Linguine allo scammaro di Lino Scarallo


Linguine allo scammaro

Del significato della parola e sul rifacimento della ricetta del Duca di Buonvicino

Era stato uno dei piatti che aveva riscosso più successo durante la notte degli chef campani di febbraio 2009, trascorsa sotto la volta del cielo di Napoli nella quale brilla la stella di Lino Scarallo.
Per le “linguine allo scammaro in fodera di torzella e salsa di pinoli tostati”, lo chef di Palazzo Petrucci ha attinto da un’antica ricetta napoletana decantata dal Duca di Buonvicino a metà XIX secolo come piatto di magro ideato su richiesta di alcuni esponenti del clero per i giorni della Quaresima.

Lo “scammaro”, con le altre salse della tradizione – puttanesca, genovese e ragù – ha accompagnato la pasta nel percorso che, dai primi mulini di Torre Annunziata, Castellammare e Gragnano, nel Cinquecento, ne ha fatto, risalendo la scala in fondo alla quale il popolino per secoli “s’abbottava de vino e maccarune” (in “Lo Tasso napoletano zoè la Gierosalemme Libberata votata a llengua nosta” di Gabriele Fasano), l’alimento principe della Dieta Mediterranea.

Così facendo diventare il Mediterraneo un gran bacino popolato di nuovi “magna maccheroni”. Se “cammarare”, sta per “mangiar di grasso”; con la “S” davanti, il verbo diventa “mangiar di magro”. Sotto il provvidenziale effetto “brucia calorie” di una sola lettera, insomma, i penitenti gourmand, già qualche secolo fa, raggiungevano due risultati con una mossa sola: mettevano a posto la coscienza e non soffrivano le pene infernali di chi si priva del godimento di un piatto tanto semplice quanto gustoso.

Nella variante fritta su cui Cavalcanti indugia nelle sue opere, i maccheroni conditi allo “scammaro” vengono fatti dorare, senza le uova, dall’una e dall’altra parte fino a che non diventano croccanti.

Sulla falsa riga di questo antico gioco di equilibrio tra penitenza e lussuria, il piatto di Scarallo, fatto anch’esso di poveri ingredienti come acciughe, torzella riccia e olive, si presenta sontuoso al gusto e, anche grazie all’effetto vellutante della salsa di pinoli, da gran fanfara al galoppo, alla vista: un copricapo a turbante di pasta lunga di Gragnano incastonato di pezzetti di olive bianche e nere, con su il gran pennacchio verde brillante della foglia di torzella che, riccia e indomita, svetta sulla pasta.

Ricetta di Lino Scarallo

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Ingredienti per 4 persone

  • 250 g di linguine
  • 50 g di olive nere
  • 150 g di olive verdi
  • olio extra vergine
  • 2 cucchiaini di capperi piccoli
  • 6 filetti di acciughe sottolio di Cetara
  • 4 foglie di torzella lessate e raffreddate in acqua e ghiaccio
  • 4 stampini monouso per timballo
  • 100 g di pinoli tostati (mixare con un mestolo di brodo vegetale e ottenere una salsa)

Preparazione

In una pentola con abbondante acqua salata cuocete le linguine che dovranno risultare quasi crude.
Fate soffriggere mezzo spicchio di aglio, l'olio, le olive, i capperi, i filetti di acciughe e il basilico tritato.
Mescolate e condite le linguine.
Foderate i 4 stampini con le foglie di torzella precedentemente condite con olio sale e pepe.
Riempiteli con le linguine, sformate le linguine al centro di un piatto da portata, nappate con la salsa di pinoli.
Finite con un filo di olio extra vergine di oliva.

Vini abbinati: Pallagrello bianco

2 Commenti

  1. Un piatto della memoria….mia nonna, quand’ero piccola, mi preparava spesso lo “scammaro” la domenica sera, quando rimanevano le linguine alla puttanesca del pranzo. Un piatto meraviglioso che talvolta preparo ancora. Non vedo l’ora di provare la ricetta del grande Lino nella variante con le torzelle, sono certa che il matrimonio con le nostre Sèrole è azzeccatissimo. Sapidità con morbidezza, untuosità con freschezza e nerbo. Grazie!

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