Riccardo Cotarella: basta con stregoni e sciamani in vigna


Riccardo Cotarella

Riccardo Cotarella

Riccardo Cotarella e il Vinitaly. Una fastidiosa indisposizione lo terrà lontano per la prima volta da Verona. Nulla di serio, per fortuna. Per il Mattino mi ha rilasciato questa intervista che riportiamo sul sito on line e qui in alcuni stralci.

Non siamo al quinquennio d’oro 1995-2000, ma è da tempo che il vino italiano non si presenta così in forma al Vinitaly. Ne è convinto Riccardo Cotarella, presidente di Assoenologi Italiani oltre che Presidente dell’Union International des Oenologues, la Federazione mondiale che ha sede a Parigi e rappresenta oltre 20.000 soci enologi di tutto il mondo.

«Lavoro in moltissime regioni italiane e non ho mai visto un entusiasmo così sfrenato, un impegno così determinato, un ottimismo così esibito come in questi ultimi anni».

Questo momento di intenso lavoro come si traduce nel posizionamento del vino italiano sul mercato mondiale?
«Lo sfuso è in diminuzione, il prezzo per bottiglia è in continua crescita, nel mondo si cerca e si vuole il vino italiano perché rappresenta il nostro stile di vita in un momento in cui la Francia, a parte i grandi nomi, vive un momento di grave difficoltà. Stesso discorso per l’Australia e altri grandi paesi produttori che hanno razionalizzato il lavoro in vigna come se il vino fosse un prodotto industriale e non artigianale».

Quali saranno gli argomenti di questi Vinitaly?
«Il primo lo abbiamo già discusso, questa continua crescita di interesse verso la viticoltura nel nostro paese. Il secondo tema è la sostenibilità ambientale che non deve essere affrontare all’insegna del fanatismo perché se non c’è reddito non si può rispettare l’ambiente. Bisogna ascoltare gli scienziati non gli stregoni».

O i rabdomanti…
«Beh, quelli a volte con il bastone riescono a individuare dov’è l’acqua»

In Italia ci sono laceranti discussioni tra fazioni opposte nel mondo dei produttori e della critica enologica. Il Califfato dei puristi a volte guarda indignato a tutti i vini che trascinano l’export e che si vendono. Qual è il suo punto di vista?
«Direi che la crisi fa un po’ come la fermentazione alcolica. Noi diciamo che la feccia si capa. Ossia si sta affermando in tutti i settori la meritocrazia: parlano i numeri, i fatti e non le chiacchiere o le ideologie. Soprattutto è importante che ciascuno interpreti con serietà, competenza e sobrietà il proprio ruolo nel rispetto del lavoro altrui. Stiamo per fortuna entrando in una fase di maturità, parlano i numeri, i fatti, le scelte dei consumatori italiani e stranieri. Tutto il resto è dietrologia, per non dire di peggio».

L’ala più estrema del Califfato dei puristi  mette in discussione a volte addirittura la funzione stessa degli enologi.
«Beh, un po’ come dire che la medicina non ha bisogno di medici. Sono visioni sciamaniche per fortuna molto ristrette. Il nostro lavoro finalmente è riconosciuto e si è rivelato decisivo nel miglioramento qualitativo del vino italiano. Il Cda di Assoenologi riconosce il grande lavoro svolto in passato ma adesso spinge per una svolta».

Quale?
«Un rapporto stretto con le università e il mondo della scienza. Il vino è passione, ma la passione non può esistere senza la conoscenza. Al congresso di giugno, proprio a Verona, avremo le quattro grandi scuole di Italia, Francia, Germania e Stati Uniti».