Perché è più difficile il successo nella propria provincia?


Caro Luciano,
a poco più di una settimana di ritorno dal Vinitaly, dove abbiamo avuto grandissime soddisfazioni per i nostri vini,finalmente dopo cinque anni di sacrifici, duro lavoro e anche qualche errore, gli addetti ai lavori della ristorazione salernitana dormono sonni tranquilli. Abbiamo avuto richieste da tutto il mondo, Usa, Canada, Giappone, Svezia, Belgio, Svizzera, Germania, Brasile, abbiamo consolidato il mercato italiano, ma nella nostra regione tutto tace. Mi domando è mai possibile che nel mio territorio dove dovrei avere un mercato non dico predominante ma quasi, non siamo presenti da nessuna parte? E’ mai possibile che oggi con la nostra politica commerciale fatta di ridimensionamento dei prezzi, i nostri prodotti non interessano a nessuno? Mi domando allora i nostri prodotti non sono all’altezza dei raffinati palati dei ristoratori salernitani? Siamo male rappresentati?Qualcuno ci rema contro? Perché la ricerca di prodotti di fuori regione senza provare quello che sta intorno a noi? Forse diamo fastidio a qualcuno? Ad ogni mia domanda la risposta che mi viene data è sempre la stessa: non ci sono soldi, la gente non vuole rischiare etc..etc… Io penso va male a noi, va male anche ad altri. Invece no! Se guardo dietro l’angolo le altre cantine vendono, allora come mai? Forse è giusto dire: nessuno è profeta in patria,oppure il vino dei colli di Salerno ad eccezione del Montevetrano non riscuote i favori del pubblico locale o di qualcuno in particolare?
Cesare Cavallo, Cantine Montepugliano

Caro Cesare,
Nella mia guida ho definito, parafrasando il Conte Metternich sulla sua idea di Italia, la provincia di Salerno una mera espressione geografica perché, giusto per fare un esempio, il Cilento e la Valle dell’Irno non hanno nulla in comune, non più comunque di quel che unisce la Locride all’Alto Casertano. La Costiera Amalfitana è un mondo a se, l’Agro ruota su Napoli mentre solo la Piana e la Valle del Sele hanno effettivamente come punto di riferimento psicologico, economico e politico il capoluogo. Questo determina un ostacolo in più per chi vuole emergere nella propria attività perché a Salerno manca il senso dell’appartenenza: i vini di de Conciliis, Maffini e Rotolo si sono affermati perché Cilentani, non salernitani. Stesso discorso per Marisa Cuomo in Costa d’Amalfi. A questo handicap si aggiungono i difetti tipici della provincia meridionale: scarsa capacità di aggiornamento e senso diffuso di autereferenza, ritardo nel cogliere le novità di mercato, lentezza, commercio dai piccoli volumi e comunque basato più sui rapporti personali che sui prodotti, l’invidia per chi emerge mai visto come opportunità per il territorio e per le persone che lo abitano, scarsa capacità comunicativa. Questa la cornice in cui si è costretti a lavorare nel Mezzogiorno.
In campo enogastronomico sinora abbiamo solo due esempi di eccellenza veracemente ed esclusivamente salernitani: sono il ristorante Cenacolo e il vino Montevetrano. Per quanto riguarda il primo, ne siamo buoni testimoni io e il collega Scotti che eravamo gli unici a frequentarlo quando tornavamo da Napoli la sera nella seconda metà degli anni ’90, quel locale è stato vuoto per almeno due anni, poi si è riempito con la clientela di Potenza e di Napoli e solo alla fine il pubblico salernitano, notoriamente tra i più banali a tavola, lo ha scoperto e valorizzato. Ma quando aveva già superato il momento più critico nella città della movida e del congelato. Adesso è diventato il locale più prestigioso della città. L’altro punto di eccellenza è ovviamente il vino di Silvia Imparato, che si è affermato, proprio come sta iniziando a capitare a voi, prima fuori grazie alla grande capacità di comunicazione e alla esperienza di Silvia che ha tagliato i ponti con il capoluogo per andare a vivere a Roma ed è tornata quando per fare qualcosa capace di comunicare nel mercato globale, certo non a quello salernitano. Anche lei ha dovuto aspettare qualche anno per essere conosciuta e capita dove è nata e dove produce.
Entrambe le esperienze si sono affermate nel territorio per la ricaduta a pioggia del successo ottenuto altrove. Così, mi auguro, succederà anche a voi. Inutile dunque amareggiarsi più di tanto, la provincia ha dei meccanismi di autodifesa psicologici per piallare in continuazione ogni increspatura, ogni punta di eccellenza, o, più banalmente, ogni diversità. Salerno vive di piccoli traffici, la classe dirigente è spesso ottusa e sempre autoreferente, quasi tutti da un paio di decenni hanno la testa nel pallone come accade nelle favelas brasiliane, l’eccellenza è un difetto quasi mai un pregio.
Questo non deve portare alla conclusione rinunciataria del tipo <fermate il mondo, voglio scendere>. Bisogna invece avere chiare le difficoltà e costruire la strategia produttiva e commerciale per poterle superare. Nessuna rema contro qualcuno, ciascuno invece rema per se ed è chiaro che i ristoratori sono più disposti a provare un Taurasi, un Fiano e un Greco piuttosto che un vino dei colli di Salerno per quanto buono esso sia. Saranno loro a rincorrervi quando invece il vostro prodotto si sarà affermato. Adesso bisogna lavorare sul territorio, siete nel cuore del Parco Regionale dei Picentini, il più grande serbatoio di acqua di tutto il Sud, regno della biodiversità ad un tiro di schioppo dai templi di Paestum. Un discorso comunicativo deve partire dal terroir, con la nascita di una filiera nella quale si comprenda l’eccellenza, giocare in squadra, chiedere agli enti locali di creare eventi capaci di far attirare stampa italiana e straniera. Penso all’olio, alla nocciola, ai caseifici, ad alcuni ristoranti molto interessanti vicino la vostra azienda: La Tavernola a Battipaglia, Il Papavero a Eboli, il Riccio a Castiglione, la storica pizzeria Negri a Pontecagnano. Questa, mi sembra, è la strada percorsa da altri, il viatico che tocca anche a voi.