Selva delle Monache Ravello Rosso Riserva Costa d’Amalfi doc 2006 | Voto 86/100


Ettore Sammarco

ETTORE SAMMARCO

Uve: aglianico e piedirosso
Fascia di prezzo: da 15 a 18 euro in enoteca
Fermentazione e maturazione: acciaio e legno

VISTA: 5|5 – NASO 26/30 – PALATO 26/30 – NON OMOLOGAZIONE 29/30

Mi trovo ancora una volta in Costa d’Amalfi, ma non voglio mandare nessuna cartolina, non ne sento proprio il bisogno e, soprattutto, non voglio ripetermi, perché è già stato detto e ridetto tutto a proposito di questo luogo così fortunato. E allora che si fa? Niente, si parla semplicemente di un vino prodotto a Ravello da Ettore Sammarco, con la collaborazione di suo figlio Bartolo e dell’enologo Carlo Roveda (senza dimenticare le figlie di Ettore, Maria Rosaria e Antonella, nascoste in ufficio), che mi ha particolarmente affascinato, tutto qui. Mettiamo da parte per una volta tanto, quindi, l’aspetto oleografico e dedichiamoci soltanto alla degustazione. Perché mi ricordo perfettamente quello che mi diceva il mio vecchio maestro Antonio Ghirelli, quando scrivevo il resoconto degli incontri di calcio: “…Enrico, non devi banalizzare il tuo intervento, non limitarti all’aspetto puramente didascalico, ma devi saper cogliere il momento topico della gara e partire proprio da lì…”. Parole sante, di cui ho fatto tesoro. Allora, qual è il momento clou che viene a determinarsi tutte le volte che si parla di un’azienda vitivinicola, al di là del territorio, dell’ambiente e del personaggio, se non quando si degusta il vino che essa produce?

Detto fatto, il vino che ho assaggiato è il Selva delle Monache rosso riserva 2006, connubio perfetto tra Aglianico, in modo preponderante, e Piedirosso, anzi, come dice Bartolo Sammarco, “Piè di Rosso”. Questo è il blend più tradizionale e sfruttato in Campania, spesso con eccellenti risultati qualitativi, specialmente nel Casertano. Nel frangente, il Piedirosso qui recita come ottima spalla accanto al suo fratello più famoso (avete presente Enzo Turco nel film di Mario Mattoli “Miseria e nobiltà” nei confronti di Totò?), perché smorza la veemente struttura tannica dell’Aglianico, ammorbidendone il carattere focoso, assicurando, di fatto, più immediata bevibilità. A questo contribuiscono poi in maniera decisiva, dopo la vinificazione e la malolattica, prima il lungo passaggio di diciotto mesi in barrique di rovere francese e poi l’elevazione in bottiglia per altri sei mesi, che smussano le residue asperità del vino stesso. La ritardata vendemmia fine ottobrina e la più vicina e soleggiata traiettoria marina, rispetto alla posizione più “continentale” dell’areale tramontino di nord-est, fanno aumentare la gradazione alcolica fino a superare i 14° C.

Nel bicchiere la veste cromatica è di un rubino profondo e scuro, con leggeri riflessi granata. I profumi sono accattivanti e caratterizzati da note di confettura di more e da sensazioni speziate di pepe nero e noce moscata, che ritornano anche in bocca. Qui si avvertono una buona acidità, un’ottima struttura, percezioni tostate e balsamiche e un tannino morbidamente levigato. Il sapore è graffiante e dinamico e il finale è molto lungo, persistente e ricorda la frutta rossa matura. Insomma, un gran bel vino davvero, da provare assolutamente su primi saporiti, carni alla brace o un Provolone del Monaco, ad una temperatura di servizio intorno ai 18 gradi. E allora, prosit!

Questa scheda è di Enrico Malgi

Sede a Ravello – Via Civita, 9 – Tel. e Fax: 089/872774 – [email protected]www.ettoresammarco.it – Enologo: Bartolo Sammarco con i consigli di Carlo Roveda – Ettari in affitto: 1,5, con vari conferitori di fiducia – Bottiglie prodotte: 70.000 – Vitigni: Aglianico, Piedirosso, Sciascinoso, Serpentaria, Falanghina, Biancolella, Pepella, Biancatenera e Ginestrella.

2 Commenti

  1. Carissimo Lello, è da un bel pò che non ci si contatta, è vero?
    E’ comunque sempre un gran piacere dialogare con te. A proposito del grande e quasi novantenne Antonio Ghirelli, non è cilentano, ma napoletano “verace”. Sua moglie era del rione partenopeo dove sono nato io. Lo conobbi quando lui era direttore del “Corriere dello Sport” dal 1966 al 1977. Lui, ovviamente, stava a Roma a Piazza Indipendenza e mi inviò alla sede napoletana del suo giornale che allora si trovava ubicata presso la Galleria Umberto I, di fronte al San Carlo. Mi ricordo ancora i nomi di alcuni cronisti di querl periodo: Agostino Panico, Crescenzo Chiummariello (anche presidente nazionale dei club Calcio Napoli) e Francesco Degni. Voleva che gli mandassi una copia di ogni mio articolo, perché lo controllasse e poi mi consigliava. Poi mi mandò al “Roma” da Antonio Scotti e Carlo Juliano ed infine al “Mattino” da Riccardo Cassero e Ciro Buonanno. E dopo è stata un’altra storia…
    L’ultima volta che l’ho incontrato è stato alcuni anni fa qui nel Cilento e precisamente a Gioi, dove annualmente si teneva un importante premio letteriario, organizzato dal circolo culturale “L’atomo” presiieduto da Andrea Salati. Ghirell è stato senza ombra di dubbio uno dei migliori giornalisti in assoluto, molto legato a Napoli (anche tifoso). Io lo ricordo sempre con molto affetto, stima e simpatia. Spero tanto che possa leggere qui queste note, anche per dare conferma a tutto questo (perché so che tu non ci credi, è vero?).
    Abbracci.

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