LSDM Roma, master class sulla Mozzarella di Bufala – Enrico Recanati, Marcello e Mattia Spadone, Michelina Fischetti


Lsdm

 

La pizza, buona e fritta

La seconda giornata di LSDM a Roma inizia sotto il segno della mozzarella, naturalmente (con la master class sulle qualità organolettiche della Mozzarella di Bufala declinata nelle diverse pezzature tenuta da Maria Sarnataro) e della pizza.

La Buona Pizza

La Buona Pizza

Dopo la presentazione del libro La Buona Pizza – che ha visto anche la partecipazione di Daniele De Michele, noto come Don Pasta, autore della prefazione del libro, e di Stefano Callegari che per l’occasione ha proposto al pubblico una versione “campana” del suo Trapizzino Doppia Panna con stracciata di bufala e alici di Cetara – si è parlato di pizza fritta con Alfonso Maffeo, creatore di Don (acronimo che sta per Denominazione di Origine Napoletana).

Trapizzino doppia panna (foto Guglielmo Farinelli)

Trapizzino doppia panna (foto Guglielmo Farinelli)

Imprenditore partenopeo, da circa un anno Maffeo ha deciso di portare a Roma – più precisamente a Trastevere – la grande tradizione napoletana della pizza fritta, con un occhio di riguardo a qualità e leggerezza: come ha sottolineato Sara Bonamini, che presentava l’incontro, la pizza fritta, se ben fatta, è per tutti e per tutte visto che le calorie sono pressappoco uguali a quelle di una pizza al forno e anche la goduria è la stessa.
L’idea, racconta Maffeo, gli è venuta qualche anno fa a San Sebastian, quando l’Italia era la nazione ospite al congresso di cucina Gastronomika; per l’occasione furono invitati anche i grandi pizzaioli napoletani – tra cui Enzo Piccirillo de La Masardona – che “sbancarono” letteralmente tanto sul palco che fuori alla sede del congresso, dove si sfornavano pizze fritte e al forno a legna.
Compresa la grande potenzialità di questo cibo che a Napoli è considerato semplice e quotidiano ma altrove non è ancora così conosciuto, Maffeo ha dunque trasformato la sua passione in una missione: rivalutare e “ammodernare: la pizza fritta napoletana, puntando appunto sulla qualità di impasto e materie prime a cominciare dall’olio (di arachidi) sempre pulito, e farla apprezzare anche altrove. E non solo quella: «Vogliamo far parlare un intero territorio e i suoi grandi prodotti campani attraverso le nostre pizze – dice Maffeo – Ecco perché da Don c’è anche una selezione di prodotti da acquistare e portare a casa. E poi, per avvicinare più persone possibile a questo cibo, organizziamo eventi e iniziative, dai giovedì a base di pizza fritta e bollicine ai martedì “in rosa”, in cui le donne hanno uno sconto del 50% sulla pizza». E annuncia anche una novità, le serate “Pizza Fritta Stars” in cui grandi chef verranno a Trastevere per realizzare la loro pizza fritta.

Pizza fritta

Pizza fritta

Mentre Maffeo racconta, il pizzaiolo Enrico Silanus – milanese con una grande passione per Napoli – “ammacca” e chiude le pizze per mostrare la manualità che è parte integrante della riuscita di una buona pizza. Per gli assaggi – la Spaccanapoli con ricotta, cicoli, provola e pomodori San Marzano, quella con Mozzarella di Bufala Campana Dop, San Marzano Dop, pepe e basilico e la classica montanara – si sale al piano superiore, dove Enrico e il suo staff friggono per tutta la mattinata.

Enrico Recanati e il pacchero animale

Enrico Recanati

Enrico Recanati

Paolo Marchi introduce Enrico Recanati ricordando la sua sosta da Andreina – il ristorante-griglieria “ereditato” dalla nonna e dalla mamma e da lui trasformato insieme alla moglie Ramona in un luogo di grande cucina e grande accoglienza – come una pausa di gioia in una giornata storta. E sottolinea pure come nonostante tutto la brace resti un punto centrale della sua cucina decisamente “non vegetariana”, anche se la parte vegetale è ben presente.
E infatti i due piatti presentati dallo chef marchigiano girano intorno al fuoco e al fumo, il primo in versione animale e il secondo in chiave vegetale. Bellissima idea quella del “pacchero animale”, che parte dall’antica usanza contadina di non buttare via nulla utilizzando il collo dell’anatra per diverse ricette.

Recanati, pomodoro

Recanati, pomodoro

La sua è sicuramente originale: lo fiammeggia, lo cuoce al vapore a 85° per quattro ore e mezzo e poi lo fa essiccare per due giorni a 60° fin quando non diventa bello croccante e… del tutto simile a un pacchero, il tradizionale formato di pasta gragnanese. Lo farcisce con la carne d’anatra tagliata al coltello – «È una carne magra e saporita, e sta benissimo con la mozzarella» nota lo chef – a cui aggiunge buccia di yuzu e salsa di soia per dare freschezza e sapidità. Poi “decora” i finti paccheri con una crema di mozzarella ottenuta frullando il latticino di un giorno e mezzo, ben scolato, una crema di nocciole tostate alla brace e poi tenute sottovuoto in acqua di governo della mozzarella per due giorni per assorbirne il sapore e l’acidità e infine una salsa di mandarino. Sul fondo del piatto, una salsa a base di acqua di governo della mozzarella, sempre affumicata alla brace. A finire qualche foglia di portulaca, pepe, olio extravergine e ancora yuzu, a bilanciare l’“animalità” del piatto con la componente fresca e vegetale. Un morso buonissimo e ardito. Decisamente più tranquillizzante, ma altrettanto buono, il Pomodoro arrosto: Gli ultimi datterini dell’orto di Andreina vengono tagliati su un lato e privati della polpa e dell’acqua di vegetazione; Recanati li farcisce con una crema a base di pomodori confit cotti per due ore con olio, sale, pepe, prezzemolo e scorze d’agrumi e poi frullati. Per chiudere i pomodori usa una panna cotta di latte di bufala appena profumata d’aglio, poi li “arrostisce” con il cannello ricreando l’aspetto e il profumo dei pomodori arrosto della tradizione marchigiana. Ad accompagnarli mette dell’acqua di pomodoro sul fondo del piatto, un po’ di panna cotta di bufala e una cialda di pane al prezzemolo, che sta al commensale rompere. I sapori sono quelli della memoria, ma la forma è tutta nuova.

Marcello e Mattia Spadone, generazioni a confronto

Marcello e Mattia Spadone,

Marcello e Mattia Spadone,

Ancora una “prima” a LSDM e ancora una bella storia di famiglia, in questo caso con l’ultima generazione under 30. Come ricorda Luigi Cremona, La Bandiera – bel ristorante nella campagna dell’entroterra abruzzese – ha aperto nel 1977, Marcello Spadone ha raccolto il testimone della madre e adesso, già da qualche anno, la cucina è nelle mani del giovanissimo Mattia che ha passato due anni in cucina con i fratelli Roca, tanto per dirne una, prima di tornare a Civitella Casanova dando nuovo sprint all’affiatata squadra di casa (in sala c’è il fratello, Alessio) e alla cucina della Bandiera, che resta però legata al territorio e alle materie prime che qui nascono, spesso prodotte o raccolte da sé, a cominciare dall’olio extravergine, gli ortaggi e le erbe spontanee. E le generazioni dialogano senza troppi conflitti, almeno a giudicare dai risultati in sala e a tavola. Così in menu si trovano ancora piatti “storici” come le pappardelle alla genovese d’anatra messo in carta dalla signora Anna nel 1977 e mai levato, e l’uovo croccante con spuma di caciotta e tartufo ideato da Marcello, ma pure le creazioni di Mattia come il “Bosco”, insalatina di erbe spontanee con gelatina di radici e funghi.

Spadone, melanzana

Spadone, melanzana

A Roma, Mattia e Marcello propongono un piatto che ne riassume la vocazione “vegetale” e la filosofia basata sull’esaltazione della materia, senza trascurare la forma. Una piccola melanzana croccante fatta con l’Isomalto e colorata con la polvere di bucce di melanzana viene farcita con stracciata di mozzarella ammorbidita da latte di bufala montato, purea di melanzane, croccante di caciocavallo, pomodori confit e pomodori essiccati e bucce di melanzane cotte alla brace. A finire, una spuma di acqua di pomodoro e il picciolo di melanzana a chiudere, ricreando l’aspetto di una vera e propria “baby melanzana”.

Michelina Fischetti, alla ricerca dei sapori perduti

Michelina Fischetti

Michelina Fischetti

Con Michelina e Carmine Fischetti – solo due dei cinque fratelli impegnati nel ristorante di famiglia, l’Oasis a Vallesaccarda, sosta imprescindibile per conoscere l’ABC dei sapori di che Luciano Pignataro chiama “la terra di mezzo” tra Campania e Puglia, Irpinia e Daunia – la grande cucina campana della tradizione, per quanto in chiave moderna, arriva nelle sale del Baglioni. E a pensarci bene, cosa c’è di più moderno di restare – anzi tornare, visto che erano sparsi in giro prima di decidere di prendere le redini della locanda aperta dalla mamma nell’88 per far da mangiare agli operai del luogo – a presidiare un territorio bellissimo ma fuori dalle rotte turistiche, di preservarne la memoria e i sapori senza tradire le origini ma guardando sempre avanti? Così i Fischetti lavorano solo carni e prodotti locali, usano le uova “vere” appena deposte, scelgono prodotti “antichi” come la manteca (o burrino, una sorta di caciocavallo che nasconde un cuore di burro nato come arcaico modo di conservazione e trasporto del burro quando non c’era il frigorifero) o gli antichi grani locali come il Saragolla, e non hanno paura della semplicità – che non è mai banale quando è autentica – anche se ci mettono accanto grandi vini selezionati da Nicola e Carmine e un’accoglienza da grande table.

Fischietti, ravioloni

Fischietti, ravioloni

Schiva e autentica anche lei, Michelina rifiuta di essere chiamata chef e mostra al pubblico il segreto dei suoi fantastici ravioloni come se fosse la cosa più semplice del mondo: una sfoglia di semola di saraolla e una piccola parte di farina bianca e uova fresche, sottile ed elastica; un ripieno di ricotta e stracciata di bufala (vale a dire: mozzarella stracciata a mano da lei stessa, perché anche i gesti contano) a cui aggiunge erbe selvatiche (appena sbollentate, tritate e saltate con aglio e olio) che anche nel più fornito dei mercati cittadini ci possiamo solo sognare. Pochi minuti di cottura e poi li veste con il burro di manteca e una generosa dose di tartufo nero, altro tesoro dell’Irpinia.
Semplice, sì, ma irresistibile.

Fischietti, ravioloni

Fischietti, ravioloni