece no.

Difficile da spiegare.

Un gruppo di cantine, ha reagito in modo violento all’annuncio fatto da me a mezzo di un comunicato stampa appena diramato.

Sono stato messo in guardia perché queste cantine, in ragione dei tanti ettolitri di vino che producono, annunciano di far decadere in futuro il riconoscimento che oggi ci accingiamo finalmente ad ottenere.

Le lamentele addotte da queste cantine sarebbero di due tipi:

  • Una riguarda il presunto fallimento da parte del Consorzio dei suoi obblighi statutari, con riferimento proprio al mancato riconoscimento e, attraverso questo, alla conseguente difficoltà di svolgere attività di promozione, valorizzazione, tutela e vigilanza delle denominazioni.
  • La seconda invece richiama un principio di maggiore democraticità nel funzionamento del Consorzio.

La prima è evidentemente superata dai fatti: il risultato sopra annunciato è così importante che andrebbe abbracciato e condiviso da tutti, considerato che di consorzio di tutela ve ne può essere solo uno, per legge, e che per legge una volta realizzato non può che essere aperto a tutti gli operatori legittimati.

Sulla seconda la risposta è nelle cose: atteso che lo schema statutario ministeriale prevede che nella formazione della volontà assembleare si tenga conto oltre che delle uve prodotte anche degli ettolitri trasformati, non si comprende perché questa alleanza di cantine, che ha al proprio interno tra l’altro anche la cantina più grande in quanto a volumi di vino, non venga in assemblea a far valere democraticamente le sue ragioni. Nulla di più semplice.

Cosa impedisce loro di partecipare alla vita consortile e, col conforto dei numeri, secondo principi democratici, magari diventarne anche protagonisti e propulsori? Persino l’organo amministrativo è stato sempre aperto e disponibile a qualunque contributo, ma molti rappresentanti di questo gruppo ne hanno fatto parte formalmente senza partecipare fattivamente alle riunioni di lavoro (sarebbe agevole citare, uno per uno, i consiglieri nominati e assenteisti per anni interi, oggi schierati sul fronte ostile; invocare ora maggiore democraticità appare davvero oltre il buon senso).

Se questo non accadesse, d’altro canto, sarebbe solo la dimostrazione della indisponibilità di questa fazione a qualsiasi forma di dialogo, dell’intento di far naufragare il consorzio, i controlli, la vigilanza e la tutela.

 

Io terrò conto del punto di vista di tutti, ma in primo luogo ho il dovere di ottemperare al mandato che mi è stato conferito, ovvero quello di portare al riconoscimento il Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia, per il bene della filiera tutta, degli operatori più grandi, ma anche dei medi e dei piccoli.

In molti nelle ultime settimane, forse un po’ affrettatamente, avevano dato per defunto il Consorzio di Tutela.

Evidentemente i fatti hanno dimostrato il contrario.

E allora è partita una campagna a tappeto, rabbiosa, porta a porta, per chiedere agli amici un aut aut: ci sono persone che vanno in giro seminando zizzania, imponendo, per poter restare nell’associazione alternativa, di presentare le dimissioni in massa dal consorzio di tutela, un boicottaggio fondato sullo slogan: “È giunta l’ora di schierarsi”. Ma non di schierarsi a favore di qualcosa o qualcuno, bensì contro. Circolano coppie di moduli prestampati: uno per aderire all’associazione alternativa, l’altro per recedere dal Consorzio di Tutela. Se questa è etica…

In queste poche settimane di avvio della mia presidenza ho incontrato tanti vignaioli e tanti vinificatori, cercando con loro un approccio teso ad informare delle nostre attività e dei progetti in corso, senza mai rivolgere alcuna critica all’altra associazione appena nata, dichiarandomi anzi sempre disponibile all’incontro e a una riunificazione.

E, soprattutto, mai ci siamo sognati di chiedere ad alcuno di dimettersi dall’associazione avversa.

Perché non vi è alcuna incompatibilità tra l’esser socio del consorzio di tutela e partecipare ad altre associazioni o consorzi di promozione. Se non vi è dichiarata ostilità, non vi è neppure ragione per formulare questo genere di ultimatum.

E ciò, nonostante registrassi dall’altro versante segnali diversi nei confronti del Consorzio che rappresento (tra cui una espressione diffusa persino a mezzo stampa, che mi ha davvero colpito: la volontà di esponenti di vertice della fazione avversa di “raderlo al suolo”).

Evidentemente, dobbiamo prendere atto che il risultato del riconoscimento non è ritenuto il vero comune obiettivo da raggiungere, come base di partenza per svolgere al meglio i compiti di tutela e promozione attribuiti dalla legge: non è per tutti, come è per me e per chi ha lavorato in questi mesi, un obiettivo importante da cogliere e donare all’Irpinia intera.

Appare piuttosto un risultato da apprezzare o disprezzare in ragione di chi lo raggiunga.

 

Radere al suolo”: è questo l’animus che muove certi operatori della filiera del vino in Irpinia?

Come si può arrivare a tanto e dichiararlo pure pubblicamente?

In queste ore finalmente viene a galla la verità: chi NON vuole un consorzio di tutela in Irpinia, chi NON vuole che la filiera organizzi le attività di controllo e di vigilanza sul regolare funzionamento del comparto, chi NON vuole che la filiera si impegni nella valorizzazione delle produzioni irpine attua una brutale campagna per distruggere il primo vero e concreto risultato che in questo ambito si è conseguito.

Se questa linea di pensiero dovesse aver successo, chi ne sarà portatore dovrà assumersi la piena responsabilità di aver cancellato un’opportunità per la nostra provincia viticola.

 

Di qui un appello a tutte le persone di buon senso: il Consorzio di Tutela dei Vini d’Irpinia è una realtà.

Siamo pronti al confronto, ad accogliere nel soggetto consortile tutte le anime della filiera, con spirito costruttivo ed inclusivo.

Abbiamo tuttavia anche la responsabilità di non sciupare una opportunità storica per il territorio.

Chiunque abbia a cuore la vite e il vino in Irpinia venga a dare il proprio contributo alla crescita di un territorio che lo merita.

Le porte del Consorzio di Tutela sono aperte.

 

Cordialmente

Stefano Di Marzo