Roma, Da Benito al Ghetto: ricetta dell’osteria perfetta


Osteria Da Benito

Osteria Da Benito al Ghetto

Da Benito al Ghetto ha chiuso. Lasciamo questa scheda come archivio.

 

di Virginia Di Falco

Ebbene sì. Dopo questa visita da Benito al Ghetto possiamo dirlo forte e chiaro. L’osteria perfetta a Roma c’è.
In una battuta: un’osteria che mette insieme con successo forma e sostanza.
Siamo a due passi dal cuore del ghetto ebraico di Roma, accanto alla piccola piazza che accoglie la cinquecentesca fontana delle Tartarughe.

Roma, Fontana delle Tartarughe

Roma, Fontana delle Tartarughe

Nel 2011 Nicola Delfino e Massimo Baroni, due amici del cuore, come si usava dire una volta, decidono di ridare vita ad una vecchia osteria aperta da Benito Mercuri nel 1967. All’inizio – come avevamo raccontato su questo blog – ne mantengono intatti anche arredo e impostazione, con un menù fisso a pranzo. Poi, dopo qualche anno la svolta: una ristrutturazione molto semplice ma efficace, che è riuscita a mantenere l’atmosfera d’antan senza artifici e tocchi finto folk. Quindi dal soffitto oggi pendono sobrie lampade che diffondono la giusta illuminazione sui tavoli invece di ghirlande di aglio e peperoncino di plastica, come in tante pseudo trattorie del circondario.

Da Benito, la sala

Da Benito, la sala

Mise en place non impegnativa che non vuol dire, però, senza cambio di posate, senza calici per il vino o, ancora, senza tovaglioli in tessuto.
Una nota particolare, poi, per il servizio. Ebbene sì: da Benito c’è una sala, nel senso che le due persone che servono sono in grado di illustrare con professionalità e competenza la carta delle vivande così come quella del vino, di suggerire senza imporre, di spiegare gli ingredienti di un piatto, di assistere un tavolo quando ce n’è bisogno. Con i toni e lo spirito giusti per un’osteria che non devono risultare pesanti ma neppure mostrare trascuratezza.
Anche la carta dei vini, infine, è ben tarata sulle esigenze di un’osteria, a partire dai costi, e non banale, con un pizzico di attenzione per la Francia e uno sguardo curioso a tutte le regioni italiane.

Da Benito, scorci della sala

Da Benito, scorci della sala

E veniamo ai piatti provati.
Il menù del pranzo è leggermente più semplificato rispetto a quello serale e prevede la scelta tra quattro antipasti (che vanno dai 12 ai 15 euro), quattro primi piatti (dai 12 ai 14), sei secondi piatti (dai 14 ai 20 euro), tre contorni (dai 5 ai 7) e due dessert (a 7 euro).

Da Benito, il Carciofo

Da Benito, il Carciofo

Tra gli antipasti, che qui da Benito valgono sempre un posticino nella vostra playlist, un «Carciofo con il carciofo e un po’ di carciofo» riuscita rilettura del celebre carciofo alla giudìa (siamo pur sempre nel Ghetto). Frittura con una sfogliatura del fiore praticamente perfetta; croccantezza delle chips bilanciata da una crema di carciofi tanto delicata quanto incisiva ad accompagnare un carciofo tenero e ricco di sapore.

Da Benito, bugnole di baccala

Da Benito, bignole di baccalà

Ma anche le bugnole di baccalà si faranno difficilmente dimenticare: frittelle di baccalà mantecato nella birra che ricordano le bignole di Carnevale e al palato regalano il medesimo effetto goloso: frittura asciutta, leggera e fragrante bilanciata ad ogni boccone dalla consistenza cremosa del baccalà, ancor più se intinto nella salsina di fichi d’India in accompagnamento.
Tra i primi piatti una carbonara da manuale: guanciale saporito e croccante, pecorino e pepe ben dosati, nessun eccesso di sapidità ad intralciare una cremosità dell’uovo invidiabile.

Da Benito, carbonara

Da Benito, carbonara

Ma chi conosce lo chef  Nicola Delfino – da tempo ormai impegnato anche nell’organizzazione di corsi di cucina – sa che una parte importante della didattica è proprio dedicata a quella che lui definisce la ‘Santissima Trinità’: carbonara, amatriciana e cacio e pepe. Ed infatti la sacra triade è sempre presente tanto nel menu del pranzo che in quello più elaborato della sera.

Da Benito, polpette al sugo

Da Benito, polpette al sugo

Tra i secondi piatti vengono privilegiati quelli di carne, a partire dall’agnello, con il classico abbacchio al forno con patate o lo stinco di maialino; c’è quasi sempre anche il baccalà, al quale lo chef tiene particolarmente, molto attento a taglio e provenienza. E anche le semplici polpette al sugo si distinguono per qualità delle carni, profumo e tenerezza, accompagnate da un purè di patate che non farà rimpiangere quello di casa.

Da Benito, patate al forno

Da Benito, patate al forno

E viene superata anche una delle prove più difficili per un’osteria: quella delle patate al forno, nel novanta per cento dei casi servite a temperatura da ustione, rinsecchite dalla ripassata al micro onde. Qui sono tenere dentro, con la giusta crosticina all’esterno, profumate di spezie.
Insomma, Benito al Ghetto è un posto davvero piacevole, dove si torna volentieri. La felice combinazione di una sala curata e ben organizzata, in perfetta sintonia con la cucina; piatti della tradizione come ci si aspetta da una vera osteria ma riletti con la giusta levità e curiosità verso prodotti non per forza locali ma dalla qualità della materia prima indiscussa. Ingredienti, questi, che combinati insieme fanno uscire contenti, parlando di quanto era buono un piatto e non delle voci del conto.

Da Benito mise en place

Da Benito mise en place

 

Da Benito al Ghetto
Via dei Falegnami, 12/14
Tel. +39 06.6861508
Prenotazioni anche via Whatspp al 339.7781815
Aperto a pranzo e a cena
Chiuso lunedì
www.benitoalghetto.com

 

2 Commenti

  1. “Osteria”? I prezzi sono da ristorante caro. Un pranzo, oltre vino, acqua, servizio, scegliendo i piatti più economici viene a costare 55 everi. Con lo stesso prezzo mangio 9, scrivo 9, volte dalla Nonna con porzioni da carrettiere.

    1. “Osteria”? I prezzi sono da ristorante caro. (Sanfedista)

      Uno dei LIMITI puù grossi dei Food Blog è sui PREZZI e sul RAPPORTO QUALITA’/PREZZI.

      Perché?

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