Pratoasciutto 2003 Monferrato doc


Abbiamo avuto più volte modo di occuparci di vini fatti da campani fuori dalla Campania, spesso veri protagonisti dello star system vitivinicolo. Per la verità, parlando di Guido Zampaglione, avremmo potuto scegliere anche il magnifico Fiano dell’azienda di famiglia Il Tufiello in quel di Calitri, uva spazzata dal vento che soffia sui parchi eolici di quelle colline elfico messaggere di Puglia. Lo aspettiamo invece ancora in evoluzione e preferiamo parlare un po’ del suo Dolcetto, bicchiere piemontese paragonabile in qualche modo al Piedirosso per le sue caratteristiche di immediatezza e pronta beva, senza tanti ghirigori. Dopo la Tenaglia, altri vini piemontesi declinati in napoletano. Prima della rivoluzione vitivinicola degli anni Novanta, nelle Langhe si vendeva Dolcetto e per ogni partita consistente si regalava una bottiglia di Barolo sempre difficile da vendere, poi le parti si sono invertite, a bere il Dolcetto per molti anni è stato solo Sasà Toriello mentre il gusto degli appassionati evolveva verso vini prepotenti e di struttura, da lungo invecchiare. Sarà il caldo, la voglia di novità, l’alleggerimento della cucina dell’alta ristorazione, siamo di nuovo ai bianchi, spuntano i rosati e tutti siamo un po’ tornati per gran parte dell’anno a rossi più immediati. Guido, nella sua tenuta di 32 ettari nel Monferrato a cui è approdato dopo aver studiato e lavorato in vigna a Piacenza, ha preferito un approccio antico al Dolcetto, ossia una vinificazione contadina a lunga, lunghissima macerazione, per estarre bene i tannini e cercare di fare un prodotto di giusto peso, un po’ come ha sempre fatto il barolista Roddolo in quel di Monforte mai dimentico di questa uva e capace di trasformarla in un rosso giustamente importante ma non asfissiante. Il Pratoasciutto 2003 sarà protagonista di una delle degustazioni previste nel Blog Café della manifestazione Squisito prevista a San Patrignano (www.squisito.org), grande iniziativa enogastronomica organizzata per sostenere Sanpa. Un rosso in cui alcol, estratto e tannini sono in giusto equilibrio, dal frutto coinvolgente adagiato mollemente sulle spezie del legno in cui ha fermentato e si è affinato, un Dolcetto dunque anche da conservare per scoprirne l’evoluzione dei terziari, da abbinare ad arrosti di carne, la vera robiola delle Langhe stagionata, a qualche pecorino. Lo trovate sulla tavola dell’Oasis a Vallesaccarda o del Melograno a Ischia, naturalmente romano all’Hilton da Heinz e al Pagliaccio da Genovese e all’Enoteca Partenopea a Fuorigrotta, la madre di tutte le bevute.