Populismo e popolare, una lezione da Slow Food


Ove si discetta anche di idealtipo gastronomico e della differenza fra cibo e vino in Italia.

Sabato sono stato invitato in amicizia a Vallesaccarda, siamo ai confini fra Campania e Puglia, in provincia di Avellino, dalla condotta di Baronia di Vico diretta da Franco Archidiacono, una delle migliori dieci a livello nazionale per iniziative premiate lo scorso anno da Bra (www.condottabaroniadivico.it). Qualche mese fa ho partecipato alla nascita della nuova condotta del Volturno. In entrambi i casi ho potuto verificare l’enorme energia culturale di cui dispone Slow Food su cui adesso è di moda in alcuni ambienti ironizzare, che in Campania ha avuto un travaglio tale che avrebbe portato alla chiusura di qualsiasi altra associazione. Invece in queste due belle occasioni ho toccato con mano la vitalità di queste comunità e, soprattutto, le loro grandi potenzialità di sviluppo produttivo e turistico.Nel Centro Sociale di Vallesaccarda, costruito dai sindacati con propri fondi dopo il terremoto del 1980, è stato organizzata una sorta di gara del soffritto nell’ambito della festa del maiale, competizione alla quale hanno partecipato ben dodici cucine di altrettanti comuni dell’Alta Irpinia. Dirò per inciso che qui questa ricetta è molto diversa da quella napoletana perché non si usano le animelle (ci possono però essere) bensì la carne del maiale: sicché le variazioni sul tema sono infinite e vanno appunto da piccoli pezzi sfritti alla preparazione simile allo spezzatino, quasi sempre ci sono i peperoni sottaceto, le pepaine, talvolta le patate, le foglie di alloro e altre spezie. Quasi duecento persone, presenti altre due condotte, le pugliesi Castel del Monte e Alberobello, il rapporto con la scuola locale attraverso il progetto <Orto in condotta>, hotellerie di plastica ma ragionata con il marchietto, tutti i partecipanti avevano la maglietta della manifestazione, la presenza di camperisti, e poi dell’istituto alberghiero di Avellino, della dinamica Associazione Cuochi irpina, una premiazione semplice e allegra, una festa alla quale erano presenti alcuni produttori di olio (Hirpus, San Comaio), miele e salumi, vino sfuso fornito da Antico Borgo e pani da favola. Insomma, per farla breve, la sapienza della tecnica popolare riassunta attraverso il coinvolgimento delle persone oltre che dei tecnici (c’era anche Carmine Fischetti dell’Oasis, da sempre socio Slow), ed espressa in modo tale da poter parlare ad un circuito nazionale.Questa è la linfa vitale da cui Slow Food continua a trarre nutrimento abbondante. Attività che segna molto bene la necessaria distinzione fra populismo e popolare. Il primo è niente altro che inseguire con l’obiettivo del facile consenso i bassi istinti maturati da una comunità in un determinato momento storico, la paura per gli immigrati, il fast food americano, il fanatismo religioso, non voler pagare le tasse, in cui la misura del successo è la semplice somma degli individui stanchi di appartenere ad una comunità, di fare squadra, sfiduciati dalla possibilità di cambiare le cose. Un fenomeno da sempre esistito nelle comunità urbane, è la loro malattia, e che ha avuto la sua prima espressione moderna con il generale Georges Boulanger a Parigi con cui è nato il termine. Oggi tutta la politica italiana è populista, lo è Berlusconi con le sue promesse fanfarone, Veltroni con il suo giovanilismo di facciata, entrambi fenomeni televisivi, e via proseguendo con quasi tutti gli autori di questo estenuante talk show a cui stiamo assistendo impotenti da quindici anni.Popolare è invece indicazione della sapienza di un popolo, dell’individuo parte di un insieme, che trova espressione organizzata e consapevole attraverso diverse forme espressive, non ultime l’associazionismo, il volontariato. In questo caso si colgono gli umori e la cultura più nobile di una comunità, si cerca di dare ad essa una reificazione definita e incisiva, capace di proporsi anche al di fuori di se stessa oltre che di affrontare la vita nella buona come nella cattiva sorte.Nel Mezzogiorno Slow Food è stata l’unica organizzazione capace di dare una visione d’insieme ai produttori della filiera agroalimentare, per questo rappresenta ormai un bene comune che va tutelato a prescindere.Il mio sabato in Irpinia, passato tra l’altro in compagnia di antichi Taurasi di cui abbiamo già dato conto su questo sito, ha testimoniato la incisiva forza di penetrazione di Slow, forse l’ultima fucina di dirigenti popolari selezionata sul campo e non negli studi tv. Mi ha anche stupito positivamente come con la stessa materia prima ogni comunità, benché distante appena qualche chilometro, riesca ad elaborare una propria ricetta cru, e come sia questa la diversità da tutelare per poter rendere appettibile quel territorio, qualsiasi territorio, non certo l’eventuale ricetta del soffritto magari introdotta in una catena fast food che ne diventa il suo opposto. In questa gara, uno dei valori era costituito dalla aderenza alla tradizione, un idealtipo weberiano che per il cibo, a differenza del vino nato appena venti anni fa, è molto facile individuare quando sei italiano. E difatti l’idealtipo del vino delle comunità contadine è quello acetoso, tannico, magari il rosso servito freddo, senza complessità, per fortuna in via di estinzione perché la differenza è proprio questa: l’idealtipo di una ricetta come il soffritto si è formato appena appena da qualche secolo, e prevede alcuni canoni precisi dettati dalla presenza della materia prima e dei metodi classici della sua elaborazione. Questo idealtipo ha sicuramente la possibilità di essere esportato proprio perché ha una sua configurazione ben precisa e formata, poi può piacere o meno. Il vino in Italia è invece sostanzialmente nato dopo la crisi del metanolo e la quasi totalità dei territori non ha un idealtipo di riferimento, lo sta formando adesso, mentre ne scriviamo e ne parliamo. In base alla mia esperienza, ritengono che qualcosa di simile nel Sud esista solo per il Gaglioppo a Cirò, l’Aglianico nel Vulture e il Greco di Tufo in Campania, grazie alla tradizione nata con Di Marzo nel 1827 e poi rilanciata con Mastroberardino e grazie alla sostanziale compatezza del territorio di vocazione in cui lo zolfo del sottosuolo e dei terreni rappresenta un marker inconfodibile e riconoscibile anche per chi non ha fatto corsi. Un idealtipo gastronomico, appunto. In questi anni Slow Food ha messo insieme gran parte di questi cibi e queste ricette, ha organizzato la gente per farli conoscere, rappresenta spesso l’unico punto di riferimento per le piccole comunità i cui amministratori sono impegnati a passare da un partito all’altro e a lottare per la conquista delle Comunità Montane e delle Asl. E che spesso riscoprono i prodotti tipici solo quando ci sono fondi europei da spendere. Ecco perché la splendida organizzazione di Vallesaccarda vale centinaia di depliant e decine di convegni in cui si fanno solo pippe mentali. La pratica resta sempre la forma principale di conoscenza. Ops, ho citato Mao Zedong.

Ed ecco i risultati per chi ha la curiosità di vedere come è finita

Giuria tecnica

Numero
Comunità
Punteggior

1
Frigento
123

2
Trevicor
105

3
Ariano Irpino
104

4
Carife
108

5
Taurasi
122

6
Teora
114

7
Zungoli
108

8
Grottaminarda
112

9
Vallesaccarda
110

10
San Nicola Baronia
106

11
Vallata
113

12
Scampitella
112

Il miglior soffritto di maiale anno 2008 è della Comunità di FRIGENTO

Giuria popolare

Numero
Comunità
Punteggio

1
Frigento
738

2
Trevico
705

3
Ariano Irpino
699

4
Carife
673

5
Taurasi
489

6
Teora
896

7
Zungoli
732

8
Grottaminarda
502

9
Vallesaccarda
590

10
San Nicola Baronia
687

11
Vallata
554

12
Scampitella
528

Premio alla critica popolare va alla Comunità di TEORA