Pietro Macellaro: il pasticcere-contadino. Dal Cilento il successo dell’artigianalità e dei tipici


di Antonella Petitti

PIAGGINE (SA). Mi sorprende solo ora, dopo aver fatto visita a Pietro Macellaro, quanto sia inconsueto il binomio pasticcere-terra. Come se i dolci non fossero fatti di quanto la natura generosamente regala. E’ scontato che lo chef parli di km0 e che produca gli ingredienti che utilizza, lo è molto meno se il principio lo si applica all’arte pasticcera.

Ad imporsi proprio come pasticcere-contadino in quest’ultima stagione invernale, è il giovane Pietro Macellaro (in Italia fino ai 50 si è sempre giovani, figuriamoci Pietro che di anni ne ha solo 34)!

Si è fatto forte di un percorso di studi importante, alla Boscolo Etoile Academy di Chioggia (VE), di esperienze intense e di una storia che lo ha accompagnato sempre.

Dopodiché, complice la sua compagna Raffaella Resca Ramponi dedita al marketing ed alla comunicazione, Pietro torna a Piaggine – nel profondissimo Cilento – e qui dà vita all’Azienda Agricola Pietro Macellaro.

A far dolci” – ci racconta – “ha cominciato mio nonno, si chiamava come me. Da lui ho imparato molto, poi ho fatto il mio percorso ed ho deciso di investire la mia professionalità ed il mio futuro nella mia terra d’origine”.

Una di quelle poche storie all’incontrario che affascinano dapprima per il coraggio, e poi per una determinazione non comune. Soprattutto se pensiamo al suo pilastro principale: coltivare gli ingredienti che utilizza per i suoi dolci.

E’ così che nel giro di un paio d’anni si è imposto al pubblico, ai gourmet, alla stampa specializzata e non. Tra tutto il grande successo è esploso coi suoi panettoni, tutti da raccontare, da assaggiare, da attendere.

Ma i migliori, sarà che rispecchiano al meglio l’idea vincente, sono quelli che declinano i loro gusti sui “tipici”: il panettone al cioccolato ed Aglianico, al cioccolato e fichi bianchi ed al cioccolato e peperoncino di Controne.

Mentre l’ingrediente “segreto” che sta rendendo diverse sue creazioni particolarmente originali è la melanzana, presente in un panettone ed anche in una confettura abbinata ai pistacchi di Bronte.

Il bilancio di questo primo Natale alle spalle è lusinghiero, oltre 3 mila panettoni, senza considerare gli altri prodotti.

All’inizio avevo un punto vendita nella piazza principale di Piaggine” – continua Pietro – “ma il lavoro di ricerca ed estrema qualità avviato non ha trovato nessun riscontro a livello locale. Tutto il prodotto va fuori, mi viene richiesto direttamente o viene distribuito. Principalmente è ben coperta la Campania, per il resto d’Italia ci affidiamo a corrieri veloci”.

Anche il fatto che lui sia “figlio” dei nuovi mezzi di comunicazione e di trasporto colpisce, si racconta tramite i social network e la rete, per poi farsi raggiungere da chi è disposto a fare tanta strada o raggiunge lui stesso, tramite i prodotti.

Così il ricordo delle “vecchie” pasticcerie di paese, anche in un piccolissimo centro del cuore cilentano, vengono sostituite da nuovi stili e nuove consuetudini.

Momentaneamente il suo laboratorio (grandissimo) è proprio a Piaggine, al primo piano di un palazzo qualsiasi. Nessuna romanticheria, almeno per ora, almeno fino a quando non trasferirà il grosso in campagna, in quella casa in cui ci sarà l’area degustazione ed un terrazzo su quel frutteto che lo aiuta a fare “cose” buone.

Ora che il lavoro dedicato ai panettoni è finito, si dedicherà allo straordinario alle torte, alle monoporzioni, alla pralineria, ai biscotti ed ai sottovetro.

Assolutamente degno di nota è il Pan Brigante, un lievitato frutto di un’antica ricetta – certamente rivisitata – che serviva per fare un pane dolce che potesse conservarsi a lungo, visto che era destinato ai briganti che si nascondevano tra le montagne di Piaggine.

Farina, zucchero, uova, burro di bufala, lievito, cioccolato, nocciola, mandorle e frutta secca. Un’esplosione di ricordi, riporta davvero indietro un morso di Pan Brigante, ad un tempo passato e collettivo. Davvero buono e ben presentato.

Ed ora Pietro e Raffaella pensano già alla Pasqua (che è più vicina di quanto si immagini) e mente piomba sulle colombe.

Senz’altro faremo colombe classiche, aromatizzate ai canditi all’arancio, del nostro frutteto. Poi vorrei concentrarmi su un paio di varianti”, commenta il pasticcere-contadino.

E se è data per certa la produzione di colombe con fichi e cioccolato per il suo forte simbolo cilentano, l’altro gusto temporeggia a confessarlo. Ma gli strappo una risata quando cito le sua amate melanzane, “sono una sorta di portafortuna” – gli ricordo – “dopo due gusti abbastanza classici certamente oserò, ma non voglio ancora svelarlo” – risponde!

Non ci resta che attendere, per ora, con ancora in casa l’ultimo suo panettone!

Un commento

  1. A natale ho provato il suo panettone classico e devo dire che non ha emozionato più di tanto poiché sembrava di mangiare un pandoro con un sapore di vaniglia troppo spinto.L uvetta poi di produzione propria era di formato extralarge ma neutra al gusto.Eccezionali invece i biscotti al burro di bufala con cacao e nocciole,davvero squisiti.Ritornando si panettoni,il fatto che tanti pasticcieri campani si siano messi a produrli sta diventando una moda a seguito dei successi nel campo di un paio di maestri campani.Discorso a parte per i prezzi troppo alti di tante pasticcerie artigianali.

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