Roma, Il San Lorenzo


Via dei Chiavari 4-5
Tel. 06.6865097
www.ilsanlorenzo.it
Sempre aperto, chiuso il sabato a pranzo e lunedì. Ferie in agosto

Uno dei luoghi comuni gastronomici più vicini alla realtà è quello sulla cottura del pesce: <quando è buono, meno si tocca, meglio è>. Ed è questo lo stile, immediatamente riconoscibile per un partenopeo quando si trova in giro, che segna la cucina del San Lorenzo, nel cuore proibito alle auto di Roma, a due passi da Campo dei Fiori: essenzialità, materia prima da collezione e tanto, tanto equilibrio. Il pesce arriva dal mare di Ponza, lo procura direttamente Gino dell’Acqua Pazza che ha anche una partecipazione nel locale. Una cucina di mare di cui si sentiva il bisogno a Roma, dove questo argomento ha sempre fatto fatica ad entrare nel modo giusto e soprattutto rigoroso. Qui ci sono finalmente sapori, sapori iodati, sapori sapidi, sapori non occultati o vissuti come fastidio, ma esaltati e spinti sino in fondo per il piacere degli amanti della cucina di pesce dal cuochetto napoletano a cui prediciamo fortuna e successo qui.
Volendo si può semplicemente farsi servire un piatto di crudo all’ingresso, bere un bicchiere di vino e uscirsene con una trentina di euro. Un modo per diversificare l’offerta e andare incontro alle esigenze sempre più varie e diverse della clientela.
Noi vi consigliamo invece sonoramente la cena che vale, servita in un ambiente che rispecchia in pieno la cucina, semplice, elegante, essenziale, con i fornelli bene a vista per chi entra, i pesci da mangiare esposti a mò di bancone da pescheria, poi piccoli ambienti ricavati grazie ad un sapiente restauro che ha il suo orgasmo finale nella visita alla cantina e, per chi non rinuncia alla sigaretta, nella stanza fumatori perfettamente attrezzata e dotata di autonomo bar. I piatti sono un segno molto chiaro, usuale quando si gira in Campania, piuttosto raro fuori: polpo verace, calamari di paranza con insalata di carciofi, fritto di calamaretti tanto per iniziare con la concessione alla fusion pasticciona della Capitale solo nella terrina di alici con burrata e tartufo nero. A questo punto il gioco di richiamo nordico andrebbe molto meglio con le acciughe perché il piatto, a noi pare, entra in deficit di acidità oltre che di sapidità.
Molto bene i primi, da considerare veri e propri classici, come il tagliolino all’astice, i paccheri di Gragnano (Di Nola) con pescespada, melanzane e provola, gli spaghetti con acciughe, peperoni e briciole di pane, i pennoni con pomodorini, cime di rapa e triglie. Bella l’idea del risotto quinto quarto con i fegatielli della rana pescatrice. Tra i secondi mettiamo un bonus di stupore e concentrazione di sapori filtrati da una gentile tecnica di pulizia nella bellissima zuppa di pesce che da sola vale la visita, che dico: il viaggio. Sfizioso il filetto di pesce con il ragout di vongole e cozze oppure il fritto di pesce tradizionale. Bene i dolci, con la zuppa di cioccolato con gelato ala latte e meringa ai lamponi, il babà con spuma di rancio, il caffè con sambuca e sigaretta. Piccola pasticceria per chiudere. La carta dei vini è attenta e aggiornata alle principali etichette di tutte le regioni e un po’ di Francia, a noi è piaciuta molto l’apertura con lo spumante metodo classico pontino Don Ferdinando di Taffuri Pouchan come aggancio al territorio di provenienza. La competenza del servizio completa la cornice di una visita sicuramente soddisfacente. Vediamo un po’ i costi: l’antipasto oscilla tra 15 e 18, il primo tra 15 e 22, il secondo ha il suo massimo con 36 euro nella citata zuppa di pesce, il dolce è a quota 10 euro. Insomma, una cena costa tra i 60 e i 70 euro, e per Roma, non c’è comparatio per il rapporto di spesa con l’appagamento di una materia prima insuperata.