Radici del Sud: l’estate 2012 con i migliori rosati pugliesi


 

Francesca Tamburello ed Enrico Malgi

di Enrico Malgi

Tutti i colori del rosa, le sue molteplici tonalità e le sfumature che ammaliano e conquistano da sempre: delicato, vivo, pesca, corallo, profondo, scuro, shocking, cipolla, cipria, salmone, confetto e, riferito al vino, tenue, cerasuolo e chiaretto. Questo cromatismo, che deriva dall’unione del rosso col bianco, esercita un’attrazione irresistibile sulle attività umane. Come non ricordarsi, per esempio, dei famosi tailleurs rosa che vestivano le giovani signore degli anni ’60 e ’70 con il completo di scarpe e borsa d’identico colore? Oppure la serie dei film di Blake Edwards ispirati alla pantera rosa e interpretati dal mitico Peter Sellers? E poi ancora la notissima canzone francese “la vie en rose” di Edith Piaf? E proprio una vita contrassegnata da una connotazione rosea è sinonimo di benessere e felicità. Senza dimenticare la maglia rosa del giro ciclistico d’Italia; il monte Rosa: le Dolomiti di Brenta, che all’alba e al tramonto si tingono di rosa; la stessa rosa di colore rosa; il quotidiano “La Gazzetta dello Sport” che proprio per il suo particolare colore è denominato “la rosea”; il vitigno autoctono trentino chiamato Moscato rosa, e così via.

Giuria degustatori nazionale

A Borgo Egnazia di Savelletri di Fasano, nell’ambito della recente manifestazione “Radici del sud”, si è voluto dare ampio spazio anche ai vini rosé. Il rosato, quindi, è un vino godibile e molto apprezzato da buona parte dei consumatori per la sua versatilità, che lo porta ad essere l’ideale compagno di molte portate: pasta e pesce anche con pomodoro, verdure, carne bianca, affettati vari, formaggi freschi e a pasta filata e, naturalmente, può essere bevuto anche come aperitivo. Le due qualificate e autonome commissioni, internazionale e nazionale, hanno potuto degustare venticinque bottiglie di questa tipologia appartenenti alla regione Puglia, che da sempre rappresenta un territorio molto vocato e un punto di riferimento per tutto il comparto vitivinicolo. I vitigni impiegati nella produzione di questi vini, quasi tutti autoctoni, sono stati: Bombino nero, Nero di Troia, Montepulciano, Malvasia Nera, Primitivo e Negroamaro. Devo confessare che la mia preferenza va proprio a quest’ultima varietà ampelografica.

Borgo Egnazia

Dopo attento e scrupoloso esame, il panel dei degustatori ha sancito la vittoria dei due migliori vini. Per la giuria internazionale al primo posto si è classificato il rosato Metiusco 2011 dell’azienda Palamà Vini del Salento, Negroamaro in purezza e al secondo posto il Pungirosa 2011 dell’azienda Rivera, confezionato con Bombino nero al 100%. Per la giuria nazionale è risultato vincitore il Mjere 2011 dell’azienda Calò Michele & Figli, con Negroamaro in purezza e secondo classificato il Giroflè 2011 della Casa vinicola Azienda Monaci con solo Negroamaro. Bisogna sottolineare, tuttavia, la caratura medio-alta di tutti i vini presentati in concorso, proprio a testimonianza della loro eccellente qualità.

Giuria degustatori internazionale

Ecco qui le mie personali impressioni sulle note organolettiche di ognuno di questi vini degustati.

Cominciamo col Metiusco. Un vino molto profumato e gradevole, contrassegnato da un colore rosa vivace e brillante. Fragranze fruttate di sottobosco ed amarene mature assalgono le narici. Mentre l’impatto in bocca è piacevole e fresco e il finale è abbastanza persistente e leggermente amarognolo.

Il Pungirosa è colorato di rosa cipria e con nuance delicate di visciola e piccoli frutti rossi. Il gusto è netto, succoso, fresco, intenso, sapido e con delineati sentori di fragola e lampone. Chiude con una piacevole sensazione di pulizia sul palato.

Il Mjere è vivace ed attraente nel suo bel colore corallo. I profumi sono molto decisi ed intensi, con spiccate note di frutta rossa, come la ciliegia e l’amarena. In bocca è gradevole, fruttato ed erbaceo. L’ottima acidità rinfresca il palato. Il finale è ricco e persistente.

Il Giroflè riflette il territorio di appartenenza e la varietà del Negroamaro tout court. Il colore è un cerasuolo luminoso. Il bouquet è ampio, con evidenti note floreali di petali di rosa e viola, e segnato poi da sfumature fruttate di ciliegia e fragola. In bocca è morbido, fresco e godibile. Chiude con spiccati aromi di melagrano.

Enrico Malgi

8 Commenti

  1. Caro Enrico,hai centrato tutta la leggiadria della tipologia “rosè”,sulla quale ancora ci sono delle incomprensibili riserve.Evidentemente la qualità di alcuni vitigni,uno per tutti il Negroamaro,sono ancora tutte da svelare.Cercherò ,per quanto mi riguarda ,di far sì che ci sia maggiore approfondimento e ciò non può non avere lo spunto dalla produzione pugliese, che le tue parole hanno messo nella giusta prospettiva e considerazioneo.Ne riparleremo presto per dare maggiore spazio alla godibilità di questi vini,ancora piuttosto sconosciuti ai più.
    Un abbraccio

  2. Grazie Francesca, hai colto nel segno. In Italia, purtroppo, questa tipologia è poco apprezzata a differenza dei rosé francesi, anche quelli di non eccelsa qualità. E la stessa penetrazione sui mercati esteri è alquanto risibile attestandosi intorno al 4%. Eppure abbiamo territori molto vocati come la Puglia, l’Abruzzo, il Gardesano e l’Alto Adoge che esprimono vini di eccellenza, con l’impiego di vitigni ad hoc. In Francia, dove è stato inventato il rosé, esiste un’altra cultura e più attenzione verso questi vini. Anche se le due zone più vocate, cioè la Provenza e la Còte du Rhòne, con i vitigni di Grenache, Cinsault, Carignan, Syrah e Mourvedre in particolare, non sempre producono vini di qualità, a parte l’inarrivabile Tavel. Però sono vini più pubblicizzati e più apprezzati soprattutto all’estero.
    Cosa ci vuoi fare, è sempre la stessa storia…
    A proposito, hai notato anche la mia camicia rosa!
    Un forte abbraccio.

    1. Vorrei fare alcune precisazioni : è vero che i rosati di Provenza e valle del Rodano meridionale non sono sempre di grandissima qualità ma questo mi sembra normale visto il gran numero dei vini e le quantità prodotte (in Provenza circa il 75 % della produzione è rappresentata da rosè). Inoltre bisogna considerare il fatto che i vini di alto livello sono di gran lunga più numerosi e di qualità spesso inarrivabile rispetto ai nostri (e non solo Tavel ! ). Bisogna poi ammettere che in Italia rosati veramente eccellenti non ce ne sono poi così tanti……Ritengo quindi che è vero che i rosè francesi sono avvantaggiati da una campagna di marketing superiore ma non bisogna pensare che la differenza sia solo qui, c’è anche un grande divario qualitativo ! Dobbiamo essere umili, riconoscerlo, cercare di migliorare e credere nei nostri prodotti.
      Le faccio i complimenti per l’articolo, la passione e la convinzione che il rosè è una tipologia validissima, che può (e deve !) ancora crescere e darci molte soddisfazioni.

      P.S. : ai vitigni aggiungerei il Tibouren ( provi i Cotes de provence rosè di Clos Cibonne)

  3. Caro sig. F (perché non si firma per intero?) il suo intervento è proprio quello che mi stuzzica di più, perchè suppongo che lei sia esperto in questa materia.
    Se è così vorrà sicuramente convenire con me che i rosé francesi sono di gran lunga sovravvalutati, specialmente quelli della Provenza, i quali, detto per inciso, sono un’invenzione piuttosto recente. E poi la maggioranza di essi sono spesso piatti ed insignificanti, perché hanno una scarsa acidità. Per quanto riguarda il Clos Cibonne della famiglia Roux è un ottimo vino senz’altro ricavato dal vitigno Tibouren di provenienza mesopotamica, che è stato impiantato sul territorio al posto del Mourvedre alcuni anni fa. Le due Cuvée Vignerettes e Prestige sono tra le migliori della tipologia territoriale, anche se personalmente preferisco il Tavel e anche il Cotes de Provence del Domaine de St.Baillon.
    Per quanto concerne la produzione di vini rosati italiani, sono convinto che abbiamo a disposizione ottime varietà autoctone come il Negroamaro, il Montepulciano, il Groppello, il Lagrein Kretzen ed altre, che possono stare alla pari con i vitigni provenzali.
    Saluti

    1. Sono d’accordo con lei in molte cose, però parlando di rosati di Provenza ritengo che bisogna essere un po’ più precisi e puntualizzare diversi aspetti :
      ci riferiamo ad un comparto vinicolo enorme (come ho già accennato), la quantità di etichette prodotte credo che sia pari ad una buona fetta dell’intera produzione italiana(purtroppo non ho dati precisi !), quindi anche se una parte dei vini ci delude (credo che in una così grande quantità sia normale per un esperto) le etichette valide sono sempre numerosissime. I cru classé raramente deludono, ho parlato di Clos Cibonne per citare un produttore che crede molto nel tibouren, ma ci sono tanti altri vini validi (in questo momento mi vengono in mente almeno una ventina di produttori ma non voglio fare elenchi, sono monotoni e c’è sempre il rischio di dimenticare qualcuno!) . Quanto detto vale per l’AOC Cotes de Provence, se consideriamo denominazioni della stessa regione più piccole come Bandol o la minuscola Palette la qualità media sale enormemente !
      In conclusione ritengo che i rosati francesi (provenzali in particolare) non siano tanto sopravvalutati, ma piuttosto più diffusi e publicizzati, riconoscendo comunque che la Provenza ha saputo creare un suo stile preciso e che ci sono diversi prodotti molto validi.
      Torniamo ora agli Italiani (che è la cosa più importante !) : qui ci troviamo molto d’accordo, ritengo che le potenzialità ci siano, il vero problema è che non ci abbiamo mai creduto fino in fondo…..
      E’ arrivato il momento di cominciare a produrre rosati in maniera seria, puntando alla qualità e soprattutto dando a questi vini lo spazio che si meritano (quanti ottimi abbinamenti mi vengono in mente, specialmente con la cucina del Sud !!!!)
      E’ stato un piacere scambiare qualche opinione con lei
      Saluti

  4. Caro sig. F, anche per me è gratificante scambiare queste impressioni con una persona qualificata e compente come lei. E, d’altra parte, la cosa che più apprezzo in questi scambi di opinioni,è che lei mantiene un profilo basso e non si arroga il diritto di saperne più di me o di non rispettare il mio giudizio, cosa che, purtroppo, capita sovente. Io affermo sempre che tutti le opinioni sono da rispettare anche se non condivisibili.
    Detto questo, anch’io sono da’ccordo con lei che la produzione dei rosé francesi è immensamente superiore a quelli italiani. D’altra parte, come affermavo prima, sono stati loro ad inventare questa tipologia di vino e molte altre cose che poi noi Italiani abbiamo copiato e poi continuiamo ad importare i loro vititgni, come lei ben sa. Mentre, di contro, le nostre varietà ampelografiche quasi nessuno se li fila, compreso il Nuovo Mondo. Per puro paradosso bisogna sottolineare che i vitigni provenzali, così come quasi tutti i vitigni francesi, sono stati impiantati dai Romani, che arrivarono qui nel 125 a.C. (vedi anche, per fare un esempio, il territorio di Baye e Bourg sulla sponda orientale della Gironda nel Bordolese, di fronte alla’Haut Médoc) e prima ancora dai Fenici, i quali fondarono la città di Marsiglia.
    Lei cita, poi, Bandol e Palette che sono senz’altro delle ottime Aoc. La prima, però, è più rinomata per i suoi vini rossi a base di Mourvedre, già famosi nel XVI e XVII e apprezzati da Luigi XV, il quale affermava che questi vini giovavano al suo corpo e al suo spirito. E anche Palette esprime il meglio con i vini rossi. Anzi, qui insistono soltanto due aziende che si fregiano di questo marchio, cioè Chateau Cremant e Chateau Simon. Meglio ancora direi sono i bianchi di Cassis e di Bellet.
    Si potrebbe continuare all’infinito, ma penso che basti così. Se vuole, mi ritenga a disposizione per altri intressanti scambi.
    La saluto molto cordialmente.

  5. Ciao Beniamino, anche per me è stato piacevole e gratificante conoscerti.
    Vedi che la settimana prossima sarò nuovamente un Puglia, dalle parti di Gallipoli. Cerchiamo di vederci se è possibile, va bene?
    Un forte abbraccio.

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