L’Isola del Giglio e l’Ansonica. Una viticoltura eroica


dall’inviata Antonella Petitti

Vigneti sull'Isola del Giglio

“Pane del giorno, vino dell’anno”, così ribattè austero il signor Gioacchino quando gli facemmo qualche domanda in più sul suo vino. Vignaiolo dell’isola, non l’aveva mai lasciata sin dalla nascita ed ogni mattina si recava ai suoi vigneti per curarli con l’aiuto di una zappetta e la forza delle sue braccia. Non poteva essere diversamente, visto che gli appezzamenti a picco sul mare non avrebbero permesso nessun altro mezzo. Soltanto il “tre ruote” agevolava il percorso, segnalando una evoluzione rispetto al più ecologico asino.
Eravamo arrivati all’isola del Giglio col traghetto che da Orbetello giunge a Giglio Porto, purtroppo c’erano molte nuvole che scurivano la vista e nel viaggio non era mancato un temporale. Eppure quest’isola vicina eppure tanto solitaria non perdette neanche un po’ del suo fascino, ci ripensai in seguito quando un isolano ci parlò della terra ferma chiamandola “Italia”. Eppure l’isola del Giglio è situata in provincia di Grosseto a pochi chilometri di distanza dal “continente”, ma la cultura, la storia e le abitudini probabilmente avevano tessuto il vero distacco. La prima cosa che facemmo – una volta sbarcati – fu fare un giro dell’isola in moto e subito fummo esterrefatti dalla bellezza dei vigneti che sembravano sospesi accanto al mare, dal modo in cui erano curati e rubati alla macchia mediterranea.
Ansonica, Ansonaco o Ansonico? La discussione in fondo è ancora aperta. Ansonico è il nome che si legge sulle etichette delle bottiglie in vendita, Ansonica è il nome del vitigno e Ansonaco è il modo in cui i gigliesi chiamano il loro vino.   L’Ansonica (conosciuta anche come Inzolia) è un vitigno di origine mediterranea diffuso soprattutto in Sicilia, coltivato dal 1500 sull’isola d’Elba e sull’isola del Giglio, presente sulla Costa dell’Argentario, nel livornese e nel grossetano. Il vino ottenuto è di colore giallo paglierino, con riflessi verdognoli, profumato, di sapore caldo ed armonico, scarsamente acido. E’ fondamentalmente robusto con una gradazione tendenzialmente alta per un bianco (13/15°). L’Ansonica, oltre a concorrere alla DOC Ansonica Costa dell’Argentario, con altre uve può concorrere alla produzione del Vermut e del Marsala ed entra nella composizione di molte DOC siciliane.   La produzione di uva sull’Isola del Giglio in passato era abbondantissima fino a che non ha preso il sopravvento il turismo, qualche anziano vignaiolo ancora racconta ricordando le barchette che venivano dalla terra ferma per caricare questo straordinario prodotto. Un luogo dove, chiaramente, era difficilissimo vinificare e dove lo è tutt’ora.
Straordinaria testimonianza sono i palmenti (costruiti tra il 1500 ed il 1700) che ancora si possono individuare qua e là tra vigneti e pezzi di antiche vigne lasciate ormai incolte. Strutture di modeste dimensioni in cui vi si trovavano una o più vasche e dove l’uva veniva pigiata con i piedi, poi si recuperava soltanto il mosto (o il vino) che veniva trasportato nelle cantine.  
Dopo secoli di storie di invasioni e difficoltà, fu verso la fine del ‘600 che l’allevamento della vite ebbe nuovo vigore sull’Isola del Giglio, grazie alla famiglia dei Medici che stimolò al massimo i contadini locali, con agevolazioni economiche di vario tipo, a riprendere la coltivazione dell’uva. Fu verso la fine del ‘700 che l’Ansonica si affermò come vitigno principale, prendendo il posto del Biancone. Un vitigno apprezzato anche come uva da tavola, conteso dai mercati di Livorno, Civitavecchia, Genova e Firenze, anche Stendhal ne parlò tessendone le lodi. Dopo il grande successo del XIX secolo, all’inizio del ‘900 la situazione della viticoltura volse al peggio, per la migrazione verso il continente degli isolani e l’avvento della fillossera con un declino che ha portato la produzione di vino ai minimi storici.
Molte sono le ragioni che hanno portato a questa situazione ma le cause principali sono da ricercare in una estrema frammentazione della proprietà e nell’ostinata produzione individuale. Il viticoltore gigliese, cresciuto in una comunità abituata da secoli all’isolamento e al lavoro individuale, ha sempre seguito l’esempio dei predecessori, incurante di quello che veniva organizzato dagli altri contadini. Ed oggi l’avvento della DOC ha perlomeno salvaguardato la produzione di qualità, anche se molte sono gli aspetti che differenziano il gusto del vino isolano, rispetto a quello prodotto sull’Argentario. Difatti, purtroppo, la DOC accorpa una realtà territoriale che presenta molte differenze. Quindi nessuna etichetta potrà segnalare al consumatore appassionato che si tratta di Ansonico ottenuto da uve isolane oppure da quelle della costa. Al Giglio viene ancora prodotto un vino quasi “salato’, di facile ossidazione e di alto grado alcolico.
Dunque si capisce come i vecchi proverbi hanno sempre un fondo di verità: “pane del giorno, vino dell’anno”. L’Ansonico, dunque, non è ben predisposto all’invecchiamento. Le forme di allevamento della vite continuano ad essere quelle antiche, con pochi esempi di nuovi impianti e l’uso delle moderne tecniche di vinificazione viene lasciato ai produttori della terraferma. Ed è anche per questo che la Regione Toscana ha chiesto addirittura l’intervento dell’UNESCO per la salvaguardia di questo che sta diventando un vitigno in via d’estinzione.   Da visitare  anche Giglio Castello da dove si può ammirare un panorama di insieme eccezionale e dove si trovano diverse piccole cantine che ancora conservano il vecchio sapore del vino gigliese, come quello di Gioacchino che si contraddistingue per la grande curiosità e disponibilità con cui si presta ai racconti insieme a turisti visibilmente interessati a questa viticoltura eroica.

“Isola del Giglio – il territorio, gli abitanti e la storia” di Ennio De Fabrizio edito da COEG (Centro di Osservazione Ecologica del Giglio).