Mondo rovesciato: ora in Italia la birra è popular, il vino radical chic


di Carmelo Corona

Quella per il vino è una passione che dura ormai da oltre 23 anni. Mi sono concesso, negli ultimi mesi, una serena riflessione sugli ultimi due decenni che hanno interessato l’universo del vino, e che corrispondono, guarda caso, ai miei anni di passione. Il risultato è deludente. Quasi spiazzante.

Dal 1990 ad oggi mi sono trovato coinvolto in una pletora di corsi, incontri, degustazioni, visite a cantine ecc. Ebbene, in tutte queste occasioni ho sempre avuto la strana impressione di trovarmi in una specie di loggia culturale , dove gli adepti erano uniti dal linguaggio del vino e dall’ancestrale richiamo che questa magica bevanda esercitava su di essi. Vuoi o non vuoi, il vino veniva sempre trattato come una materia da iniziati, da settari, per pochi eletti. Ed ogni volta, anche il linguaggio del vino era inevitabilmente tecnico e complesso.
Come diceva il grande Gino Veronelli: “Descrivere il vino è come descrivere la musica. E’ giocoforza usare un linguaggio specializzato. Ahimé”.
Anche lui, magari inconsciamente, avvertiva in questo un fattore penalizzante.

Una cosa era certa: chi aderiva ai corsi di degustazione era sempre chi si era già, in qualche modo, avvicinato al vino e, in un secondo tempo, maturava naturalmente l’esigenza di progredire nel proprio percorso culturale (che ha dei costi e dei tempi spesso non indifferenti).
A livello nazionale, nel frattempo, il consumo pro-capite medio di vino, è passato dai 60 litri del 1990 ai 43 litri del 2009. E questo in un paese che da oltre 20 anni è a crescita zero.
Il dato è decisamente preoccupante ed evidenzia certamente 2 cose:
1) che i produttori e le istituzioni sono stati negli ultimi 20 anni totalmente carenti circa le opportune politiche di incentivazione e promozione culturale al consumo del vino;
2) che se non si vuole che il consumo nazionale di vino si azzeri nel giro di un decennio, c’è indubbiamente molto da lavorare.

Tutti ricorderanno lo spot “Birra e sai cosa bevi” degli anni ‘80 dell’Assobirra, con Renzo Arbore che esclamava: “Meditate gente, meditate!”.

I produttori del vino, da sempre contraddistinti da scarso spirito associazionistico, mai si sono sognati magari solo di “copiare” uno spot del genere. Ma tutti si sono principalmente
preoccupati, di fronte al generale calo interno dei consumi, di coltivare quel target ristretto di enofili ed appassionati vari attirati anche (io direi soprattutto) dalla quella spirale di
ritualità, di esclusività, di elitarismo e di mondanità che caratterizzano da sempre il mondo del vino e che gli stessi produttori hanno nel tempo alimentato.

Così facendo, pero, i “normali bevitori quotidiani di vino”, nella maggior parte delle regioni italiane, sono nel tempo diminuiti. All’ultimo Vinitaly, i produttori affermavano che
“il consumo generale di vino diminuisce, ma aumenta la domanda di vino di qualità”. Che è come dire: “piove merda fresca, ma per fortuna siamo raffreddati! D’altronde, perché preoccuparsi tanto dei consumi interni, quando si può vendere il vino a Tokio, New York, Hong Kong e Bombay? E la moda del vino dell’ultimo decennio? Quell’onda
magnifica ed inebriante che tutti i produttori hanno cavalcato ed alimentato, a cosa è servita? A nulla. Non ha fatto alzare di un solo litro il consumo medio pro-capite.

Dati Istat, fonte grafico I numero del vino di Marco Baccaglio

Quello infatti ha continuato, ciononostante, tranquillo ed indisturbato (è questa la cosa grave) la sua inesorabile ed inarrestabile discesa. Questo basta a dimostrare che quella del vino altro non era, alla fine, che una bolla speculativo-mediatica, una moda elitaria, uno spot culturale. Il problema di fondo è che il vino è ormai considerato come un mero piacere edonistico-voluttuario (e per questa ragione, legato ad un target sempre più elevato), e sempre meno come quel salutare e piacevole accompagnatore dei pasti quotidiani di una volta (motivo per cui i consumi si sono ridotti del 30% in 20 anni). E proprio questo ha fatto sì che la maggior parte delle cantine facesse l’errore di rivolgersi solo al pubblico di nicchia, trascurando il resto, che snobbato dal marketing aziendale, si è naturalmente sempre più allontanato rivolgendo il suo consumo quotidiano a bevande alternative, più “popolari”, più “pratiche” e decisamente “meno impegnative” (come cole, birra e bevande gassate varie), ma anche decisamente poco salutari (fatta eccezione per la birra, che ai dati di qualche giorno fa diffusi da Assobirra, sembra abbia superato il vino nei consumi fuoricasa con il 20.6% contro il 18% di quelli che scelgono ancora vino). Il consumo di vino, nell’immaginario collettivo, si identifica sempre più spesso con un genere di vita snob, classista ed esclusivo.

La maggior parte degli addetti ai lavori non si è ancora resa conto che continuando così, finiremo quasi per azzerare i consumi di vino nel giro di un decennio. Come diceva qualcuno, abbiamo fatto l’errore di caricare il vino di significati e valori aggiunti diversi da quelli che dovrebbe avere, producendo una forma di soggezione e/o disagio da parte dell’uomo della strada, “non addetto ai lavori”, che si è via via allontanato dal vino prediligendo ovviamente altre forme di beveraggio. Non molto tempo fa, qualcuno parlava dell’Italia, a giusta ragione, come de “il paese del vino che non conosce il vino”, auspicando una formazione al corretto consumo del vino sin dall’età scolastica (in paesi come la Francia, il vino si studia a scuola). Un paradosso socio-culturale dalla inaudita gravità e che non ha praticamente eguali.

E su questo terreno, ciascuna istituzione, pubblica o privata, può e deve fare la sua parte, piccola o grande che sia. Urge, più che mai, un nuovo percorso culturale, genuino ed
efficace, che in un delicato mix di formazione ed informazione consenta un naturale e piacevole riavvicinamento di tutti, uomini e donne, “persone” e non “consumatori”, alla bevanda più antica, affascinante e salutare che la Storia ricordi. Sarà sicuramente un percorso lungo, difficoltoso e costoso.

Ed è una sfida appassionante a cui tutti noi, non possiamo sottrarci.

15 Commenti

  1. concordo in pieno, lucidissima analisi se non ci diamo una mossa, finiamo tutti a birra e coca cola:)

  2. io invece, nella mia ignoranza, non concordo più che tanto con diversi punti dell’analisi fatta…
    1. forse passare da 60 a 43 litri pro capite sarà stato un danno economicamente rilevante per il mercato del vino italiano, ma non dimentichiamo che 60 litri sono sempre 166 cc ogni santo giorno, ovvero quasi un tradizionale bicchiere di plastica pieno… quindi 1 litro a settimana pro capite DI MEDIA NAZIONALE.
    2. demonizzare una affermazione come “il consumo generale di vino diminuisce, ma aumenta la domanda di vino di qualità” penso sia un clamoroso autogol nei confronti della costante tensione tra mondo enologico produttivo di qualità e campagne di comunicazione nazionale volte a limitare il consumo di alcool in generale. Si cerca di lavorare tanto per incentivare un consumo consapevole che cercare di spingere la comunicazione verso la ripresa dei consumi è per me un nonsenso.
    3. se la diminuzione dei consumi del 30% è stata bilanciata da un proporzionale aumento di consumi di vino di qualità e quindi prezzo intorno al 40% superiore (dal bick di tavernello piuttosto che vino fatto in casa alla meno peggio verso bottiglie vqprd) il mercato complessivo praticamente non ne ha risentito.
    Si aggiunga poi che rispetto al ’90, oggi l’enoturismo forse è decuplicato e gli utili diretti più le ricadute sul territorio costiuiscono e costituiranno una stampella economica reale.
    4. giulia candidamente non vedo che c’è di male a “finire a birra”, tenendo soprattutto presente l’eccellente lavoro che stanno facendo innumerevoli mastri birrai italiani e microbirrifici, tra l’altro della zona… anzi spesso molti produttori di vino avrebbero da imparanrne a pacchi dall’integrità di molti colleghi brassicoli!

    Tutto questo, e concludo, per dire che, voler puntare solo sulla incentivazione al consumo, invece di diversificare e qualificare ulteriormente l’offerta, è quantomeno un atteggiamento miope.

    1. Hai ragione, ma qui mi pare si parla del fatto che il vino non è più percepito dalla gente comune come un momento di consumo quotidiano naturale.
      Mentre la birra, sia grazie ad abili campagna del passato, che ai mastri birrai di cui parli, lo ha sostituito

      1. Forse la cosa si può riassumere così
        Il vino ha perso il suo tono popolare e si presenta come prodotto di non facile approccio
        La birra è al tempo stesso popolare e, grazie ai birrifici artigianali, conquista anche una platea più esigente

        1. Non so fino a che punto sia una cosa negativa che il vino abbia perso quell’aura da fiasco impagliato ogni giorno sulle tavole dell’italiano medio.
          Sicuramente trovo che i canali che veicolano il pubblico verso un consumo consapevole del vino potrebbero far meglio, iniziando appunto a scrollarsi di dosso questi abiti da “loggia pseudo-culturale” e cercassero di trasmettere messaggi quali curiosità senza morbosità, idee invece che mode, passione sincera più che punteggi…

          1. Anche senza linguaggio tecnico e loggia pseudo culturale quando ho fatto degustare un buon vino ad un non bevitore solito, è rimasto colpito in maniera più che positiva, apprezzandolo felicemente e addirittura chiedendone un altro assaggio. Il punto è proprio la qualità del vino che purtroppo è quasi sempre molto scadente per quella fascia di prezzo popolare. Questo implica la mancata occasione di ripetersi a chi si avvicina al vino per la prima volta. La mancanza di rotondità del vino ma la spigolosità fa si che non ci sia una motivazione di piacevolezza a ricomprarlo. Ricordo un seminario con Luca Maroni che spiegava il suo primo approccio al vino che fu terribile proprio per la pessima qualità di quel vino che lo tenne lontano per molti anni. Poi dopo provando un Signor Vino si apri un modo diverso e affascinante al suo palato. Cito lui in quanto fu un’esperienza che mi fece capire molto sui non corretti giudizi sui vini in genere. Purtroppo molti non hanno la fortuna di avere qualcuno che possa consigliare e guidare sulla scelta di un Buon Vino ancora meglio se non costoso.

            Cito Maroni in quanto io bevo bene dall’eta di 4 anni dato che mio Nonno era uno degli utlimi mastri bottai qui ad Ischia

  3. Gianni, concordo in pieno con quello che dici, che poi conferma non solo quanto ho scritto ma anche la mia esperienza diretta. Il problema è proprio questo: a stappare una bottiglia di birra o Coca Cola (totalmente equiparabili per la loro facilità di “approccio”) siamo tutti bravi e non abbiamo remore o disagi o soggezioni culturali di alcun genere. Così come è altrettanto vero che tutte le volte che ho avuto modo di far assaggiare un buon vino ad un amico o conoscente neofita, nella maggior aprte dei casi mi sonom ritrovato poi, a poca distanza di tempo con nuovi amici enofili ed appassionati. Il punto è proprio questo, cerchiamo di capirlo in modo chiaro: l’uomo della strada apre una bottiglia di birra senza nemmeno pensarci. Di fronte ad uno scaffale vini, invece, prova soggezione, cerca l’appoggio, la guida, il supporto.Questa è la minchiata che è venuta fuori a causa della “wine snobbery”!

    1. Carmelo si concordo in pieno con te in particolare sul punto importante del mettere di fronte l’uomo della strada con lo scaffale dei vini. La soggezione nasce proprio dalla prima esperienza che è sempre negativa in quanto purtroppo in questo caso supermercati e simili ( escludendo enoteche che per fortuna anche a bassi costi hanno qualità e persone competenti ) scelgono vini talmente scadenti qualitativamente, che l’esperienza del bere e sinonimo di disgusto e quindi inibisce a continuare. Infatti la scelta della birra o di altre bevande alternative nasce da una realtà di piacevolezza superiore. Concludo dicendo che se il Popolo deve scegliere tra i minimi sceglie la Birra che è rispetto al minimo dei vini in circolazione ( riferendomi sempre allo scaffale del supermercato ) è di gran lunga superiore per piacevolezza.

    2. Attenzione con affermazioni del tipo “stappare una bottiglia di birra o Coca Cola (totalmente equiparabili per la loro facilità di “approccio”) siamo tutti bravi…”, mi lascerebbero pensare che non ha mai bevuto più di una Peroni, mentre il mondo delle birre è tanto complesso ed articolato quanto quello del vino!

      1. E’ vero: il mondo delle birre è complesso quanto quello del vino, ed altrettanto affascinante. Ma non mi risulta che l’uomo della strada vada pazzo per le trappiste o per le lambic. Infatti, di fronte ad uno scaffale ben fornito ed articolato di birre scatta lo stesso meccanismo del disagio culturale di cui abbiamo parlato finora per il vino: il normale fruitore opterà naturalmente per una classica Pils o Lager…

        1. Anche su questo sinceramente non concordo, e la differenza sta essenzialmente nel prezzo di acquisto del prodotto: è chiaro che un neofita sarà intimorito ad investire, magari 40 €, in un Amarone o un Barolo, che rischierebbe anche di non comprendere.
          Inoltre bisognerebbe sempre essere in 2 per finire una bottiglia (e concordarne l’acquisto).
          Invece 7 o 8 € per una birra interessante vanno via a cuore molto più leggero, e basta un minimo di curiosità per vincere il disagio culturale di cui sopra.
          Il formato poi incoraggia l’acquisto, visto che la si finisce anche da soli.
          Dovesse poi non piacere si è buttati via l’equivalente di meno di 2 pacchetti di sigarette…

  4. @ Carmelo : Anzitutto auguri per il tuo onomastico. Tutto è relativo! Siamo condizionati dal fatto che nell’immaginario collettivo dei giovani bere birra è “rock”, bere vino è “lento”. Ma vi siete mai chiesto la maggior parte dei giovani quale birra beve? Birre comuni, da mettere a fianco a quei vini che che voi stessi definite scadenti o al massimo la Ceres, ma la scelta in questo caso è dettata dal tenore alcolometrico di questa birra che è più alto e quindi ci si sballa prima. Da che il mondo è mondo, esiste la qualità che quasi sempre ha dei costi direttamente proporzionale al suo livello.
    Ma questo è valido sia per le birre che per i vini!!! Tu scrivi : ” l’uomo della strada apre una bottiglia di birra senza nemmeno pensarci” ma quale birra? La Peroni, non le birre d’abbazia o le trappiste o altre birre particolari anche artigianali, e ce ne sono di tantissimi tipi e per tantissime tasche, di fronte al cui scaffale chiunque andrebbe in soggezione! No, io credo che il successo della birra, tra i giovani, è dovuto soprattutto alla semplicità di beva e dal gusto brioso, semplice, effervescente da mettere in competizione non con tutti i vini, ma magari con dei vini dal gusto più semplice e spumantizzati. Assolutamente non è una questione di “wine snobbery”, almeno a mio modesto avviso.

    1. Grazie per gli auguri, non sapevo che fosse il mio onomastico. Del resto, non do molto peso alle ricorrenze in generale. Volevo ben chiarire una cosa. Quando parlo di vino il mio riferimento è di tipo generale, visto che il problema che ho rilevato non riguarda questo vino o quell’altro. Il problema di fondo che ho cercato di mettere a nudo è il rischio di perdere un importante “struttura” culturale del nostro paese (che con la Francia condivide la paternità del vino nel vecchio continente). Nel senso che il vino, proprio perchè bevanda di non facile approccio, implica un valido “supporto” culturale che in un paese come il nostro non esiste o se esiste è messo in atto da associazioni professionali che non sono capaci di “abbassarsi” ai livelli dovuti. Voglio ricordare anche che gli enoturisti in Italia sono si e no circa 5 milioni, ossia l’8% della popolazione. Ritengo sia grave che il paese del vino per eccellenza sia fatto per il 90% di gente che non ha idea il vino che cosa sia….

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