Serra Docile 2003 Coda di Volpe Beneventano igt


CANTINA DEL TABURNO
Uva: coda di volpe
Fascia di prezzo: da 5 a 10 euro
Fermentazione e maturazione: legno

Uno dei pochi gruppi a cui sono iscritto a Facebook è quello fondato dall’amico Maurizio Fava: <I grandi bianchi migliorano invecchiando> perché ritengono che la quasi totalità di vini di questa tipologia sia bevuta male in Campania, dove, se ci fosse una educazione al gusto appena sufficiente o almeno paragonabile a quella del cibo, nessuno potrebbe realmente bere un Fiano, un Falanghina o un Greco prima che siano passati almeno due anni. Come tirare la pasta cruda dalla pentola. Pensavo a questo paragone, l’unico nazional-popolare di cui sono capace, quando ho tirato il collo a quest’ultima bottiglia di Serra Docile 2003. L’ho fatto con decisione rileggendo la scheda fatta ormai oltre tre anni fa per accompagnare i piatti della Pignata di Pontelandolfo. Dunque queste righe servono per il Serra Docile che verranno in quanto ormai non credo ce ne siamo più di questa difficile vendemmia. In effetti il vino non ha fatto più promesse di longevità ulteriore, ma scusate se cinque e passa anni sono pochi per una miserabile Coda di Volpe peraltro crescita nel legno. Dicevo, dunque, non c’era da aspettarsi altri in un bianco che ormai aveva raggiunto completamente il suo equilibrio, l’acidità rientrata ma non annullata, forti sentori di albicocche o comunque frutta sotto spirito, sentori di miele di castagno e zafferano, con una prevalenza molto forte di note dolci. Un vino tutto sommato equilibrato, un po’ monocorde, ma comunque ricco di fascino. Una bella bottiglia insomma, che attesa come i vini di questa Cantina siano sempre affidabili, in ottimo rapporto tra qualità e prezzo, di lunga gittata quando si considera quelli della fascia più importante (leggi Folius, Delius) ma comunque ricchi anche quando si prendono in considerazione i bianchi base come è accaduto ad esempio con il millesimo 2005 del Greco Beneventano igt che portammo a corona. Brava piccola grande Coda di Volpe, insieme abbiamo trascorso propri un bel periodo.
Scheda del 30 dicembre 2005. Diciamo subito che ci dedicheremo anima e corpo alla coda di volpe: dopo fiano, greco e falanghina, dopo l’exploit del pallagrello bianco e il consolidamento della biancolella, dopo la scoperta dei bianchi della Costiera Amalfitana, è incredibile che questa uva di grande valore sia mal considerata, quasi alla stregua di un trebbiano in salsa vesuviana. I produttori se ne vergognano, non la esibiscono, la riservano al mercato tedesco, mentre in realtà è uno dei vitigni più antichi e diffusi in Campania. Sul piano mediatico, la coda di volpe è come la genovese, nessuno la conosce fuori dalla regione pur essendo uva tipica autoctona della regione come il piatto lo è in ogni casa partenopea. Serra Docile è stata una esercitazione di Moio che ha dimostrato di volerla prendere molto sul serio: qualche sprovveduto criticò il passaggio in legno sostenendo che l’acidità notoriamente bassa di questo vitigno, usato per questo motivo per tagliare fiano, greco e falanghina, non ne avesse affatto bisogno. Come dire a Valentini: perché hai passato il trebbiano in legno visto che è un’uva così miserabile? E allora, posto invece che la coda di volpe è una grande uva, il tentativo di Luigi ci sembra vada nella direzione di voler nobilitare il vitigno meno considerato, un deciso andare controcorrente, tanto che i grappoli vengono raccolti surmaturi, quasi che la loro destinazione fosse fare un passito mentre la fermentazione e l’elevamento avviene in barrique. Tentativo riuscito o non riuscito? La2002 è stata sicuramente una buona annata, la 2003 di cui disquisiamo ci sembra un po’ meno perchè alle caratteristiche del vitigno si aggiungono quelle siccitose della vendemmia di due anni fa, con la conseguenza di un carico eccessivo zuccherino che prevale sull’acidità e di cui ci si accorge facilmente se il bicchiere viene servito appena appena un poco sopra i 12 gradi.La precedente versione, invece, conservava una buona spinta di freschezza. Detto questo il vino è comunque molto piacevole, incontra sicuramente il gusto dei consumatori, mette in riga la maggior parte dei bianchi italiani distinguendosi per la grassezza, la mineralità e la tipicità mentre si abbina bene a tutti i pesci di una certa struttura o anche al difficilissimo tonno sott’olio che ha sempre un ritorno infinito nel palato sin dal primo assaggio. In questo caso, però, la struttura e la complessità regalate dal passaggio in legno si bilancia adeguatamente con la grassezza del cibo. Vista la stagione, l’abbiamo provata anche con il caviale nero rimanendo soddisfatti, mai però come nell’abbinamento con un bel conciato romano dell’Alto Casertano che ha dato vita ad un connubio perfetto. Il legno ben dosato e la stagione giusta, come sono la 2004 e la 2005 per i bianchi, ci daranno dei grandi Serra Docile. Vai Luigi, i cani abbaiano ma la carovana avanza.

Sede a Foglianise, via Sala
Tel. 0824.871338, fax 0824.878898.
Sito: http://www.cantinadeltaburno.it
Email: [email protected]
Enologo: Luigi Moio
Bottiglie prodotte: 1.500.000
Ettari: nessuno
Vitigni: aglianico, piedirosso, falanghina, coda di volpe, greco, sangiovese,merlot