Perdacoddura 2005 Isola dei Nuraghi igt


PANE VINO di Gianfranco Manca
Uva: cannonau
Fascia di prezzo: da 10 a 15 euro franco cantina
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Qualcuno pensa che io non ami i vini estremi, ma non è così. Anzi, li adoro tutti, a patto che abbiano una coerenza logica e psichica senza facili trucchi. La tendenza biodinamica spesso è in questo decennio quel che la barrique è stato nel precedente, ossia una moda e, come tutte le mode, pericolosa quando attraversa il mondo dell’artigianato qual è il vino in Italia le cui dimensioni, anche nelle espressioni più grandi, non sono neanche lontanamente paragonibili al modello industriale. Dunque l’unico compromesso davvero non accettabile, nella scelta del vino, non è tanto sul discrimine stilistico quanto sulla coerenza e la serietà delle scelte maturate in tempi comprensibilmente lunghi.
Gianfranco Manca è un personaggio vero, fa vino da uve cannonau e bovale nel centro della Sardegna dalla metà degli anni ’80, anche se solo nel 2004 si è mosso in direzione dell’etichettatura. Questa è stata la novità burocratica ad un approccio estremamente naturale in cui l’agricoltura biologica è la pre-condizione. Quando assaggiando l’uva decide che è abbastanza dolce procede con la vendemmia, poi la vinificazione in acciaio e infine nel legno grande, vecchio una decina di anni, per circa 18 mesi. Questo è tutto. Niente rabbocchi, travasi o filtrazioni, con un po’ di gioco ossidativo che in queste situazioni somiglia molto allo sfizio di affacciarsi su un burrone senza protezione.
Ogni anno fa un vino diverso, gioca con il cannonau e il bovale, ma nella sua azienda, vasta circa 12 ettari, conta una trentina di varietà di uve. Per lui la vigna è una comunità di piante, c’è chi preferisce l’alberello e chi è da supportare con la spalliera, ma l’importante è che il caos regni sovrano giacché l’armonia naturale del disegno riesca ad emergere con il suo segno indistinguibile.
Lo avevo conosciuto alla prima edizione delle Piccole Vigne nell’ambito di Vitigno Italia nel 2007, l’altra sera mi si ripresenta una bottiglia delegata in una cena tra amici bevitori a Casa del Nonno 13: spunta dopo un Fattoria La Lecciaia 1991 popputo ma balsamico e fresco sangiovese, l’esile e straordinariamente delicato, sino alla dissoluzione della materia, nebbiolo ArPePe 1999, e gioca la sua partita in modo guappo grazie ai piatti che subito lo riconoscono e corrono verso la sua direzione per corteggiarlo. Cosa volete con un salsiccione nocerino o un paccaro al San Marzano o a un pezzo di maiale nero casertano su letto di patate se non un vino del Sud, esuberante, caldo, eccessivo, basilisco? Il naso andava e veniva di continuo su note di prugna e terragne, poi un giovane e viandante bevitore mi soccorre e riconosce la canfora con cui convivo al giornale per la scelta profumata di una mia collega. Canfora e resina, capisco poi parlando con Gianfranco, sicuramente espressione di un legno vissuto pur ancora generoso.
Ma perché scegliere questo vino? Semplice: perché è una espressione compiuta di quello che immaginiamo debba essere un cannonau da quando abbiamo imparato questa parola: alcolico, strutturato, fruttato e un po’ cotto dal sole, dolce di frutta e sapido di terra. Per capirci, come comprare il pesto a Genova oppure quello di una grande marca al supermercato. Antitesi alla banalizzazione subita, forse come pochi altri negli ultimi quindici anni, di questo vitigno.
Questo vino nel mio immaginario è la punta di un triangolo che tiro sino al Primitivo di Gioia del Colle e poi al Nero d’Avola della Valle di Noto.
Ecco allora un vino estremo, sia ideologico come papillarmente pensando, di cui vi consiglio smodato uso pasquale. Non lo avete? Beh, usate la Pasqua per andare a Nurri così lo bevete a Pasquetta.

Sede a Nurri, Via Trento
Tel.348.8241060
Email: [email protected]
Enologo: Gianfranco Manca
Bottiglie prodotte: 5.000
Ettari di vigneto: 4 di proprietà
Vitigni: cannonau, bovale