Roma, Baby dell'Hotel Aldrovandi Palace


Via Aldovrandi, 15
Tel. 06.3216126, fax 06.3221435
www.aldovrandi.com
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Sempre aperto, chiuso lunedì

Roma è l’unica grande città italiana dove si registra un significativo fermento nel mondo della ristorazione. Però, vi dico, molte cose sono buone ma poche capaci davvero di stupire come accade invece quando si gira tra i capisaldi della ristorazione nella Terra delle Sirene o nelle Marche e penso che questo dipenda da due fattori che si notano subito: la materia prima usata non racconta quasi mai la sua storia mentre le ricette sono spesso e volentieri svincolate dal territorio e si caratterizzano più che altro per virtuosismi la cui vocazione è stupire più che soddisfare culturalmente il cliente. Esistono, naturalmente, le eccezioni, talvolta però anche le grandi delusioni come è accaduto al Convivio Troiani in una serata di giugno nella quale ci chiesero, eravamo sei in una sala quasi vuota di un giorno feriale, di <compattare le richieste> inaugurando un uso davvero singolare per un locale da 100 euro, normale, anzi auspicabile, in una trattoria. La bella carta dei vini ci ha poi fatto dimenticare l’amatriciana chiamata del Terzo Millennio ma che ha me ha richiamato quella che mangiavo alla mensa universitaria da ragazzo. Ero immerso in queste divagazioni proustiane quando spiluccavo i pani e i grissini del Baby con l’olio delle Peracciole e avrei voluto qualche amico anglosassone con cui condividere lo straordinario uovo in camicia con la spuma di mozzarella di bufala e un po’ di tartufo per parlare di un breakfast possibile. Siamo dunque nell’ambasciata bianca della ristorazione campana a Roma voluta da Alfonso e Livia con il figlio Ernesto ai fornelli: buona carta dei vini con quelli campani in buona evidenza e ricchi di spunti anche se il Lazio apre le danze. Il Kerres dei Pentri e il Fiano di Marsella sono due tra le chicche fuori dai circuiti usuali che qui invece si possono trovare a buoni ricarichi. La cucina è quella fantasiosa e ben agganciata ai sapori tipici dello stile del don Alfonso, capace di evitare la ricerca degli effetti speciali a tutti i costi e con qualche gioco, come il pacchero cacio e pepe <profumato> con un po’ di scorfano o l’arancino napoletano con carne, piselli e cioccolata, il boccadoro sfumato al Greco di Tufo o le triglie con riduzione di Aglianico. Si gioca, insomma, in modo rilassato in un ambiente semplice ed essenziale che in estate ha il valore aggiunto del giardino, con un servizio fatto da giovani motivati e professionali senza sbavature. Citiamo i bucatini con i totanetti giusto per non dimenticare i Propilei della ristorazione della Costiera, specificamente fra Conca e Praiano, riproposti in maniera splendida e compiuta. E ancora i polipetti affogati su letto di lenticchie e scarola con spuma di provola. Si conferma la capacità di agguantare un prodotto classico e di proporlo in modo moderno, non saccente, direi addirittura tranquillo così come siamo stati abituati in questi anni nell’atmosfera scanzonata e allegra di Sant’Agata. Grande finale di dolci capace di mettere in riga tutte le scuole con la tipica sfogliatella napoletana, il soufflé di pastiera o di cioccolata, il babà. Piccola pasticceria e un caffé degno di questa ambizione. Cosa dire, la ristorazione, ad alti livelli, è un po’ come il vino: deve convincere con la personalità e la semplicità, deve saper raccontare qualcosa di vero, non può assolutamente avere alcuna sbavatura. Ma soprattutto deve sapere usare materie prime autentiche e, per questo motivo, non sempre reperibili. La differenza tra un grande chef e un abile commerciante alla fine è tutta qua: ricordarci che non si può avere in ogni momento quel che si desidera. Del resto l’attesa di qualcuno o qualcosa è una emozione capace di regalare verità al momento della soddisfazione. Pantagruelico menù degustazione a quota 85 euro.