Piano di Montevergine Taurasi docg. Verticale 2000-1998 e 1997


FEUDI DI SAN GREGORIO
Uva: aglianico
Fascia di prezzo: edizioni fuori commercio
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

Dopo il Privilegio, considero il Piano di Montevergine il prodotto più interessante dei Feudi il cui Taurasi base, e poi il Selve dei Luoti, non mi hanno mai appassionato particolarmente perché li trovo poco profondi, come del resto il Serpico e il Patrimo (che eliminerei dalla gamma in quanto merlot). Infinite, come sapete, le batterie di bianchi che invece mi hanno affascinato nel corso degli anni, dai cru ai vini base sempre ammirevoli per affidabilità e continuità, due pregi indispensabili quando si producono diversi milioni di bottiglie. Ecco perchè quando Pietro Rispoli di Masseria della Nocciola a San Cipriano Picentino e Antonio Fumarola di Perlage mi hanno invitato alla serata di degustazione di tre annate di Piano di Montevergine ho aderito con molto piacere spinto dalla curiosità, anche se non vado mai alle verticali abbinate alle cene perchè in questi casi è necessario concentrarsi esclusivamente sul bicchiere senza essere distratti dal cibo, del resto bere senza mangiare è sicuramente un atteggiamento eccentrico oltre che poco educato in simili circostanze, non giustificato neanche dalla propria attività. Osservazione, questa, sicuramente d’antan vista che la maleducazione e la volgarità sono diventate un valore positivo in questo clima da basso impero in cui viviamo la decadenza dell’Occidente. Agli amici ristoratori suggerisco allora di muoversi mediando così: all’inizio della serata fare la degustazione aiutandosi solo con pane non speziato, poi affrontare l’eventuale cena lasciando i bicchieri per la discussione e la verifica degli abbinamenti possibili. Quanto ai piatti, è sempre necessario partire dalle caratteristiche del vino adattando ad esse le scelte, che comunque devono stare sempre una riga sotto perché il vino deve conservare il ruolo di protagonista in queste serate alle quali sarà bene invitare le persone adatte. Ricordo ancora la splendida zeppola di gamberi di Crapolla costruita nel 1999 da Alfonso Iaccarino in occasione della prima uscita ufficiale del Campanaro, uno di quei bianchi epici dell’azienda di cui parlavo prima. Tornando al Piano di Montevergine, il confronto è interessante anche per la doppia mano presente sotto la stessa etichetta perché il 2000 è di Riccardo Cotarella, il 1998 e il 1997 di Luigi Moio. Quanto poi alla direzione di marcia, direi sempre di procedere dalla più lontana alla più recente se la distanza temporale è marcata, mentre quando le annate sono così vicine è indifferente.
Annata 2000. Naso intenso e persistente, decisamente poco complesso, corretto ma non affascinante. In bocca l’ingresso è molto equilibrato, direi moderno nell’accezione degli anni ’90, non spigoloso, addirittura morbido in certi tratti per poi tornare abbastanza morbido, strutturato, intenso, abbastanza caldo, minerale, in buona forma anche se lascia la sensazione di non dover aspettare altro tempo per poterlo bere. Con il passare del tempo il naso è diventato più fruttato, quasi fresco, direi, per usare una espressione poco ufficiale, addirittura allegro. In bocca ha conservato la stessa baldanza confermando la propria autoreferenza quando ha incontrato il cibo perché è stato solo in grado di accompagnare il filetto di manzo con pepe rosa e rosmarino lasciandosi dimenticare alla fine dal sapore del piatto. Sul ragusano stagionato è scomparso mentre sul provolone del Monaco ha tenuto la battuta. In conclusione, in linea con l’annata, un vino corretto ma non indimenticabile, perfetto ma un po’ noioso come tutte le persone ripetitive. Direi 80/100.
Annata 1998. Un rosso problematico, forse in sofferenza per il passaggio di mano tra i due enologi, mai comunque andato in commercio. Da un lato aveva evidenti problemi olfattivi, la seconda bottiglia è andata leggermente meglio, dall’altro ha confermato la mia idiosincrasia per questa annata annunciata come straordinaria ma che, per usare l’espressione napoletana, ha fatto la fine delle botte a muro: ossia un po’ di rumore ma senza effetti. Smalto, rossetto, comunque odori sostanzialmente sgradevoli mentre in bocca è stato decisamente più accettabile, buona freschezza come caratteristica principe, poi l’alcol e infine la struttura. Per questo suo squilibrio è andato meglio con il piatto di carne e i due formaggi. Siamo su 65/100.
Annata 1997. Per i vini rossi si conferma l’annata ineguagliata in seguito dalle altre vendemmie. Forse in Irpinia la 2004 può dare grandi soddisfazioni perché l’andamento climatico ha contenuto l’andamento marmellatoso degli enologi mentre per il Vulture scrivo 2001. In ogni caso questo millesimo ha convinto tutti, anche alla mia tavola per la complessità olfattiva ben presente in equilibrio tra frutta e legno, il palato fresco e minerale, la struttura bilanciata con l’alcol, i tannini risolti ma non appiattiti, l’irruenza finale capace di affrontare il cibo senza sparire e al tempo stesso senza annullarlo, una sottile linea di confine che solo il bravo sommelier riesce a mantenere nei consigli. Il 1997 è ancora un vino fresco, il colore è rosso rubino intenso con sfumature granata, concentrato, senza alcun indice di cedimento in controluce: ha sicuramente più longevità del 2000 e regalerà molte soddisfazioni agli appassionati che hanno comprato la bottiglie conservandola. Direi che ha almeno altri cinque, sei anni di evoluzione prima di inziare il processo di scarnificazione. Lo manderei in finale a Vini Buoni d’Italia e perciò il mio voto è 85/100.

Sede a Sorbo Serpico. Località Cerza Grossa
Tel. 0825.9866, fax 0825.986230
Sito: http://www.feudi.it
Email: [email protected].
Enologo: Riccardo Cotarella
Bottiglie prodotte: 2.500.000
Ettari: 230 di proprietà
Vitigni: fiano, falanghina, greco, aglianico, piedirosso, merlot