Montepugliano, un merlot sotto la Luna Rossa


9 novembre 2002

Può un vitigno internazionale diventare tipico ed esprimere il territorio? PerBacco certo che sì. Il merlot trebicchierato Planeta è ben diverso dall’altra versione sicula del Feudo Principi di Butera per non parlare di quello di Casale del Giglio alle porte de Roma. E adesso tante novità finalmente anche in Campania: mentre aspettiamo fiduciosi il merlot gotico di Mustilli ricordando che il Patrimo dei Feudi è vino dell’anno per Slow Food e Gambero Rosso, scopriamo che quel diavolo cilentano di Bruno De Conciliis ne ha combinata un’altra. Non pago del suo Merlanico, leggi merlot e aglianico, ha officiato il matrimonio tra le Cantine Montepugliano (via San Vito a Montecorvino Pugliano, tel.328.3412515) di Giulio Natella, Cesare Cavallo e Fernando Fiore, e l’antica vigna della società Luna Rossa di Gennaro di Maggio, Adriano D’Amato e della brava sommelier Tiziana Teodoro. Combination, i puristi del tipico storceranno il naso di fronte al nome, ma quando si è giovani in un territorio da poco affacciato al mondo del vino che conta, è giusto fare quel che si pensa, provare, inventare, smarcare l’interlocutore. Qui siamo nella Igt fresca fresca Colli di Salerno a ridosso della grassa piana del Sele, sull’altro versante della collina il cabernet sauvignon e ancora il merlot hanno fatto grande il Montevetrano, non c’è mai stata una tradizione vitivinicola di qualità sui vigneti autoctoni con cui dover fare i conti come in Irpinia, a Ischia, nel Vulture e in altre zone della regione. Così dopo due anni di legno e acciaio è uscito da una settimana un bicchiere da 7000 bottiglie, un vino che ricorda i boschi del parco regionale dei Picentini, al naso marcati sentori animali, dal pelo al cuoio, catrame, tabacco, assolutamente meridionale per struttura e potenza alcolica, abbastanza morbido. Sono sicuro che farà ben parlare di se in giro tra qualche tempo. Castellaccio Aglianico e Aurum Fiano, le Cantine Montepugliano giocano sul tipico ma non solo: nel Petalo bianco ci sono trebbiano e chardonnay, in quello rosso barbera e sangiovese, nel Cruccio troviamo montepulciano e aglianico mentre il rapporto tra qualità e prezzo delle loro 80.000 bottiglie dovrebbe far rivedere la miope politica rialzista di tante aziende campane. Così è possibile fare un vino tipico, esprimere l’anima del terroir, anche con un vitigno internazionale. E chi non sperimenta curioso peste lo colga.