Quando il vino si degusta nel giornale


di Mario Vella
da www.campaniasuweb.it
Luciano Pignataro è stato nominato come giornalista italiano dell’anno al prestigioso Oscar del Vino 2006, la manifestazione organizzata da Bibenda e Ais Roma

Esperto della viticoltura del Mezzogiorno, Luciano Pignataro è il primo giornalista napoletano ad entrare nella triade finale dell’Oscar del Vino 2006, il premio più importante dell’anno per chi è impegnato a vario titolo nella divulgazione e nella comunicazione della filiera agricolta di qualità. Una nomination raggiunta grazie al merito di aver impostato correttamente il rapporto tra giornalista, critico e comunicatore del vino: “Sono tre mestieri simili ma molto diversi perché il primo racconta il vino e i produttori, il secondo valuta scientificamente il prodotto, il terzo lo deve promuovere – precisa Pignataro – Purtroppo in Italia negli anni ’90 queste tre figure si sono intersecate creando non poca confusione di ruoli, penalizzando così soprattutto gli appassionati e i consumatori. In questi anni poi ho insistito con grande caparbietà sui vini del Sud – continua il giornalista – mettendo sempre avanti il nostro territorio grazie a direttori come Paolo Graldi, che ha imposto sul giornale il tema in tempi davvero non sospetti (parlo del 1995!), e di Mario Orfeo che mi hanno dato la possibilità di esprimermi sul Mattino. Sono stato fortunato anche perché mentre scrivevo le cose sono cambiate profondamente: da 30 a 260 aziende, da 300 a 1600 vini, da 5 a 16 doc, da zero a tre docg”.

Finora nessun giornalista napoletano era stato mai nominato all’Oscar del Vino. Napoli si sta forse scrollando del marchio di città di sola pizza e sfogliatella?
Il problema è che la percezione del mondo agricolo tra i giornalisti è molto più arretrata di quella dei lettori. La maggior parte dei giovani sono affascinati dalla cronaca e dello sport, ma oggi per fare strada in questa professione è necessario specializzarsi, diventare buoni esperti perché non ci sarà mai più la possibilità di entrare in un giornale in maniera generalista come accadeva a noi. La cosa straordinaria è che l’agricoltura e la viticoltura fanno reddito per tantissime famiglie e immagine per molti territori, ma sono ancora pochi giovani che hanno capito l’importanza di specializzarsi per andare avanti. Molti preferiscono fare gli schiavi a cottimo fino a 40 anni sui campetti di calcio di serie C e di andare a trasmissioni tv per “doparsi” psicologicamente. Per fortuna le cose stanno finalmente cambiando: colleghi giovani come Maristella Di Martino, Francesco Aiello, Paolo De Cristoforo, Concita De Luca, Pasquale Carlo, Diletta De Sio rappresentano ormai una certezza in Campania.

Che ruolo ha avuto la politica nell’economia vitivinicola campana?
Negli ultimi 25 anni la scena campana è stata dominata da due personaggi: Bassolino, che ha sublimato il “napolicentrismo”, e De Mita, col suo deciso insistere nel riequilibrare il rapporto fra aree costiere e zone interne; da un lato la metropoli come motore e scena dello sviluppo, dall’altro l’industria come vera risposta all’arretratezza. I fatti dimostrano invece che Irpinia e Sannio avrebbero dovuto seguire l’Abruzzo e credere unicamente nella risorsa ambientale e rurale. L’esempio del Cilento è illuminante: sul mercato globale dei territori ha di gran lunga superato tutti nel Mezzogiorno. Irpinia e Sannio stanno recuperando grazie al vino, non perché hanno promosso il terroir in quanto tale: non a caso sono le meno infrastrutturate nella ricettività. Alcune persone come Vito Puglia, dirigente nazionale Slow Food, questi ragionamenti li hanno sviluppati proprio quando Petrini partì con Arcigola nelle Langhe. Diciamola tutta: il ceto politico e intellettuale che ha governato la Regione ha sempre considerato il mangiare e il bere atti residuali e poco importanti. Hanno pesato, certo, le gravi emergenze, terremoto e criminalità organizzata. Chi poteva immaginare che un ettaro a Taurasi vale più di una casa quando appena 20 anni fa si abbandonava la terra?

Marisa Cuomo è l’unica campana nominata all’Oscar del Vino col suo Costa d’Amalfi Furore Bianco Fiorduva 2003. Questa assenza di aziende campane è dovuta alla qualità del prodotto o all’incapacità di venderlo?
No, è un caso di questa edizione. I vini della Campania sono ipermedagliati ovunque. La Regione è molto trendy. Poi voglio ricordare che tra le nomination c’è anche Bruno De Conciliis nella categoria enologi.

Le continue differenze tra le varie guide di vino sono dovute alla professionalità dei degustatori o anche alle “conoscenze” con le aziende?
In fondo le differenze tra le guide non sono affatto poi così profonde. Anzi, credo che il limite “politico” della critica enologica sia una certa uniformità nel cercare rossi concentrati, ipermuscolosi, fruttati, di immediata piacevolezza. Oggi c’è un ripensamento, tornano di moda i rosati, si riscopre il moscato e lo stile conservatore con l’uso delle botti grandi.