Carne alla Picchiapò, la cucina romana di recupero con la ricetta di Arcangelo Dandini


Allesso alla picchiapo

Allesso alla picchiapo’

di Virginia Di Falco
La cucina tradizionale romanesca, si sa, è una cucina sostanzialmente povera. Povera non certo di calorie: tanto le ricette dei primi piatti più conosciuti quanto quelle dei secondi di carne, così come di molte zuppe, sono infatti molto più che energetici. Basti pensare al guanciale e al pecorino dell’amatriciana, della gricia e della carbonara o alla porchetta per capire che il termine povero è utilizzato per richiamare la semplicità di piatti legati alla tradizione pastorale, rielaborati sempre con molta essenzialità.
Accanto a questi piatti ci sono poi quelli del cosiddetto quinto quarto, altro capitolo fondamentale della storia gastronomica di Roma. Legata soprattutto al quartiere Testaccio, dove c’era il mattatoio principale, la cucina delle parti povere, meno pregiate, delle carni che vi venivano macellate, è giustamente diventata famosa in tutto il mondo. E, non a caso, sono di tre autori stranieri due bei libri usciti di recente sul tema: Quinto Quarto. Nel cuore della cucina romana a cura di Cornelia Schinard e Beat Koelliker, edito da Giunti e l’ottimo lavoro di Rachel Roddy, dal titolo Five Quarters: Recipes and Notes from a Kitchen in Rome.

Il libro sul Quinto Quarto

Il libro sul Quinto Quarto di Schinharl e Koelliker

Trippa, animelle, pajata, lingua, coda, testine, zampetti di maiale, coratella, frattaglie di pollo, rognoni sono stati per secoli la carne dei poveri, soprattutto nelle grandi città come Roma, Napoli o Parigi. Metropoli che hanno poi tramandato questa tradizione attraverso le osterie e le trattorie. Soprattutto quelle capitanate da osti veri, cultori indefessi della memoria dell’antica Roma, a partire dalla cucina latina di Apicio.
Anche il piatto di cui parliamo qui, che si chiama Picchiapò, rientra in qualche modo nella categoria della cucina povera, o meglio, della cucina degli avanzi. Potremmo dire della cucina ‘saggia’ che, cioè, non sprecava nulla, come nel caso della carne da brodo, in romanesco “allesso”. Il lesso, che andrebbe correttamente distinto dal bollito (dove la succulenza e le proprietà della carne vengono preservate rispetto a quella cotta nel brodo) si presenta come una carne sfibrata, asciutta, quasi senza sapore. A Roma tradizionalmente si recupera con della salsa verde, oppure si ricicla tritandola per farne polpette di bollito che, una volta fritte, diventano una vera prelibatezza. Tra le più buone mai provate, solo per fare qualche nome, quelle di Flavio al Velavevodetto, dell’Osteria Palmira o da Cesare al Casaletto. Mentre trovate la preziosa ricetta delle «Polpette di Armando» nel libro di Claudio Gargioli dedicato proprio al Menù tipico romano.

Picchiapo, l'allesso

Picchiapo’, l’allesso

Altrimenti, il lesso di manzo si ricicla tradizionalmente alla Picchiapò, ripassandolo cioè in una salsa di cipolle stufate con il pomodoro. Un sughetto profumato che ha il compito di rianimare – letteralmente – una carne che ha rilasciato completamente sostanza, fibra e sapore al brodo.
A Roma oggi ci sono diverse trattorie che hanno questo piatto tipico in carta, ed infatti, ad esempio, la Guida delle Osterie Slow Food non manca mai di segnalare quelle che lo fanno meglio: sicuramente un ottimo allesso alla picchiapò è quello di Claudio Gargioli, che continua a proporlo da sempre nel menù di Armando al Pantheon; ma anche quelli del Cavalier Gino al Parlamento o dell’Osteria dell’Angelo.

picchiapo gargioli

Picchiapo’ di Claudio Gargioli

Se invece preferite la versione da street food sono imperdibili i panini romaneschi di Mordi e Vai al mercato di Testaccio oppure i trapizzini di Stefano Callegari.
Ma proprio perchè si tratta di una ricetta di recupero, non c’è niente di più bello che provarci con il lesso del brodo fatto a casa.
Qui di seguito troverete la versione di Arcangelo Dandini.

Animelle, il libro di Dandini

Animelle, il libro di Dandini

La picchiapò dello chef romano rientra nei percorsi di viaggio nella memoria riportati nel suo bel libro intitolato Animelle ed è la versione tradizionale, che prevede cioè anche l’uso del latte. Essendo lo scopo di questa preparazione il riciclo di una carne impoverita dalla lunga cottura nel brodo, il latte contribuisce a restituire proteine e rinforzarla. Attenzione anche alla cottura delle cipolle: non devono rosolare nè tantomeno bruciarsi, ma restare morbide e dolci per meglio rinvenire la carne sfibrata.

Picchiapò

INGREDIENTI:
600 gr di muscolo di manzo lessato
400 gr di pomodori pelati
olio extravergine di oliva q.b.
2 cipolle rosse
½ bicchiere di latte
vino bianco q.b.
basilico o maggiorana (a seconda delle stagioni)
sale e pepe

Picchiapo in cottura

Picchiapo’ in cottura

PREPARAZIONE:
In un tegame scaldare la cipolla finemente affettata nell’olio di oliva. Quando comincia a dorare, aggiungere in due volte il vino, per non farla rosolare. Quando il vino sarà evaporato, aggiungere la passata di pomodoro e il basilico tritato; lasciare cuocere coperto finché la salsa si sarà ridotta e rassodata. Aggiungere quindi il latte, mescolare a lungo e lasciar riposare.
Tagliare il bollito a pezzi irregolari. Aggiungerlo alla salsa e lasciare cuocere insieme per circa 10 minuti.
Servire caldo, insieme a patate bollite.

Picchiapo

Picchiapo’

Da leggere:
– Marcus Gravius Apicius, La Cucina dell’antica Roma (testo in latino, italiano, romanesco e inglese), Edizioni La Spiga, 1994
– Arcangelo Dandini, Animelle. Viaggio di un oste, IniziativeItalia 2014
– Claudio Gargioli, Menù letterario tipico romano, Atmosphere Libri, 2014
– Rachel Roddy, Five Quarters: Recipes and Notes from a Kitchen in Rome, Saltyard Books, 2015
– Cornelia Schinharl e Beat Koelliker, Quinto Quarto. Nel cuore della cucina romana, Giunti, 2015

3 Commenti

  1. Qualcosa del genere si faceva a casa mia,a Napoli anni 50.Mia madre di origine contadina,lessava delle patate nel brodo,una volta schiacciate le patate,venivano aggiunte al sughetto di pomodoro e cipolle,acon l’aggiunta del lesso rimasto tagliato a pezzettini,qualche foglia d’alloro ed un pizzico di pepe.Ne conservo ancora un ricordo nelle sere d’Inverno.

  2. bello questo ricordo, Friairello, anche dell’alloro, che in effetti ci sta proprio bene. Mia madre invece ripassava la carne in brodo solo nelle cipolle, in bianco, in una sorta di genovese più veloce ma molto, molto più povera.

  3. ‘Na picchiapò cor latte? Va magnate voi…. e le cipolle rosse, ahoo!!
    Du cucchiai de brodo forse…

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