Quale olio usare sulla pizza napoletana? Pizzalab da Franco Pepe a Caiazzo con sette oli su sette marinare e un margherita


Il gruppo del Pizzalab (foto Gianna De Lucia)

di Monica Piscitelli

Con il Pizzalab di giovedì scorso alla pizzeria Pepe di Caiazzo gli incontri che ho promosso in collaborazione con questo blog arrivano al terzo appuntamento. Dopo le sette margherite da Enzo Coccia e la serata sui formaggi da Ciro a Santa Brigida è toccato al condimento base della pizza. Protagonista della serata, insieme alla Marinara e la Margherita (gran finale con la pizza al Conciato Romano de Le Campestre con marmellata di fichi) del pizzaiolo di Caiazzo che ha accolto con i fratelli la nostra comitiva, l’olio extra vergine.

Da sinistra- Gianna De Lucia, Laura Gambacorta, Manuel Lombardi, Franco Pepe e Pasquale Carlo (FotoPigna)

L’idea di base: la Campania vanta, di sole varietà autoctone,  più di 60 tipi di oliva. La tradizione vuole che alcune abbiano avuto un impiego misto : da olio e da tavola. Come la Racioppella, per dirne una.

 

La pizza marinara di Franco Pepe (foto Gianna De Lucia)

Di tutto l’olio prodotto in Campania in ogni provincia, da altitudini, dunque, che vanno dai 200 metri sul livello del mare delle colline salernitane ai circa 700 delle aree interne come l’Irpinia, una parte è Dop.

E lo è, in alcuni casi, dalla prima metà degli anni Novanta. Eppure i campani non hanno la minima idea di questa realtà composita, e spende, come la gran maggioranza degli italiani, 4 euro al litro per l’olio, magari affidandosi ai brand più noti, e crede di aver già fatto molto per la propria salute e per il proprio gusto.

Non diversamente i ristoratori e ancor più i pizzaioli. Sulla pizza, poi, invero, l’olio è davvero l’ultima delle questioni. Escludendo  che anche al tempo delle sua nascita, sulla pizza, andasse l’olio extravergine, le fonti parlano di olio di oliva. E certamente di grassi animali.

 

Pizza margherita di Franco Pepe (FotoPigna)

Ciononostante, quella, dunque, di provare alcuni dei migliori oli della Campania, di varie province, come abbiamo fatto, più che essere una sciocca forzatura da addetti al settore pedanti, era la curiosità di capire, con un artigiano, perché, sugli oli, sono state fatte alcune scelte piuttosto che altre e cosa si può ottenere sfruttando meglio le potenzialità del patrimonio varietale regionale nell’ipotesi che a una pizza “gourmet” (termine che di base non condividiamo) sia chiesto di esprimere il frutto di una ricerca seria sugli ingredienti.

La pizza marinara di Franco Pepe (FotoPigna)

Senza  presunzione alcuna di rivelazione, il gruppo riunito a Caiazzo, è pervenuto a dei convincimenti e a delle conclusioni a fronte degli assaggi di sette oli extravergini (sotto il dettaglio). Qui li condividiamo con gli utenti del blog:

l’olio è certamente il meno indagato e valorizzato degli ingredienti della pizza, ridotto al ruolo di “grasso”. Il famoso “giro d’olio” che esce dalla tradizionale “agliara” è, per lo più, non ben identificato. Ampio è l’utilizzo di oli misti di semi e oliva;

l’olio può essere davvero capito, solo se degustato in un bicchierino come fanno gli esperti. Oli che a questa prova sarebbero penalizzati, sulla pizza, fanno ugualmente un ottima riuscita o perlomeno non mostrano i propri lati negativi. Ciò rappresenta una insidia grossa e, al contempo, fa riflettere su quanto ridotta è la nostra memoria gustativa dell’olio su questa pietanza;

la scelta di un olio extravergine piuttosto che di un altro, può cambiare i connotati a una pizza ed è per questa ragione una grande opportunità. Una ricchezza assolutamente inesplorata. Questo vale, in particolare, per i fruttati intensi;

c’è un olio per ogni stagione dell’anno. Avendo i prodotti “artigianali” un self life più breve (alcuni degli oli degustati, a fine stagione, mostravano inevitabilmente stanchezza) ed esprimendosi ciascuna varietà al meglio in una determinata fase della propria “maturazione” in bottiglia, si ipotizza si possano sfruttare le potenzialità di un fruttato leggero nei primi sei mesi dell’anno di messa in commercio dell’olio, mentre quelle degli altri successivamente. Come se si seguisse un ideale “calendario”.

 

Pizza marinara di Franco Pepe (FotoPigna)

la pizza, come pietanza nata a Napoli, nel suo sviluppo, ha probabilmente fatto uso dell’olio che aveva più  a portata di mano, quindi quello  del napoletano. Come, del resto, ha fatto con gli altri ingredienti.

 

Pizzalab, appunti

l’olio utilizzato di solito sulla pizza è un fruttato leggero. Se olio extravergine si utilizza, è, di solito, comunque appartenente a questa categoria. Avendo provato oli delle tre categorie di classificazione, abbiamo convenuto che  fruttati  leggeri e medi si addicono alla pizza. Bene, infatti, vanno con una semplice come può essere la Marinara e perfettamente, i secondi,  anche con i latticini. L’utilizzo dei fruttati intensi dà gran personalità alla pietanza e può essere lo spunto per accostamenti inediti di ingredienti.

Gli oli in degustazione (foto m.p.)

Ecco le aziende e gli oli degustati:

Caprareccia, azienda di Piana di Monteverna (CE)

Per la sua precocità, l’olio della cultivar Caiazzana, tendenzialmente dolce, e particolarmente delicato al gusto, è tra i primi ottenibili in Italia. E di certo il primo in Campania.

Per questo olio delle Colline Caiatine (che prevede la varietà Caiazzana per almeno il 65%) è in corso il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta.

La Masserie, azienda di Bellona (CE)

L’azienda, ai piedi del Monte Rageto in località “Masseria Vecchia”, ha recuperato una sessantina di secolari piante di Cornaiola Olivastra, varietà tipica delle zone collinose della provincia di Caserta che vanno dal Massico fino a Capua. La varietà, abbandonata fino a qualche anno fa a causa dei costi e tempi di produzione elevati, dà un olio fruttato medio, dal gusto deciso con  gradevoli note di pinolo, mela e moderatamente amaro e piccante.

 

Pizza al conciato romano e conserva di fichi di Franco Pepe (FotoPigna)

Di Giacomo, azienda di Serre (SA)

Rotondella (65%), Carpellese, Frantoio, Nostrale, Leccino compongono l’olio extravergine Pregio di questa azienda biologica. La zona di origine è quella di Serre, Postiglione e comuni limitrofi alle falde dei Monti Alburni, tra i 250 e i 600 m.s.l.m. Si tratta di un fruttato tra il leggero e il medio, in quanto con delicati sentori erbacei e buon equilibrio, lievemente amaro e piccante. La Dop Olio Colline Salernitane risale al 1997 e abbraccia un areale un vasto territorio che va dalla Costiera Amalfitana fino alla Valle del Calore, attraversando i Monti Picentini, gli Alburni, l’Alto e Medio Sele, le colline del Tanagro e parte del Vallo di Diano.

Antica Masseria Venditti, Castelvenere (BN)

Nel Sannio caudino telesino, le cultivar più diffuse sono Ortice, Racioppella, Femminella e Ortolana. La Racioppella è la tipica varietà da olio, particolarmente resistente sia alle avversità atmosferiche che agli attacchi dei parassiti. L’azienda, in regime di biologico, la accompagna, in questo prodotto, alla Femminella. Il risultato è un olio fruttato medio con sentori verdi moderati, armonico. Dal gusto morbido con piacevoli sensazioni fruttate.

La Torretta, azienda di Battipaglia (SA)

Sulle colline tra Battipaglia, Montecorvino Rovella,Campagna, Serre ed Eboli la cooperativa, in regime di biologico, coltiva olivi di Rotondella, Carpellese Frantoio. Il risultato è un olio, fruttato medio, di carattere; dal gusto armonico sottolineato da sentori di mela e toni vivaci di pomodoro e di piccante.

 

Vincenzo Coppola della Guida Slow Food Oli presenta le etichette (FotoPigna)

Badevisco, azienda di Sessa Aurunca (CE)

Questa azienda biologica alle pendici del vulcano di Roccamonfina, a circa 400 metri s.l.m., ha circa 7000 piante di olivo.  La Sessana (localmente nota come Cicinella, Licinia, Olivastro, Olivo da Olio o Sassanella) dà un fruttato medio caratterizzato da una gradevole intensità erbacea con sentori di mandorla e carciofo. La cultivar,regina delle terre aurunche, affianca varietà come Corniola, Itrana e Tonacella.

Fam, azienda di Venticano (AV)

L’azienda nel piccolo borgo collinare della media Valle del Calore, che vanta un moderno stabilimento gestito a livello familiare, ha fatto della Ravece il suo cavallo di battaglia. La cultivar, insieme a Ogliarola, Marinese, Olivella di Carife e Ruveia, è la protagonista della Dop “Irpinia Colline dell’Ufita”, istituita nel 2010. Sua area di produzione 38 comuni dell’Ufita e della Media Valle del Calore.
Dominus Riserva, da Ravece in purezza, è un olio di gran carattere.Un fruttato intenso con piacevoli note erbacee una netta percezione della nota di pomodoro verde. Persistente e armonico.

 

L'Aleatico di Tenuta partemio, ottimo sulla pizza al conciato e la conserva di fichi (FotoPigna)

Basco 2010 Piedirosso Roccamonfina igt I Cacciagalli, fantastico sulle marinare

Tutto qui. Grazie a Vincenzo Coppola (Guida agli oli di Slow Food) per la sua collaborazione entusiasta e a tutti gli amici e autorevoli colleghi presenti a questo Pizzalab. Alla prossima!

11 Commenti

  1. Quello che ho imparato da questo laboratorio è ch con lì’olio stiamo esattamente come per il vino vent’anni fa. Mi spiego: oggi tutti i vini sono corretti, ci può essere discussione sullo stile, sulla interpretazione o meno del territorio etc, ma si parte comunque dall’assunto base che il vino non può avere difetti.
    Per l’olio non è ancora così. Basti pensare che pizze marinare con alcuni oli piuttosto stanchi (erano della scorso anno) sono state giudicate, parlo di me per primo, buone.
    Dunque siamo ancora abituati ad un gusto che non esige oli senza difetti
    La questione non è di poco conto: gli oli buoni spiccavano e davano un tono diverso alla pizza, esigono materie prime ancora più buone e pure.
    Dunque: c’è un mondo da scoprire o, almeno, da costruire.

  2. Articolo e iniziativa davvero interessanti, mi sarebbe piaciuto partecipare! E’ uno dei “problemi” dell’olio, comunque, il fatto che a differenza del vino – che puo’ accompagnare il cibo ma anche essere bevuto da solo, “da meditazione” – non viene abitualmente assaggiato “assoluto” col bicchierino: quindi da una parte c’e’ il giudizio tecnico degli esperti, importante ovviamente, ma alla fine quello che conta e’ la percezione dell’olio nel piatto: e li bisogna assaggiare, assaggiare, assaggiare ;)

  3. bellissimo articolo letto d’un fiato. io sono innamorato di tanti olii non solo campani e mi diverto a gestirli su varie pietanze e’ un gioco che coinvolge anche i clienti che hanno la curiosita’ di sperimentare. rivalutare gli olii italiani veri e’ il primo passo per superare anche quelle false diciture come dop.lo so e’ una provocazione ma credo qualcuno potra’ supportare quanto detto. buona giornata

    1. dispiace che una persona attenta cada nel luogo comune delle “false diciture come dop”
      Invece occorrerebbe che tutti ci dessimo da fare per affermare il primato delle dop rispetto agli altri oli “senza mamma e senza babbo”. La DOP prima ancora di garantire il consumatore sulla qualità organolettica assoluta (ricordo che per poter etichettare come DOP oltre ad altri requisiti bisogna superare obbligatoriamente un esame organolettico con un punteggio minimo che è più alto di quello previsto per gli oli normali) garantisce la origine dell’olio. Cosa che non è mai garantita in un extra vergine generico. Oltretutto la Campania è in prima linea nel panorama degli oli a dop vantando Colline dell’Ufita, Penisola Sorrentian, Cilento e Colline Salernitane già riconosciuti con altri in corso di approvazione.

    2. giungere a dequalificare le dop dell’olio italiane è una presa di posizione forte. perciò si spieghi meglio.

  4. Caro Luciano,io ho scoperto da poco un’azienda che produce tre monovarietali,ravece,ogliarola,frantoio.Ti invito a provare questo prodotto veramente particolare puro,mai stanco. AZIENDA NEGUTTA DI FLUMERI

  5. la dop cosi’ gestita non da assoluta garanzia del prodotto. Col professor Consonni del CNR di Milano avevamo parlato di una certificazione molto piu’ controllabile con una tecnica creata da lui di tracciabilita’ molecolare tramite risonanza magnetica nucleare…. avevo provato a proporre ad un gruppo di produttori questa certificazione prima assoluta in italia, purtroppo pochissimi hanno aderito al progetto. con questo esame non si poteva contraffare l’olio, cosa che non la legge a maglia larga vigente e’ possibile fare.
    la dop e’ certamente in molti casi utile. ma non in tutti.

  6. a parere mio una pizza non può che esser condita che con le d.o.p. (una delle 4 presenti in campania, 5 includendo il terre aurunche), oppure anche con olii di frantoi locali (a patto però di essere olii di buona qualità, preferibilmente con estrazione in continuo, a centrifughe ed in acqua a freddo).
    senza tema di smentite tertium non datur

  7. Io ritengo che la scelta dell’olio sia determinate per un pizza non ricca di ingredienti quale la marinara e anche la margherita lo è sicuramente di meno ( importante ) per una pizza più ricca di ingredienti dove secondo me il sapore dell’olio passa in secondo piano.
    Mi è proprio dispiaciuto non esserci…mannaggia .!

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