Mozzarella di bufala, interviene Slow Food


 

di Nino Pascale*

Non c’è pace per la mozzarella. La notizia della contraffazione della mozzarella di bufala annacquata con latte vaccino, sta suscitando clamore e perplessità. Si succedono accuse, repliche, proposte e controrepliche. 

Per rendere meglio l’idea in che cosa consiste questa contraffazione, può essere utile l’esempio enologico: come se del vino recante in etichetta la denominazione Brunello di Montalcino DOCG fosse ottenuto con una percentuale del 20-30% di Lambrusco (o se preferite di Cabernet Sauvignon) addizionato al 70-80% di Sangiovese.

Ora, in attesa di sapere se i campioni incriminati sono il 3% del totale dei prelievi, come afferma il vicepresidente del Consorzio, oppure il 25% come ha affermato il Ministro delle Politiche Agricole Luca Zaia (si arriverà a fare chiarezza almeno sui dati, non dovrebbe essere difficile), è utile provare a fare un ragionamento che prescinda dalle differenti versioni fornite.

Che ci sia del latte vaccino in tante mozzarelle di bufala commercializzate è un sospetto che tra gli addetti ai lavori serpeggia da tempo. Che ci siano tanti produttori, certamente la maggior parte, che lavora onestamente è un dato di fatto indiscutibile. E’ qui arrivano le dolenti note.

Perché mai questi produttori onesti, che sono i primi a essere danneggiati (più dei consumatori) dai loro colleghi in cerca di scorciatoie, accettano di convivere nello stesso organismo dove risiedono stabilmente furbetti spregiudicati?

Il problema principale sta proprio nello strumento consortile quale organo di controllo, perché i consorzi più che soggetti atti alla tutela sono diventati organismi di “rappresentanza” , dove spesso perfino le regole non devono essere troppo rigide in modo da comprendere il maggior numero di aziende e rispettare equilibri complessivi. Un meccanismo perverso che, tra l’altro, porta a premiare le aziende di grandi dimensioni a scapito di quelle più piccole.

A mio parere, oggi c’è la necessità che i produttori bravi e scrupolosi (e non mi riferisco solo a quelli della filiera della mozzarella di bufala) si riapproprino con determinazione di questo strumento di tutela e di valorizzazione del lavoro svolto, e quando le condizioni “politiche” non consentono loro di far valere le ragioni della qualità e della territorialità delle produzioni, vale la pena fare da soli o addirittura creare consorzi alternativi a quelli “ufficiali” con disciplinari di produzione e controlli più rigorosi. Quello che invece trovo sconfortante è la proposta di nuove DOP sulla mozzarella a tutela di più piccole e più “virtuose”  zone di produzione, dove il marcio della contraffazione non sarebbe (ancora) arrivato. Si tratta dell’ennesimo segnale di provincialismo duro a morire, destinato una volta di più ad alimentare guerre tra poveri.

*Presidente
Slow Food Campania